sabato 14 dicembre 2013

Chi porta da mangiare?

Ci sono un filosofo, un ingegnere e uno storico… sembra l'inizio di una barzelletta, ma non è corretto: è l'inizio di una cosa divertente che ora è arrivata non alla fine ma a un risultato. Un libro.
Il filosofo e l'ingegnere coinvolgono lo storico in una storia interessante: raccontare il cibo da differenti punti di vista. L'occasione è il lancio di BringTheFood, un'applicazione fatta per mettere in contatto chi ha del cibo in eccesso e lo vuole donare con chi, vicino a lui, è in cerca di risorse alimentari da garantire a quelli che ne hanno bisogno. L'applicazione è stata creata da un centro della mia Fondazione:  http://ict4g.org/home/index.html.
Così cominciamo a lavorare (lo storico sono io, come immagino non fosse difficile capire) e prima proponiamo un discorso sul cibo tra attualità, filosofia e storia alla Notte dei Ricercatori. La serata funziona alla grande e ripetiamo: organizziamo una serata coinvolgendo altre persone che parlano di bere e mangiare. Teologia, comunicazione, biologia, politica… quasi tutti parlano di cibo. Non basta. Decidiamo di fare un libro e arrivano a farci compagnia anche sociologia, antropologia e, ci mancherebbe, alta cucina. L'editore della nostra Fondazione (lavoriamo tutti e tre nello stesso posto, anche se in istituti diversi) sposa con entusiasmo l'idea. 
Sono dodici capitoli che raccontano il cibo da diversi punti di vista, dopo ogni capitolo uno chef si è lasciato ispirare per proporre una ricetta che a quello che ha appena letto rimandi. Non basta. Una mostra su arte e alimentazione ci ha concesso i diritti per delle belle immagini fotografiche, ci sono anche quelle. 
Ne nasce un libro che davvero ci piace un sacco.


Provate a dare un'occhiata alla scheda del libro, amati bloglettori: Chi porta da mangiare?. Secondo chi l'ha letto vale la pena. Il prezzo è assai contenuto, io non ho diritti d'autore, quindi la pubblicità è economicamente disinteressata. A me fa piacere far sapere che esiste. 

domenica 8 dicembre 2013

La frontera invisible, Kilian Jornet - Il secondo libro

Ho comprato "La frontera invisible" il giorno dell'uscita. Potenza dell'ebook. Non sapevo che Kilian stesse lavorando al suo secondo libro, è stata una sorpresa per me scoprire la sua esistenza e avere la possibilità di iniziare a leggerlo da subito. 
Fatto il preambolo, veniamo al dunque: una delusione. Sono arrivato alla fine solo perché ho voluto crederci fino in fondo, sperando in qualche spunto, qualche colpo di teatro che cambiasse la direzione monotona che il racconto prende fin dalle prime pagine. Non è successo niente. 
Lo schema narrativo è molto noto: prendere spunto da un viaggio reale (rielaborato nella finzione letteraria, come l'autore mette subito in chiaro) per raccontare un viaggio interiore. A ripercorrere schemi noti si rischia di essere banali, a meno di non avere qualche dono particolare nascosto nella penna, cosa che succede a pochi. Raccontando di alpinismo si dice di riflessioni, emozioni, amori, interpretazioni, sogni. La morte di un amico in un incidente in montagna mette in crisi il giovane campione, che cerca risposte agli enigmi della montagna andando in montagna. Tre volte "montagna" in una frase per dire che la protagonista assoluta è lei, più delle persone. Da qui il viaggio interiore, che si risolve in una serie di riflessioni raccontate non bene e rese ridondanti da ripetizioni frequenti e dialoghi per niente evoluti. 
Il viaggio reale è verosimile, ricostruito chiaramente su esperienze vissute in prima persona o comunque ben note attraverso la condivisione. Ma neppure questo viaggio ci porta alla meta: mi sono mancate le emozioni, la curiosità di attaccarsi alle parole per vedere come va a finire.
Non sempre si può vincere.  
Ma sono molto curioso di sapere se qualcuno la vede in maniera diversa. Magari sono stato io a non entrare nello spirito del libro, a perdermi qualcosa.


