venerdì 14 novembre 2014

In giro

Ci sono tanti aspetti belli nel mio mestiere di storico. Uno di quelli rilevanti è l'opportunità di viaggiare, nel tempo e nello spazio. Non è solo uno spostarsi metaforico, leggendo seduti sulla propria scrivania o su una sedia di archivio documenti che arrivano dal Perù, dalla California o dal Senegal. Tanto per fare un esempio delle ultime cose che ho guardato per preparare le mie lezioni. E poi, rimanendo alla mia attualità, c'è il viaggio vero. L'ultimo è stato un volo a Francoforte, città che ho imparato a conoscere ormai quasi due anni fa. E che apprezzo soprattutto per due cose: l'Istituto Max Planck per la Storia del Diritto Europeo e le passeggiate sul Lungo Meno. 

Lasciamo da parte la storia del diritto europeo. Parlando di Lungo Meno, invece, questa volta ho scelto appositamente un alloggio nei pressi, cosa che mi ha consentito di approfittare della mattinata libera dal lavoro per un bel lungo lungo il Meno. Trenta km scorrendo con i miei passi accanto all'acqua del fiume. La grande soddisfazione non è tanto correre i km, quanto piuttosto andare al lavoro il pomeriggio, affrontare anche la cena che consegue senza dare dimostrazioni zoppicanti di quanto si è fatto la mattina. E tenendo botta in lingua straniera.
Non mi si parli più della precisione germanica. C'è uno sciopero dei treni che dura fino domenica sera, poi ti dicono che finisce sabato sera. E tu il sabato vai a prendere il treno per andare all'aeroporto ma incontri due della ferrovia che hanno annullato l'anticipo della fine. Allora vai a prendere un taxi, che però è l'idea di tutti. Ma ne prendi uno in maniera rocambolesca e rimani intrappolato nel traffico di uscita da Eintracht-Bayern, dato che la strada dello stadio è quella dell'aeroporto. Tutto è bene quel che finisce bene, non ho perso l'aereo. Solo ho saltato la cena.   

venerdì 24 ottobre 2014

Ne è passato, di tempo ...

Non sono certo stanco di scrivere, tutt'altro... è che ho scritto tanto altrove. 
Da qualche mese mi sono inventato giornalista / vaticanista. O meglio. Me lo hanno proposto, di diventarlo, e io ho detto sì. E poi ho scritto addirittura due libri. Come per la parentesi del giornalismo, le cose avvengono talvolta per caso. Il mio caso è papa Francesco. Prima della sua elezione studiavo una storia lontana, nel tempo oltre che negli interessi di chi avrebbe potuto, più teoricamente che concretamente, leggermi. Studiavo e scrivevo di storia del cristianesimo, di America Latina e di gesuiti. Papa Francesco è cristiano (ma dai), latinoamericano e gesuita. Fin dal giorno dopo la sua elezione, ecco arrivarmi le domande: chi è? Da dove viene? Ho iniziato a rispondere, mettendo in gioco le mie competenze e cercandone di nuove. Studiando, che è la mia passione. E le proposte non si sono certo fermate. Così ho parlato molto e scritto di più. 
Oggi è l'ultimo giorno di edicola per il primo dei due libri che ho scritto: la biografia di José de Acosta (1540-1600), un gesuita che ha contribuito a fare la storia del cristianesimo e della Compagnia di Gesù. Il Domenicale de Il Sole 24 Ore ha scelto di proporre ai suoi lettori una storia dei gesuiti e ha chiesto a me di occuparmi di una parte. 

Inevitabilmente, tutto questo lavoro (sia benedetto!)ha inciso sul tempo libero, che per me è fatto prima di tutto di relazioni (familiari e di amicizia), poi di corsa e anche un po' di subbuteo. Ho cercato di privilegiare le relazioni, lasciando qualche passo indietro la corsa e soprattutto il subbuteo. E mettendo il blog in naftalina, ma sempre con l'idea di riprenderlo. Prima o poi. Ora è il tempo. Perché ora? Perché i libri sono scritti e consegnati, certo, ma anche perché ho letto il racconto del mio amico Michele, che ha finito la sua prima cento miglia e con le sue parole mi ha detto molte cose e definitivamente rivitalizzato la voglia di scrivere parole che esulino dal lavoro. 

Ho corso poco. Ma credo di avere amministrato bene la riduzione del tempo. Ho diminuito (di molto) il chilometraggio ma non ho mai smesso. Credo di avere la riserva per riprendere.
Ne racconterò. Me lo prometto. 

Questo è il link al racconto di Michele

Questa è la copertina del libro 





domenica 20 luglio 2014

Altre stelle uruguayane

Consiglio di lettura? Davvero non lo so, se vale la pena. Io ne scrivo, voi leggete e decidete. 


Scritto da Stefano Marelli, il romanzo narra di Sauro, un ragazzo italiano che vivacchia in Sudamerica e conosce un vecchio barbone  mezzo stregone che gli racconta la propria storia. Nesto Bordesante, il nome comunque falso del vecchio, è stato un grande calciatore del passato che ha fatto e perso fortuna con il suo sport. Cresciuto in orfanotrofio, campione in Argentina, simbolo di una squadra fascista, dimenticato dopo la guerra e rovinato dal demone del gioco. 
Se mi chiedessero chi sia stato il miglior prof. dei tanti che mi hanno insegnato qualcosa risponderei quello di Storia dell'Arte nel corso di laurea in storia. Riuscì a farmi comprendere aspetti di una disciplina che ero convinto non mi interessasse. L'ho presa alla larga, eh? In una delle visite guidate che facevano parte del corso ci fermammo davanti un quadro dal quale una bambina piantava due occhioni enormi nello sguardo di chi, a sua volta, la guardava. Prima ancora che io potessi dare un nome a quella scelta estetica, che comunque mi aveva colpito, ecco che il prof. la definì per ciò che era "Effettaccio da quattro soldi", invitandoci a concentrare l'attenzione su altri aspetti del dipinto. 
Ecco il link con il libro di cui parlo. 
"Effettaccio da quattro soldi" è quanto mi viene da dire se penso allo stile, infarcito di manierismi, ammiccamenti al lettore e un utilizzo inadeguato del turpiloquio. Non è questione di essere bacchettoni. Per fare un esempio, nel magnifico Lansdale il parlare rozzo ha un senso compiuto e per questo non disturba. No, la mia è un'annotazione puramente di stile. Seguendo l'insegnamento di cui sopra, cerchiamo allora di spostare l'attenzione su altri aspetti. La storia è bella, avvincente, tanto che il libro (anche perché è corto) si legge alla svelta e senza fatica. La vicenda è ben costruita, alcuni personaggi possono rivelare bene il senso di un'epoca, specie quelli collocati cronologicamente nell'immediato dopoguerra. Nella rappresentazione riescono però molto meglio i comprimari dei protagonisti. L'esempio di obiettivo non raggiunto nel disegno del personaggio è, a mio parere, Martina, la similcompagna di Sauro. 
A rivedere il post mi rendo conto che sono più le note negative di quelle positive. E dunque? Non mi spiego come abbia fatto ad avvincermi così tanto, questo libro. Si vede che il suo pregio sta proprio lì: sa farsi leggere volentieri.
Ne avete capito qualcosa?
Forse si possono definire perfette pagine da ombrellone. Meglio prenderle in biblioteca che comprarle, direi. Io il libro l'ho comprato. Ma sul Kindle. 

