martedì 18 marzo 2014

Maracanazo

Perché il calcio, amici, può essere pure una cosa seria. Un racconto, quello del Mondiale 1950, con il presente storico, come fosse oggi.

La guerra è finita, si ricomincia a giocare. Dei Mondiali di calcio il ricordo è lontano, l'ultimo si è giocato nel 1938, ha vinto l'Italia. Ora tocca al Brasile: in Europa nessuno se la sente di organizzarli. Germania e Giappone nessuno li vuole: esclusi. 
L'Italia è campione, ma sta molto male. Il 4 maggio 1949 cade l'aereo sulla collina di Superga, sopra c'è il Grande Torino, la squadra imbattibile che pressappoco è la nazionale. Nessuno si salva. L'Italia partecipa ugualmente al Mondiale, ma in Brasile ci va in nave. Gli allenamenti sul ponte sono un disastro: presto tutti i palloni sono in mare. Si arriva a destinazione stanchi e non allenati. La prima partita è persa: 2-3 contro la Svezia, basta quello per essere fuori. Sportivamente diciamo pazienza, perché tanto sarà il Brasile a vincere. Lo sanno tutti. La squadra di casa, la squadra imbattibile, vestita di bianco con il colletto blu. La formula è un dettaglio, comunque: un girone finale con quattro squadre, quelle che hanno vinto i gironi di qualificazione. Brasile, Spagna, Svezia e Uruguay. 
Girone finale:
Prima giornata. Brasile-Svezia 7-1 ; Spagna-Uruguay 2-2.
Seconda giornata. Brasile-Spagna 6-1 ; Uruguay Svezia 3-2 (in rimonta, terzo gol a sei dalla fine).
Terza giornata. Al Brasile basta un punto, si gioca al Maracanà di Rio de Janeiro. Gli spettatori sono 199 mila e spiccioli, più di quanti ci possano entrare, ma ci sono i posti in piedi e arrangiarsi si deve. Dall'Uruguay un centinaio, tre i cronisti. La tele ancora non c'è, le cronache con le immagini del Mondiale si guardano al cinema. La radio, invece, quella sì che c'è. Tutto è pronto per il trionfo, neppure in Uruguay nessuno sogna qualcosa. Guardia d'onore, banda, magliette celebrative, titoli dei giornali, discorsi dei politici: tutto parla di Brasile campione.
Primo tempo. Zero a Zero. Per il Brasile è poco. Certo, può bastare, ma è poco. 
Secondo tempo. Ecco: così va bene. Passano due minuti e il brasiliano Friaça segna. Però questi uruguaiani non mollano. Addirittura… pareggiano. Schiaffino, 21' del secondo tempo. Il Brasile - non solo gli undici in campo - ha paura. La tremarella, la realtà che cambia strada. Succede. Lasciamolo dire a uno dei tre cronisti da Montevideo, (abbiate fede nella mia traduzione):
"Avanza Julio Pérez con la palla aspettando che Ghiggia si proponga. Julio Pérez continua ad attaccare. Pérez a Ghiggia. Ghiggia a Pérez. Pérez avanza, passa la palla a Ghiggia. Ghiggia salta Bigode. Il veloce attaccante destro uruguaiano avanza. Sta per tirare. Tira. Goool. Goool. Goooool. Goooool uruguaiano. Al minuto 34 segna il secondo gol la squadra uruguaiana".

Il Brasile si scioglie. L'Uruguay si solidifica. Undici in difesa. Non succede niente. Uruguay campione del mondo. 
La Guardia d'onore si scioglie, come il Brasile. La premiazione ufficiale salta. Le magliette celebrative si buttano. I politici tacciono e decidono: tre giorni di lutto nazionale. La banda non suona: lo spartito dell'inno uruguaiano neppure ce l'hanno. I titoli dei giornali saranno cose così:

Dicono siano morti in novanta, per quel gol di Ghiggia. Tra infarti e suicidi, molti legati a scommetto tutto quello che ho sul Brasile. Da quel giorno il Brasile non sarà più biancoblu, ma verdeoro. Per due anni la nazionale non gioca. Il portiere brasiliano Barbosa nessuno lo perdonerà più. Lo chiamano "L'uomo che ha fatto piangere tutto il Brasile". La doveva parare, poco importa fosse un gran tiro. 
Perché la storia, a volte, prende le strade che non ti aspetti.

Ho scritto questo post perché nelle mie abituali ricerche sul mondo sudamericano ho trovato notizia di un recente documentario uruguaiano intitolato "Maracanà. Il rumore della storia". Ai più attenti tra i lettori non sarà sfuggita la poesia de "L'allenatore nel pallone", Oronzo Canà che chiama sua figlia Mara.
Come molti, da piccolo sognavo di fare il giornalista sportivo. Il blog, tutto sommato, consente di farlo. Specie se non c'è bisogno di guadagnarci su perché un lavoro, bellissimo tra l'altro, già ce l'hai. 

E perché poi la poesia non andrebbe tradotta, visto anche che la lingua non è poi così ostica, ecco la trascrizione originale del racconto del gol di Ghiggia dalla voce del radiocronista uruguaiano Carlos Solé:

"Se va delante Julio Pérez con la pelota esperando que se cruce Ghiggia. Julio Pérez sigue atacando. Pérez a Ghiggia. Ghiggia a Pérez. Pérez avanza, le cruza la pelota a Ghiggia. Ghiggia se le escapa a Bigode. Avanza el veloz puntero derecho uruguayo. Va a tirar. Tira. Goool, goool, goooool, goooooool uruguayo. Ghiggia tiró violentamente y la pelota escapó al contralor de Barboza. A los 34 minutos, anotando el segundo tanto para el equipo uruguayo. Ya decíamos que el gran puntero derecho del conjunto oriental estaba resultando la mejor figura de los uruguayos. Se escapó de la defensa brasileña. Tiró en acción violenta. La pelota rasante al poste escapó al contralor de Barboza y anotó a los 34 minutos Ghiggia el segundo tanto para Uruguay. Uruguay 2 Brasil 1. Autor del tanto Ghiggia a los 34 minutos".

2 commenti:

  1. Pur avendo perso qualsiasi interesse per il calcio questo ricordo storico l'ho apprezzato, essendo ormai avvolto dalla magia del tempo trascorso

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    1. Tutto fa storia... il calcio in effetti ha rotto anche gli iper-appassionati come me, ma ci sono così tante chicche che penso proprio di divertirmi scavando nel passato.

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