domenica 22 settembre 2013

StrongRun 2013: passo lento e cervello spento, ecco il mio motto

Non è propriamente una corsa, piuttosto una sequela di divertimenti spalmata tra i kilometri. Funziona così, almeno per me e credo per la maggior parte: ti vesti come un folle e parti, aspettando di trovare degli ostacoli strani e di passarli in qualche modo, due giri di 9,5 km. La fortuna è che tutto questo succede a Rovereto. Lo scorso anno avevo fatto lo spettatore, ma stavolta non me la perdo e con il mio amico Giuliano si decide che si va. Mogli e figli a fare il tifo lungo il percorso.
Siamo tanti, cinquemila, i costumi belli ti portano un po' al carnevale. 
Io ho scelto un costume, come scrivevo al mio amico Roby che potrebbe essere... fatina? Bebè alato? Farfallina? Forse la risposta è: un mona allegro. Giuliano fa il mago, e le ali sono merito suo: che bel regalo! Durante la corsa abbiamo scoperto che ci vogliamo bene. 
Si comincia a correre tra le strade più larghe di Rovereto, così quelli che sono lì per agonismo guadagnano tempo sugli ostacoli. Poi. Ti mettono dentro una tenda con acqua in faccia e vapore. Ti fanno passare sotto delle reti e - il mio preferito - saltare dentro il fango. Ti fanno salire su una montagnola di sabbia... siamo talmente tanti, al primo giro, che si va su a spinta. E in mezzo corri, in mezzo alle gomme, tra un sacco di gente che guarda, ci sono anche tanti bambini ed è divertente salutarli con le mie ali che sbattono e provano a farmi volare. Ma gli ostacoli li devo superare a gambe, braccia e spinta.  
Poi ci si butta in piscina, e ci si butta con stile, volando o facendo sventolare il mantello. 

Le foto sono del secondo giro. Al primo giro in verità mi ero tuffato a testa e avevo iniziato a nuotare come fossi uno da piscina, dimenticando di avere le scarpe e due ali. Ho rischiato di affondare.  Che ci volete fare, avevo spento il cervello... e comunque ero felice. 
Poi si va a guadare il Leno, giù dall'argine, su dall'argine. C'è una bella ressa di folli e aspettiamo più di venti minuti il nostro turno... è lì che ci siamo giocati la vittoria! 
Si sale su strade molto conosciute (sono la mia rampa di lancio per il giro del Monteghello, allenamento abituale). 
Si scala un muro di paglia... il primo giro salgo senza problemi, il secondo invece non ce la faccio: ma cosa succede, perché non riesco, scivolo, che succede? Avevo un biberon in mano, ti credo che la presa scivolava. Mi ripeto. Che ci volete fare, avevo spento il cervello... e comunque ero felice. Poi scala di tronchi e tuffo nella schiuma. Qui troviamo, al primo giro, donne e figli. I piccoli non convintissimi della sanità mentale dei padri. Notare il biberon in mano nel dettaglio. Vi piace la cuffietta?

Infine altre gomme, qualche muro e l'arrivo. Ce la siamo goduta. Da una mattata così non sapevo bene cosa aspettarmi, ero molto fiducioso sul divertimento, ed avevo ragione: proprio figo, correre conta il giusto, lo si fa con il sorriso e qui la folla è un valore aggiunto, non siamo mica sui monti. Bello anche avere tanta gente che ti guarda e ti incita. Quanto ho riso! Spero che il prossimo anno la rifacciano a Rovereto. 
Eccoci all'arrivo, ali un po' scompigliate, fiocchetto sul didietro e vai a prenderti la medaglia, finisher. 

Sul web girano un sacco di foto e filmati, se volete farvi quattro risate, è una buona occasione. 

mercoledì 18 settembre 2013

Il filo interrotto. Lo riannodo in salita

Sono due mesi che non scrivo sul blog, tempo lungo paradossalmente spiegabile non con il non avere niente da scrivere, quanto piuttosto con l'averne troppo. Sia di corsa, sia di non corsa. Vacanze, libri, trail, corse degli altri, basket e football. Sono stato indeciso e la soluzione è la più facile. 

Riprendo il filo, senza mescolare troppe cose, e dico la mia sulle mie corse.

In questi due mesi non mi sono risparmiato, ma senza mai indossare un pettorale. Sono sempre più convinto: la dimensione che più mi si addice è quella non agonistica. Nell'ultimo post raccontavo la mia uscita sul monte Zugna, ed è da lì che riparto. Una settimana di vacanze in montagna e il rientro a Rovereto con ritmi di lavoro e famiglia non troppo serrati mi hanno consentito di andare per monti con buona frequenza. E mi sono divertito soprattutto a salire con quella che per me è buona velocità, spesso correndo. Salire e proseguire. Semplicemente, scegliendo un punto di partenza e uno di arrivo, guardando le montagne dalla terrazza oppure studiando una cartina. Senza pensare a tempi e km, mettendoci dieci minuti o quattro ore e divertendomi tanto, in entrambi i casi. A scendere, invece, mi diverto molto meno. Probabilmente perché non ne sono tanto capace, di certo perché la lentezza della salita più mi si addice della velocità della discesa. 
In Carnia ho scoperto il piacere di risalire un sentiero di due km scarsi per godere della corsa in verticale. E ho portato con me a Rovereto il piacere di questa scoperta, che implica la considerazione di pianura e discesa come semplici tempi di riscaldamento e recupero. Mi sono goduto le brevi distanze. 
La terrazza e la cartina sono i miei riferimenti più attuali, i volantini delle gare mi suscitano indifferenza. Faccio fatica a condividere il sentiero con tante persone, non mi diverto a stare in montagna, o in collina, tra la folla. Le corse di gruppo mi attraggono in teoria e mi deludono in pratica. È bello essere in pochi, spesso mi tocca essere da solo, ma l'arrivo della ragazza alla pari sta iniziando a farci riscoprire, a Chiara e a me, il piacere di condividere il trail.
Questo non significa rinunciare alle gare, ma in effetti sono tre anni che il pettorale lo metto pochissimo. Ne metterò altri, magari per esplorare nuovi luoghi e nuovi aspetti del mio correre, ma al momento a me piace così.