sabato 12 luglio 2014

Diciamo la verità...

Sono sincero con me stesso e con l'amato blog. Ho accettato di buon grado e con piena consapevolezza un ricarico di lavoro che comporta un intenso impegno di scrittura (due libri…?), un'escursione continuativa nel giornalismo e una più frequente presenza in conferenze e presentazioni.
Va tutto bene, l'ho voluto io e di certo non mi lamento. Anzi. Avercene, di lavoro. D'altra parte, se sei uno storico che si occupa di gesuiti e, in buona parte, di America Latina e se i cardinali decidono di eleggere un papa gesuita argentino, ecco che sembra l'abbiano fatto anche per incrementare le tue opportunità di espressione e ricerca. 
In tutto questo però sto perdendo il senso dell'orientamento. A Ferragosto dovrei prendere un po' di fiato, sto forse arrancando, occupando anche le sere e i fine settimana. Ho perso parecchie partite del Mondiale e pure qualche appuntamento subbuteo. Il tempo per correre, anche lui, è inevitabilmente ridotto, anche se sono riuscito a partecipare alle prime tre tappe del circuito di corsa in montagna della SAT (il CAI trentino, per chi non lo sapesse). Alla terza ho pagato la riduzione dell'allenamento, ma ne vale assolutamente la pena. Prima o poi ci scrivo. E già, anche il blog ne risente...
E Mateja cresce a vista d'occhio, avere del tempo per stare con lei è la mia priorità. Anzi. Una delle mie priorità, insieme con la ricerca dei momenti con Chiara. 
Finita la pausa. 

mercoledì 11 giugno 2014

La faccia così, a kzz di cane. Avventure di un lettore rosa

Prendetevi un minuto e diciannove secondi per guardare questo filmato, che ho preso dalla impareggiabile Serie TV "BORIS"
 
 
Grande metafora, questa di Boris.
Io ero un grande lettore della Gazzetta dello Sport, poi con gli anni il mio favore verso la Rosea ha sofferto un declino inarrestabile, anche se non totale. Le ragioni sono due: l'irruzione massiccia del gossip e il decadimento della qualità degli articoli. Un decadimento che la settimana scorsa ha trovato il suo emblema.  Ero stanco di leggere libri sul Vaticano e mi sono detto: nel mio tragitto in treno oggi mi regalo una Gazzetta. E vai. Scorro e trovo un articolo che mi pare interessante: parla delle differenze tra il calcio italiano e quello di altri paesi europei. Lo leggo. Scrivono che in Inghilterra e in Germania è incrementato del tot %. In Italia meno, ma sempre meglio che in Francia. Ahi, mi dico. Sono stato disattento. Rileggo. Appunto, scrivono che in Inghilterra e in Germania l'incremento del tot % eccetera. Ahi, mi dico. Sono stato disattento. Rileggo per la terza volta. E scopro di non essere stato per niente distratto. Capita proprio che non ci sia alcuna spiegazione: cosa è incrementato? A cosa si riferisce quella percentuale? Non è scritto. Ai movimenti economici? Ai risultati sportivi? Agli spettatori? Al numero di arbitri rinchiusi negli spogliatoi durante l'intervallo? Al tempo passato dai calciatori davanti allo specchio? Non è scritto. Ci sono numeri e non si dice a cosa riferiscano. Ecco, è un articolo che sarebbe piaciuto a René Ferretti, il regista di Boris. Deposito il giornale nella raccolta differenziata della carta e riprendo a leggere i libri sul Vaticano. 

martedì 3 giugno 2014

Da dove comincio? Ma dal basket di Eurolega!

Ho scritto proprio qui che serve dare una mossa al blog.
Da dove ripartire?
Dalla corsa in montagna che quest'anno riesco a praticare con continuità e soddisfazione?
Dagli articoli da vaticanista (che corre) che sempre più spesso mi capita di scrivere?
No, cominciamo dal primo amore sportivo. 
Due settimane fa sono stato a Milano con un grande amico amante della pallacanestro tanto quanto me. Obiettivo: godersi le Finali di Eurolega. Per chi non lo sapesse, la Champions League del basket (che similitudine blasfema, ma cosa non si fa per farsi capire!) finisce così: dopo un paio di gironi e un turno a eliminazione diretta restano in quattro e si giocano tutto in tre giorni. Semifinali al venerdì, finali alla domenica. Le chiamano Final Four, utilizzando la lingua giusta, visto che sono un'invenzione USA. 
Quest'anno è Milano che le organizza.
Lo scorso anno era Londra, e io c'ero.
Le quattro qualificate 2014: CSKA Mosca-Maccabi Tel Aviv (prima semifinale), Barcellona- Real Madrid (seconda).
Io ho un favorito: CSKA Mosca, che perde alla prima partita, subendo canestro a pochi secondi dalla fine dopo non aver mai sofferto uno svantaggio. Non è sfiga, magari un po' lo è, a dire il vero, ma è piuttosto paura di vincere, è sbagliare tutto dopo aver fatto molte cose bene.
La seconda è il Real che distrugge il Barcellona, senza storia.
La Finale 3/4 qualcuno la vorrebbe abolire, credo siano quelli che non pagano il biglietto. Sarà pure un'amichevole, ma sai tu che squadre la giocano quell'amichevole lì? E vuoi che non ci piaccia?
La Finalissima la giocano Maccabi e Real. C'è una differenza clamorosa di budget, a favore del Real, che non si capisce come fabbrichi gli euro, visto quanto spende anche per lo sport minore che li avrebbe visti poi vincere. Qui invece no. Fatto di giocatori ottimi ma per niente strapagati e fighetti, il Maccabi sta lì, sembra sul punto di crollare e non crolla mai. E alla fine, dopo un supplementare, la vince. Non è kulo, magari un po' lo è, ma è piuttosto saper vincere e non voler perdere, è sbagliare pochissimo, quasi niente.
Una partita così fortifica la mia convinzione che nel basket un allenatore conta quanto un giocatore forte. David Blatt, quello del Maccabi, è un fuoriclasse. Altri meno, specie gli spagnoli; sono senza fantasia.
Milano provincia di Tel Aviv, per tre giorni. In piazza Duomo e nel palazzetto pieno di tifosi da Israele, vestiti di giallo, il colore dei campioni d'Europa.
Ci rimane un'immagine, di questa magnifica tre giorni. A poco dalla fine, c'è una coppia di tifosi Maccabi vicino a noi. Lui ammaina la bandiera, troppo svantaggio, è finita... gli si legge negli occhi. Lei con parole che non capisco ma con una grinta che fa paura lo assale: sventola quella bandiera, non è finita. Urla e canta, uomo implume senza fiducia. Non era finita. Aveva ragione lei.
   

È arrivato il momento di cambiare

Era il novembre 2009 quando ho aperto questo blog.Ne è passato di tempo, ne sono successe di cose.
Ero partito per scrivere di trail, ed è quello che più di tutto ho fatto. Ma nel frattempo siamo uno in più in famiglia, ho vinto un concorso con il posto fisso, abbiamo cambiato casa e città, ho iniziato a scrivere su qualche giornale, ho continuato a correre.
Sono aumentati piano piano i lettori fissi del blog, poi si sono fermati. Perché magari sono stato meno interessante, perché magari quando iniziavo di Twitter e Facebook a malapena avevo sentito parlare. Ora sono quelli gli strumenti attraverso i quali, più del blog, condivido pensieri e cose. E soprattutto è su quelle pagine che si è spostata l'interazione. Ma rimane, il blog, un mezzo affascinante nella sua ricchezza e mi sembra arrivato il momento di dargli una rinfrescata.
Vorrei diventasse di più il mio diario, vorrei riuscire ad andare oltre alla corsa, riproporre qui riflessioni che pubblico altrove, magari spiegando come nascono. Insomma, usare bene  il BlogdiCaio facendolo ripartire alla ricerca di nuove persone. E di cose nuove. Ho provato a farlo negli ultimi mesi, ma devo essere più ordinato.
Per questo, del tutto incoerente, ricomincerò presto dalla corsa in montagna e non abbandonerò mai il mio amato arancione. 

giovedì 1 maggio 2014

Subbuteo... la passione continua ad alimentarsi

Dopo il racconto della rinascita di una passione è passato un tempo sufficiente per poter scrivere che la crescita sta andando benissimo. 
Ho trovato l'ambiente ideale per giocare con il gruppo del "Trento Subbuteo" dove il mio approccio più ludico che agonistico si trova pienamente a suo agio. I compagni di squadra sono più forti di me, ma questo aiuta a migliorare. Una squadra che appena nata riesce pure a guadagnare la promozione sul campo, dalla serie D alla serie C. Io non c'ero, ma ho fatto il tifo via twitter. Ancora non ho avuto modo di partecipare a tornei, credo ci vorrà ancora del tempo anche perché i fine settimana sono dedicati alla corsa. Che rimane al top delle passioni e che richiede un allenamento tutto sommato più intenso di quello del subbuteo. 
Arrivano nuovi giocatori, il livello è buono e mi diverto davvero tanto. Ogni mercoledì sera, dalle 20.30 alle 23. Ho saltato pochi appuntamenti, solo per impegni di lavoro e per Pasqua. A proposito di Pasqua, quando sono tornato nell'Isontino per godermele ho avuto modo di giocare sui vecchi panni e con le vecchie squadre contro il mio amico David, compare di musica e subbuteo soprattutto. Riprendere in mano le squadre anni '70 che l'amico Gilbo mi ha passato tempo fa, quelle che compravo con i miei risparmi o che mi venivano regalate quando ero piccolo... è stato un bel tuffo nei ricordi.
C'è della tecnica, in questo gioco-sport. La mia attualmente è primo non prenderle. Mi piacerebbe giocare sempre all'attacco, ma bisogna fare i conti con capacità e attitudini. Per me meglio chiudere gli spazi e ripartire. Da quando l'ho capito, gioco meglio. Ho solo un piccolo rimpianto. Ho avuto troppo fretta nel comprare squadre così dette professionali, che non vengono via gratis, come si suol dire. Preferisco le mie care Zeugo da 10 euro. Sarà per abitudine, sarà perché prima bisogna affinare, ma con loro sbaglio di meno. E poi posso accontentare le mie fissazioni: giocare sempre con squadre latinoamericane, soprattutto argentine. Anche perché ancora non sono riuscito a trovare il Perù. 
#Playsubbuteo ... perché è una figata! 


giovedì 17 aprile 2014

Il diritto di essere ricordati per nome

Lo so che tutti vi siete precipitati in Trentino per comprare la copia de L'Adige di ieri. Se però qualcuno si fosse trovato in Australia, o sulla Luna, ecco il testo.

Il silenzio di Piazza San Pietro durante l’omelia di papa Francesco nella messa delle Palme ha fatto notizia. Tra i tanti spunti che si possono cogliere dalle sue parole, ve n’è uno che ci può rimandare a cronache d’Italia e d’Argentina. Ricordando la condanna di Gesù, Bergoglio ha detto: “Abbiamo sentito tanti nomi, tanti nomi. Il gruppo dei dirigenti, alcuni sacerdoti, alcuni farisei, alcuni maestri della legge, che avevano deciso di ucciderlo. Aspettavano l’opportunità di prenderlo. Sono io come uno di loro?”. I nomi. 
Poco meno di un mese fa, come ormai succede da vent’anni il primo giorno di primavera, “Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” ha organizzato una “Giornata della Memoria e dell’Impegno” per ricordare le vittime della criminalità organizzata. Quest’anno papa Francesco ha partecipato, testimoniando una forte sintonia con l’impegno di Libera e con la valenza civile di quello del suo fondatore, don Luigi Ciotti. Parte fondamentale del ricordo è la veglia, quella cui ha assistito Bergoglio. È il momento in cui vengono letti i nomi di tutte le vittime innocenti delle mafie. I nomi. Quest’anno sono stati 842: uomini, donne, bambini. Come tutti i presenti alla veglia, anche il papa ha ascoltato la lettura in atteggiamento di raccoglimento e preghiera: i nomi scorrono, ci sono quelli che conosciamo tutti e sono salutati da applausi (Giovanni Falcone e Paolo Borsellino), ci sono altri che invece sono meno noti. Racconta don Ciotti di come sia nata la Giornata della memoria e dell’impegno. Sono passati alcuni anni, da quando a Palermo nel corso di un’analoga iniziativa per non dimenticare si ricordavano i nomi dei magistrati uccisi dalla criminalità organizzata. Vicino a don Ciotti una donna piangente gli prese la mano chiedendogli: “Perché non dicono il nome di mio figlio?”. Era la madre di Antonio Montinaro, il capo della scorta del giudice Falcone. Il fondatore di Libera sottolinea: “Tutti hanno il diritto di essere ricordati per nome”. Ha ragione, don Ciotti. Sono parole che probabilmente anche il papa ha pensato spesso. C’è una bella canzone del gruppo rock argentino “Los Fabulosos Cadillacs” che si intitola “Desapariciones” (non è difficile ascoltarla online, per chi ne avesse curiosità) costruita proprio sul nome dei desaparecidos, persone che un regime cercò di far scomparire nel nulla: Ernesto, Altagracia, Agustín, Clara. Riuscendoci ma non del tutto: la loro memoria rimane viva, i loro nomi sono cantati, pronunciati, scritti sulle lenzuola di Plaza de Mayo a Buenos Aires. È storia d’Argentina, è anche la storia di Francesco. 
Il nome, per gli storici, è spesso un problema. L’esperienza di ricerca personale lo dice: per chi studia la storia del cristianesimo non è sempre facile trovare i nomi, ancor di più i cognomi. Quelli delle vittime ancora più nascosti di quelli dei carnefici. I documenti spesso li tacciono. Cronache, lettere, relazioni spesso parlano di “una donna”, “un giovane”, “un novizio”. Anonimi. Specie se sono passati alla storia perché hanno contestato. Le donne soprattutto non hanno avuto il diritto a essere ricordate per nome: sono le mogli di, le madri di. O peggio, non sono che un nome comune. Da storici abbiamo il dovere di cercare i nomi e di scriverli, di dirli. Non sempre si può, ma prendere in considerazione la loro realtà deve tenere desta l’attenzione su molti aspetti delle nostre ricerche: i conflitti di cultura, di religione, una lunga serie di ingiustizie passano proprio attraverso i nomi. Quando i missionari del XVI secolo attraversarono gli Oceani cambiarono i nomi delle persone, delle cose, delle idee. Sui nomi da dare in Cina al Dio dei cristiani costruirono una contesa durata secoli. È storia delle missioni, è anche la storia di Francesco. 
Oggi mia figlia, che ha un nome slavo e proviene dal confine italo-sloveno , mi parla dei compagni di scuola materna mettendo l’articolo davanti al nome, così come si fa in Trentino, altro luogo di frontiera. Ma i nomi che mi elenca non sono solo trentini, italiani, latini, europei. Sono nomi di altre culture, nomi d’Asia, d’Africa e d’America. Con l’articolo però, sono “il” e “la”. Ricordiamo i nomi anche per le cose belle. 

Claudio Ferlan
FBK – Istituto Storico Italo-Germanico


domenica 13 aprile 2014

#Northumbria2014. Tra storia, twitter e un po' di corsa

Eccomi di ritorno da Newcastle, dove sono stato per il Convegno Annuale della Social History Society. Bella esperienza, per vari motivi.
Newcastle la conoscevo solo perché ci giocava Alan Shearer. Non si può dire sia una bella città, segnata da un clima assai british (walking, eating, sleeping e ovviamente singing in the rain) e pure un po' freddino. Però c'è il Mare del Nord, che si raggiunge facilmente con la metro. 
Per la prima volta ho fatto un intervento pubblico in inglese, che certo non è il mio punto di forza. Me la sono cavata, ma c'è da migliorare. Mi hanno pure detto che ho l'accento tedesco. 
Il Convegno è stato interessante: la storia sociale nella storiografia inglese è cosa molto diversa da quella cui sono abituato. C'è spazio per curiosità che da noi si guarderebbero con sospetto: la storia dei modi di dormire (nel 1700), delle superstizioni, degli organizzatori di eventi sportivi. Un sacco di cose così. Social History. Io invece raccontavo di gesuiti tedeschi dissidenti di 450 anni fa, più o meno. Non che io mi dedichi, in questi casi, alla più stretta attualità. Me ne rendo conto. 
Al di là dei temi, mi ha incuriosito e insegnato molto il modo di presentare il proprio lavoro che in Inghilterra è assai più dinamico che da noi. Un bell'uso delle immagini, il racconto del convegno via twitter. Questo in particolare è utile: c'è un sacco di gente che parla, molti in contemporanea, quindi avere dei colleghi che ti raccontano le cose che non puoi ascoltare usando 140 caratteri e un hashtag (#Northumbria2014), bé, è stato bello. 
Ovvio poi che io mi sia regalato una corsa. L'obiettivo era seguire il Vallo di Adriano, ma da dove stava il mio albergo raggiungerlo significava attraversare un ponte con traffico a quattro corsie. Meglio un bel parco urbano. 
E non poteva mancare il mio tweet in tema: 
"Not only Socialhistory in #Northumbria2014. Running in #Leazespark before the Conference"

domenica 23 marzo 2014

Un mese di trail

Ho controllato, era il 16 febbraio quando salutavo con soddisfazione il primo approccio di primavera scrivendo: "Questa settimana ho ricominciato con le salite, e con qualche sentiero". Passato più di un mese, andiamo avanti così. Le scarpe d'asfalto le ho messe credo una volta sola, per accompagnare l'amico Giuliano che vuole riprendere a correre con un po' di continuità. Per il resto, o sentieri o misto asfalto sentieri.
Proprio un mese fa ha corso il bellissimo "Giro dei Grassi", in compagnia di Chiara e Alessio. Gran bel percorso sulle colline bresciane, 14km circa con 700m di dislivello positivo. All'inizio subito salita, come piace a me. L'ho presa allegra, cercando di correre il più spesso possibile. Come faccio molto spesso sono partito indietro: ho sempre l'impressione di essere tra i più lenti, dunque mi metto dietro. In quell'occasione però in salita andavo bene e sono rimasto un po' bloccato. Pazienza. Il bello del Giro dei Grassi 2014 era proprio il suo spirito non competitivo, complimenti agli organizzatori per l'approccio. Così sono rimasto un po' imbottigliato e ne ho approfittato per fermarmi a fotografare: era una giornata fantastica. Un esempio qui sotto.















Mi ha raggiunto Chiara e abbiamo continuato insieme fino alla fine. Come sempre, in discesa lei è meglio di me. 
Eccole qui sopra, le nostre facce soddisfatte.
Le settimane seguenti sono corse via bene con una cadenza regolare degli allenamenti: tre a settimana, di più non riesco. Il metodo funziona e Chiara mi ha suggerito un nome da Zecchino d'oro: "Il lungo, il corto e il pacioccone".
Faccio un lungo con dislivello: almeno due ore o 20km, spesso di più.
Faccio un corto (50'-1h) tirato, quasi sempre con salita incorporata.
Faccio un pacioccone come va va, quasi sempre in compagnia senza contare tempi e distanze.




Così ho raggiunto soleggiate croci di vetta e corso tra le nuvole. Questa croce di vetta poi mi regala una soddisfazione particolare: per la prima volta ho raggiunto il Cengio Alto correndo dal primo all'ultimo passo, il ritmo certo non è da vero skyrunner, ma non ce l'avevo mai fatta. Mi sento in buona forma, vado avanti bene e penso pure che quest'anno farò qualche bella gara, senza cercare chilometraggi eccessivi, ma dislivelli perché no.


Ieri ho avuto una bella riprova: ho corso 22km con 500m di dislivello abbondante in un tempo per me impensabile. Merito della compagnia dell'amico Gio, che mi tira il collo ma mi fa pure scoprire che magari riesco a correre un po' più svelto di quel che penso. Oggi piove, ma non ho voluto rinunciare al corto. 
Insomma. Sempre più in alto, in questo mese di trail. 






martedì 18 marzo 2014

Maracanazo

Perché il calcio, amici, può essere pure una cosa seria. Un racconto, quello del Mondiale 1950, con il presente storico, come fosse oggi.

La guerra è finita, si ricomincia a giocare. Dei Mondiali di calcio il ricordo è lontano, l'ultimo si è giocato nel 1938, ha vinto l'Italia. Ora tocca al Brasile: in Europa nessuno se la sente di organizzarli. Germania e Giappone nessuno li vuole: esclusi. 
L'Italia è campione, ma sta molto male. Il 4 maggio 1949 cade l'aereo sulla collina di Superga, sopra c'è il Grande Torino, la squadra imbattibile che pressappoco è la nazionale. Nessuno si salva. L'Italia partecipa ugualmente al Mondiale, ma in Brasile ci va in nave. Gli allenamenti sul ponte sono un disastro: presto tutti i palloni sono in mare. Si arriva a destinazione stanchi e non allenati. La prima partita è persa: 2-3 contro la Svezia, basta quello per essere fuori. Sportivamente diciamo pazienza, perché tanto sarà il Brasile a vincere. Lo sanno tutti. La squadra di casa, la squadra imbattibile, vestita di bianco con il colletto blu. La formula è un dettaglio, comunque: un girone finale con quattro squadre, quelle che hanno vinto i gironi di qualificazione. Brasile, Spagna, Svezia e Uruguay. 
Girone finale:
Prima giornata. Brasile-Svezia 7-1 ; Spagna-Uruguay 2-2.
Seconda giornata. Brasile-Spagna 6-1 ; Uruguay Svezia 3-2 (in rimonta, terzo gol a sei dalla fine).
Terza giornata. Al Brasile basta un punto, si gioca al Maracanà di Rio de Janeiro. Gli spettatori sono 199 mila e spiccioli, più di quanti ci possano entrare, ma ci sono i posti in piedi e arrangiarsi si deve. Dall'Uruguay un centinaio, tre i cronisti. La tele ancora non c'è, le cronache con le immagini del Mondiale si guardano al cinema. La radio, invece, quella sì che c'è. Tutto è pronto per il trionfo, neppure in Uruguay nessuno sogna qualcosa. Guardia d'onore, banda, magliette celebrative, titoli dei giornali, discorsi dei politici: tutto parla di Brasile campione.
Primo tempo. Zero a Zero. Per il Brasile è poco. Certo, può bastare, ma è poco. 
Secondo tempo. Ecco: così va bene. Passano due minuti e il brasiliano Friaça segna. Però questi uruguaiani non mollano. Addirittura… pareggiano. Schiaffino, 21' del secondo tempo. Il Brasile - non solo gli undici in campo - ha paura. La tremarella, la realtà che cambia strada. Succede. Lasciamolo dire a uno dei tre cronisti da Montevideo, (abbiate fede nella mia traduzione):
"Avanza Julio Pérez con la palla aspettando che Ghiggia si proponga. Julio Pérez continua ad attaccare. Pérez a Ghiggia. Ghiggia a Pérez. Pérez avanza, passa la palla a Ghiggia. Ghiggia salta Bigode. Il veloce attaccante destro uruguaiano avanza. Sta per tirare. Tira. Goool. Goool. Goooool. Goooool uruguaiano. Al minuto 34 segna il secondo gol la squadra uruguaiana".

Il Brasile si scioglie. L'Uruguay si solidifica. Undici in difesa. Non succede niente. Uruguay campione del mondo. 
La Guardia d'onore si scioglie, come il Brasile. La premiazione ufficiale salta. Le magliette celebrative si buttano. I politici tacciono e decidono: tre giorni di lutto nazionale. La banda non suona: lo spartito dell'inno uruguaiano neppure ce l'hanno. I titoli dei giornali saranno cose così:

Dicono siano morti in novanta, per quel gol di Ghiggia. Tra infarti e suicidi, molti legati a scommetto tutto quello che ho sul Brasile. Da quel giorno il Brasile non sarà più biancoblu, ma verdeoro. Per due anni la nazionale non gioca. Il portiere brasiliano Barbosa nessuno lo perdonerà più. Lo chiamano "L'uomo che ha fatto piangere tutto il Brasile". La doveva parare, poco importa fosse un gran tiro. 
Perché la storia, a volte, prende le strade che non ti aspetti.

Ho scritto questo post perché nelle mie abituali ricerche sul mondo sudamericano ho trovato notizia di un recente documentario uruguaiano intitolato "Maracanà. Il rumore della storia". Ai più attenti tra i lettori non sarà sfuggita la poesia de "L'allenatore nel pallone", Oronzo Canà che chiama sua figlia Mara.
Come molti, da piccolo sognavo di fare il giornalista sportivo. Il blog, tutto sommato, consente di farlo. Specie se non c'è bisogno di guadagnarci su perché un lavoro, bellissimo tra l'altro, già ce l'hai. 

E perché poi la poesia non andrebbe tradotta, visto anche che la lingua non è poi così ostica, ecco la trascrizione originale del racconto del gol di Ghiggia dalla voce del radiocronista uruguaiano Carlos Solé:

"Se va delante Julio Pérez con la pelota esperando que se cruce Ghiggia. Julio Pérez sigue atacando. Pérez a Ghiggia. Ghiggia a Pérez. Pérez avanza, le cruza la pelota a Ghiggia. Ghiggia se le escapa a Bigode. Avanza el veloz puntero derecho uruguayo. Va a tirar. Tira. Goool, goool, goooool, goooooool uruguayo. Ghiggia tiró violentamente y la pelota escapó al contralor de Barboza. A los 34 minutos, anotando el segundo tanto para el equipo uruguayo. Ya decíamos que el gran puntero derecho del conjunto oriental estaba resultando la mejor figura de los uruguayos. Se escapó de la defensa brasileña. Tiró en acción violenta. La pelota rasante al poste escapó al contralor de Barboza y anotó a los 34 minutos Ghiggia el segundo tanto para Uruguay. Uruguay 2 Brasil 1. Autor del tanto Ghiggia a los 34 minutos".

venerdì 14 marzo 2014

L'arcivescovo rispettoso

Nell'attesa di scrivere di trail (benedetta primavera incipiente!) vi propongo l'ultimo articolo del "vaticanista che corre".
Come spesso mi capita, cerco di guardare all'America Latina per capire qualcosa in più del mondo in cui viviamo. Si potrebbe allargare lo sguardo ad altri posti, certo, ma quella  è la parte del pianeta che sento più in sintonia con le mie curiosità.
Oggi è il turno dell'Uruguay.
 
Ecco il link: L'arcivescovo rispettoso



lunedì 24 febbraio 2014

Il "mio" Sanremo in 7 tweet (e una premessa, e una postilla)

Premessa. Più o meno, ho sempre seguito Sanremo. Non al punto di guardarmi tutte le puntate dall'inizio alla fine, di rinunciare allo zapping o di negarmi un'uscita serale per guardare la tele. Sono un grande appassionato di musica, ne ascolto tantissima e credo di non essere un cattivo conoscitore. Sanremo mi incuriosisce, per la musica e non per il varietà. Ovvio che, con queste premesse, il rischio di rimanere delusi sia evidente. Quest'anno l'opportunità di un "Festival anche social", come ricordavano spesso i conduttori, mi ha indotto a guardarlo con il tablet in mano e l'hashtag #Sanremo2014 sempre acceso. 
I tweet non sono tutti miei, qualcuno lo prendo in prestito per efficacia e capacità narrativa. 

1. Non ero così triste dai rigori del 1994 #Sanremo2014
Ecco un semplice riassunto della prima serata. La pantomima delle due canzoni per cantante scivola in disequilibrio tra il buffo e lo squallido. Sembra lo facciano apposta: una è palesemente priva di ritmo, anonima e senza sale; l'altra, un po' meglio. Dico un po' perché davvero il livello è basso. Solo la performance dei Perturbazione mi dice qualcosa, ma le serate successive confermeranno la prima impressione: è più che altro il confronto che li esalta. 

2. Né #Sanremo2014 né MilanAtleticoMadrid possono competere. Oggi era serata di #subbuteo. 
Mercoledì non si passa. Da qualche settimana l'appuntamento con il club Trento Subbuteo è imperdibile. Vado a giocare e mi diverto un sacco. Ho ritrovato questo fantastico gioco e spero di continuare a godermela a lungo. 
Mi spiace aver perso Rufus Wainwright, uno dei miei preferiti, che senza stupirmi scopro essere ben poco conosciuto in Italia. 

3. Mio marito che è geriatra è andato a letto. Ha detto che gli pareva di stare all'ospedale. #Sanremo2014 (Twitter PalliCaponera)
Questo è il commento più spassoso e azzeccato che ho letto nel corso dell'intervento di Arbore. Musicalmente insignificante, l'anziano Renzo trasuda gonfiore e pienezza di sé per un sacco di tempo. Ma è il trend festivaliero: omaggi alla Tele del passato, così, alla carlona. 

4. Il ritornello di Antonella Ruggiero verrà utilizzato nel porto di Genova come richiamo per i cetacei #staisanremo #Sanremo2014 (Twitter legend4rio)
Bella battuta, che mette l'accento sulla pochezza dei testi, sullo sforzo interpretativo di dubbio gusto così comune nella ricerca dell'enfasi e della presunta capacità tecnico-vocale. Quella che sconfina nell'esibizionismo. C'era anche un gustoso tweet sulle vocali del vibrato Sàrcina. Il senso è quello.

5. Mi si è guastata la Tv. Sta andando un programma del Sessantadue. #Sanremo2014.
Questa è dedicata al mago Silvan. Francamente inguardabile. Fa il paio con la geriatria, ma vista l'insistenza sul buon tempo andato, due menzioni l'argomento se le merita. Gino Paoli non fa più vibrare l'organo anziché non farlo cantare: sarebbe un terzo tweet a tema, ma lo lascio qui in sospeso.

6. Espulso Riccardo Sinigallia. La musica l'hanno menata in molti. Ma lui era l'ultimo uomo. #Sanremo2014.
La vicenda è italica. Sarebbe bello sapere chi si è preso la briga di spiare una prova live fatta davanti a duecento persone in un concerto di beneficenza a distanza di sei mesi. A parte la memoria prodigiosa, sa veramente di assurdo. A meno che non sia una trovata pubblicitaria: ci sarei cascato anch'io, visto che mai avrei parlato di una canzone che non mi ha lasciato in memoria neanche una parola. 

7. Occhiolino del fischiatore di Ron. #Sanremo2014 offre orrori in fascia protetta.
Significa poco, ma è un simbolo. L'ultima serata è rimasta per me nella memoria del sonno. Sono crollato prestissimo. Eravamo a casa di amici e doveva essere una sabato di relax guardando il Festival con interessata ironia prima di una domenica di corsa in montagna. Io ho dormito.

Postilla. Alla fine della fiera, l'unica canzone che mi è proprio piaciuta è quella di Zibba. Ho cercato su spotify il suo profilo e ascoltato con interesse. Molto bello. A qualcosa dunque Sanremo è servito. Per questo il prossimo anno sarò ancora lì. E Twitter sarà un buona compagnia. Anche lì mi chiamo @BlogdiCaio. 

domenica 16 febbraio 2014

Questione di metodo

Da qualche tempo ho deciso di regalare un po' di varietà al blog, scrivendo di più del mio lavoro e di altri passatempi che non siano solo la corsa. È curioso verificare che ora i commenti sono molto più frequenti su Facebook o su Twitter di quanto non siano invece qui su blogger. Sta cambiando il profilo di chi mi legge e personalmente ho trovato stimolante, diciamo così, variare l'offerta. 
Oggi torno alle mie corse che, contrariamente a quanto si possa pensare dal blog, sono in piena forma. 
Il metodo è l'elemento fondamentale del mio lavoro, sarà forse perché il trail serve a staccare, non sono mai riuscito ad avere metodo anche negli allenamenti. Sembra però che a partire da fine 2013 io abbia fatto un passo avanti. Ormai sono un paio di mesi che procedo con ordine. Tre uscite a settimana, talvolta quattro, ma tre rimane il numero di riferimento. Una intensa, una di almeno due ore, una come va va. Nell'uscita lunga cerco sempre compagnia, magari solo per una parte. Bella idea, questa. Mi consente di correre più spesso con Chiara. La quarta uscita può essere cyclette o come va va, se c'è. Oddio, non un gran metodo... ma sta funzionando bene. 
Ancora non mi sono posto degli obiettivi, l'idea sarebbe quella di non puntare tutto su una cosa molto impegnativa (il Magraid dello scorso anno, per esempio), ma di differenziare inserendo un po' di trail "corti" (max distanza mezza maratona). Per i lunghi, quel che viene viene. L'ambizione massima è quella di organizzare un viaggio di corsa a tappe, il top sarebbe con qualche amico, ma la difficoltà di mettere a posto tutte le variabili rischia di costringermi al progetto solitario.
Il prossimo fine settimana dovrebbe essere la prima occasione per cogliere qualche frutto. Ho due idee, vediamo quale va in porto. 
Se questo è metodo... Se lavorando fossi così ordinato, ora sarei sicuramente disoccupato. 

martedì 4 febbraio 2014

Dai nuovi documenti la verità su Pio XII (più o meno)

Metto sul blog l'articolo che il quotidiano trentino L'Adige ha pubblicato lunedì scorso. Lo metto perché l'ho scritto io. Il titolo è forse un po' forzato, non mi piace mai parlare di verità. Per questo ho messo una parentesi, che ovviamente sul giornale non c'è. Ma i titoli sono, giustamente, scelti da chi il giornale lo fa. 
Ringrazio il direttore che mi ospita con una certa frequenza e mi regala sempre la prima pagina. 

Ha destato interesse la recente intervista del rabbino argentino Abraham Skorka. Da tempo amico di papa Francesco, Skorka ha dichiarato al Sunday Times la propria convinzione che presto Bergoglio aprirà gli archivi vaticani per gli anni del pontificato di Pio XII. È ovvio l'importante riferimento alle carte relative agli anni delle persecuzioni naziste. La notizia in sé non dice nulla di nuovo, ma certo offre lo spunto per qualche riflessione che contribuisca a fare chiarezza sulla consultazione dei documenti d'archivio e, più in generale, sul mestiere di storico. 
Nulla di nuovo, perché? Per varie ragioni. Innanzitutto Bergoglio e Skorka già ebbero modo di confrontarsi sul tema, come è ben evidente dalla lettura del capitolo dedicato all'olocausto nel libro-dialogo “Sobre el cielo y la tierra”, pubblicato in prima edizione nel 2010. Il rabbino affermava di non comprendere le ragioni teologiche della canonizzazione di papa Pacelli. Chiedeva all'allora vescovo di Buenos Aires un'opinione sui celebri silenzi di Pio XII e sulla necessità di lasciare libero accesso ai documenti del suo pontificato. La risposta non lascia dubbi: “Quello che lei dice sull'apertura degli archivi della Shoah mi pare perfetto. Che si aprano e che si chiarisca tutto. Che si veda se si poteva fare qualcosa, fino a dove fu possibile agire, e se abbiamo sbagliato in qualcosa dovremo dire: 'Qui abbiamo sbagliato'. Non dobbiamo avere paura. L'obiettivo deve essere la verità”. Ora Bergoglio ha nelle proprie mani il potere di aprire quegli archivi, e non c'è ragione di dubitare che lo farà. Del resto, questa è da anni la volontà della Chiesa. Lo ha ribadito padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, a chi gli chiedeva un commento sulle affermazioni di Skorka. Il Prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, Sergio Pagano, già nel 2009 aveva annunciato che si sta lavorando al riordino dei documenti del pontificato di Pio XII in vista della loro apertura alla consultazione. E per volontà di Paolo VI sono stati pubblicati undici volumi di atti relativi alla vita della Santa Sede durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nulla di nuovo, dunque. Ci è voluto molto tempo e presumibilmente ce ne vorrà ancora poco: siamo in dirittura d'arrivo. Serve ricordare come il riordino secondo i più accurati canoni archivistici di una simile mole di carte (si parla di circa 16 milioni di documenti per un periodo compreso tra 1939 e 1958) non è uno scherzo, e di certo non è pensabile che siano liberati alla consultazione atti non ordinati. Bastano questi semplici dati a far comprendere quale mole di lavoro attenderà gli storici che per primi vorranno cimentarsi nell'impresa. Si potranno davvero leggere grandi novità? Alcuni studiosi pensano di no, convinti che la massa di notizie ricavate da altri archivi non potrà essere rivoluzionata da quello Vaticano. Certo è che l'istituzione-Chiesa presenta caratteristiche così peculiari da lasciar presumere nuove conoscenze sulla condotta di papa Pacelli di fronte alle persecuzioni antisemite. Saranno rivelazioni sconvolgenti? Saranno piccole scoperte interessanti solo per la comunità degli storici e tutto sommato indifferenti per l'opinione pubblica? Le risposte si faranno attendere e saranno di certo molto discusse. 
Come ben sa chi si interessa alla biografia di papa Francesco negli anni della dittatura militare argentina, vi è un ulteriore aspetto da sottolineare. Spesso uomini e donne che si spesero per la salvezza dei perseguitati preferirono non lasciare traccia di quello che fecero. È una questione, prima di tutto, di sicurezza: meno si documenta, meno è possibile essere scoperti. Dopo l'elezione di Bergoglio da più parti si è cercato di ricostruire quello che lui ha fatto per aiutare i ricercati del regime a salvarsi. I risultati di questi tentativi lasciano ancora aperte molte voragini, pur avendo a disposizione la testimonianza orale di vari protagonisti. Cosa che per gli studiosi della Shoah è molto più difficile da avere. Ci sono avvenimenti e relazioni destinati all'oblio, quello che invece sarà riportato alla memoria ha bisogno di tempo per essere studiato. Ben venga allora l'apertura degli archivi e ben vengano la preparazione, la competenza e la serietà scientifica di chi li frequenterà alla ricerca di nuove informazioni su Pio XII.     
Claudio Ferlan
FBK – Istituto Storico Italo-Germanico

lunedì 3 febbraio 2014

Il "mio" Superbowl in 7 tweet (e una premessa, e una postilla)

Premessa. Considero il football americano lo sport più bello del mondo. Senza se e senza ma. Mi ci sono appassionato già alle scuole medie, quando avevo il diario dell'NFL e mi piacevano le divise dei New Orleans Saints. Poi al Liceo ero riuscito a scovare delle pubblicazioni in italiano e avevo studiato regolamento e un po' di tattica. Nel mio unico viaggio negli States, avevo vent'anni, a Denver riuscii a vedere i Broncos di John Elway. Da lì loro divennero la mia squadra, per quanto si possa essere tifosi a un continente di distanza. Le opportunità offerte da internet mi hanno consentito di seguire il campionato con grande continuità (quest'anno ho visto una quarantina di partite). Dopo i fasti degli anni Novanta, i Broncos hanno giocato ieri un altro Superbowl. E hanno perso in maniera imbarazzante. 

Ieri sera ero prontissimo a godermi la partita. In campo, oltre a Denver, la squadra che preferisco per come gioca. Seattle. Le aspettative sono enormi. Ho da mangiare, da bere e da commentare. Uso twitter con l'hashtag #superbowl. Mi sento parte di una comunità. 

Primo tweet. "Kazzeggio in attesa del Superbowl". 
Si comincia alle 0.30 e in qualche modo bisogna pure ingannare l'attesa. Inizio con qualche arachide. Da una settimana non tocco birra: mi sono portato avanti per avere una notte gaudente. Ho anche un cosa termica che ti consente di tenere in mano il barattolo di Guinness senza scaldarlo. Ma è troppo presto per la birra. 

Secondo tweet. "Il tè notturno per il Superbowl è kusmitea. Interessa a qualcuno? A me, perché mi tiene sveglio. 
Non mi piace il caffè e sono invece un amante del tè. Chiara mi ha portato in regalo da Parigi una miscela che mi piace un sacco. Conosce bene i miei gusti. Inganno l'ultima attesa, quella in cui anche i secondi passano lenti, godendomi una tazza di tè in cucina. Il tempo prende un po' di velocità e si comincia. 

Terzo tweet "Clamoroso"
Dopo dodici secondi Seattle è già in vantaggio. Un errore macroscopico di un giocatore di Denver regala due punti. Negli USA amano le statistiche, è la segnatura più veloce della storia del Superbowl. Per di più, regalata dalla squadra che aveva la palla. Una possibilità su un milione. 

Quarto tweet. "Che challenge è? Denver in confusione. Ansia da superbowl". 
Nel football un allenatore può chiedere la revisione (challenge) di una chiamata arbitrale affidando la decisione alle immagini televisive. Cose evolute che altri sport temono. Questo tweet, secondo me, segna l'emblema della partita. Se la decisione non cambia, perdi una possibilità (due a tempo) e un timeout (tre). L'allenatore dei Broncos chiama una follia. Azione chiara pro Seattle e per di più ininfluente. Lo vedo come il segno della serata. Un'intera squadra, appunto, in confusione. A partire dallo staff.   

Quarto tweet. "Scherzi a parte o Superbowl?"
Peyton Manning, miglior giocatore dell'anno, lancia una palla sbagliatissima e si fa intercettare. Sembra una partita adulti contro bambini, uno squilibrio impressionante. Gli adulti vengono da Seattle. 

Quinto tweet. "Autogol di Carter. Denver nel fumo del Colorado".
Una semplice azione difensiva si trasforma in un fallo evidente. Carter spinge un ricevitore di Seattle come fosse un bullo da bar. Il riferimento alla liberalizzazione del fumo in Colorado sta diventando un must su twitter. Dal fallo arriva il touchdown. Punteggio impietoso. Denver inchiodata a zero, sembra un gruppo di anatre impazzite che gira a caso nello stagno. 

Sesto tweet. "Andiamo a dormire"
Secondo intercetto per Manning, il ritorno arriva in touchdown. Inutile dare spiegazioni, significa che siamo 22-0. Già il risultato è bello tosto, ma l'idea della inevitabile nanna la suggerisce la mostruosa differenza tra le due squadre. Seattle difende da dio, con gli occhi della tigre e attacca con precisione invidiabile. Gli altri non si sa dove siano.

Settimo tweet. "Commoventi i tentativi dei telecronisti di dare ancora un senso al Superbowl" 
Capisco. Devi cercare i tenere i telespettatori attaccati allo schermo, ma i tentativi possono apparire grotteschi. La triade di Italia Uno, per altro preparata, simpatica e competente, ci prova e ci riprova, ma le immagini non li rendono credibili. Pare chiaro come sia tutto finito. Probabilmente ancora prima di cominciare. Vai a capire perché. Finirà 43-8. Un massacro sportivo. 
E non ho bevuto neanche una birra.
Tra i tweet #superbowl me ne segno uno americano che dice, più o meno, che il peggior Superbowl della storia e Dylan che fa pubblicità per una macchina fanno del 2 febbraio una giornata triste per gli Stati Uniti.

Postilla. Non resisto e voglio finire facendo il figo. Il 9 settembre ho scritto su FB: "Sento il bisogno di scriverlo, per comunicare presumibilmente solo a me stesso che… Non credo di aver mai visto su un campo da football qualcosa di simile a Russell Wilson". 
Probabile che esagerassi d'entusiasmo, ma oggi Wilson è il quarterback dei campioni.
Ecco. Ho fatto il figo.