venerdì 29 novembre 2013

Titoli di coda

Il viaggio argentino sta per finire. Tra qualche ora si riprende la strada. Sarà un pullman Mar del Plata-Buenos Aires, sarà un volo Buenos Aires-Parigi, sarà un volo Parigi-Verona, sarà, la cosa più bella, una macchina che mi viene a prendere per il Verona-Rovereto. 
Non mi dispiace affatto tornare, anzi. La qualità della seconda parte della permanenza è andata in calando, per vari motivi. 
Raccontiamola. Ho trascorso un paio di serate turistiche a Buenos Aires, la prima a vedere un concerto di tango (musica senza ballo), la seconda allo stadio. Entrambe belle. La partita era Racing Avellaneda-River Plate. Sono andato con un'agenzia, unico italiano in gruppo USA, così ho approfittato per parlare un po' di football. "A wild experience", l'ha definita il mio vicino Dean, giovane da Chicago. E già. Perché per i tifosi argentini la partita mi è parsa un'esperienza fisica. Cantano, ballano, gridano, si muovono di continuo, ridono si arrabbiano. Di tutto. Sempre un gran rumore. Il Racing non aveva ancora vinto in casa, e domenica ha vinto, così noi turisti siamo divenuti i beniami del settore. Ci hanno chiesto di tornare o almeno di lasciare le nostre foto sui seggiolini. Non mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse andata male. Probabilmente niente. 
Poi l'incontro più bello e ricco sul piano professionale, una conferenza di Benedetta e mia all'Istituto di Storia Religiosa dell'Università di Buenos Aires. Davvero molto arricchente, sembra che le nostre idee abbiano piantato il seme per ulteriori collaborazioni, già più presenti che future. 
A Mar del Plata, raggiunta con un comodissimo bus, tutta un'altra storia. Qui ho partecipato, stavolta da solo, ad un convegno tanto grande quanto mal riuscito. Il simbolo è un gruppo di prof spagnoli che si ascoltano a vicenda e poi vanno in giro per la città, senza dare il minimo credito agli altri. Basti questo. Peccato, perché ho prolungato il viaggio apposta ed è stato un prolungamento senza frutto, non fosse per la fortunata coincidenza di poter riprendere il dialogo con due colleghe salutate a Buenos Aires e reincontrate qui. 
Mi rimane un grosso dubbio. Montezuma viveva migliaia di km a nord. Che c'entro io con la sua vendetta, io che me ne sto buono nel profondo sud? Perché lo fai? Ecco, me ne torno a casa avendo saltato una quantità di pasti imbarazzante, avendo perso asados su asados, senza un briciolo di forza per correre in riva all'Oceano. Comunque, Montezuma, non ti serbo rancore. Hai sempre ragione tu. 

sabato 23 novembre 2013

Il pomeriggio di un giorno da bradipi

Eccomi qui, comodo e scrivente sul letto di un albergo argentino. Sono a Buenos Aires da quattro giorni, è la seconda volta che ci vengo e le sensazioni sono le stesse del primo momento. È un posto che mi piace molto. Peccato che le connessioni dei lavori di Chiara e mio poco lascino pensare ad un soggiorno comune in queste latitudini, ma mai dire mai. Almeno la prossima volta spero tanto di venirci con le due donne. 
Sono in viaggio per lavoro, fortuna che quello che faccio mi piace moltissimo e che mai risulti un peso. Il primo giorno è servito ad ambientarsi almeno un po', il secondo già era intenso. Con l'amica e collega Benedetta abbiamo presentato un seminario sui documenti degli archivi del Vaticano (lei) e degli ordini religiosi (io). Otto ore di lezione in due giorni. La prima puntata ha avuto un che di romantico. Per un blackout abbiamo fatto le nostre presentazioni senza internet, senza powerpoint, senza luce e abbiamo finito in anticipo perché il sole calava. La seconda puntata invece l'abbiamo girata secondo i canoni della tecnologia. È stato interesante, parola che ieri mi sono sentito dire fin troppe volte e ci ho scherzato su. Abbiamo avuto un pubblico composito, dal professore di alto livello in pensione al giovane studente alle prime armi. Pare che abbiamo soddisfatto tutti. Certo che l'accoglienza e l'ospitalità, davero magnifiche, dei colleghi argentini è talmente bella che fa capolino il piccolo sospetto che l'entusiasmo possa avere almeno in parte i toni della buona creanza. Anche se, pare tutto davvero molto sincero.
Mi sono stancato molto. Oltre al fuso orario, ci sono da aggiungere anche i tempi completamente spostati. Per dirne una, alla cena del dopo lavoro di ieri abbiamo iniziato a mangiare dopo le 23 e siamo tornati in albergo quasi alle 2. Sommato all'orologio che si sposta, il risultato è un completo ribaltamento rispetto al tempo italiano. E poi succede che comunque al mattino ti svegli. E la mattinata di oggi è stata turistica, ma dopo il tardo pranzo, come talvolta dice chi corre o chi pedala, non ne avevo più. Una skypata con casa e mi sono appoggiato. Dormito un poco, letto e guardato il football al computer (che sogno, qui Nfl Pass è gratuito). Ora sono le otto e mezza della sera, fa un caldo becco e tra un'ora ho l'appuntamento per una passeggiata prima di cena. 
Comincio a poter dire di conoscere parecchi colleghi argentini: bello il loro mondo, mi sento accolto e siamo ancora agli inizi. Dopo il weekend ci sarà un'altra conferenza a Buenos Aires, poi un convengo a Mar del Plata. Ho sgobbato parecchio per tutto questo e ancora ci sarà da sgobbare nei prossimi giorni, ma ne vale la pena.
Rimane il fatto che il pomeriggio di un giorno da bradipi mi ha conservato, non posso dire ricaricato, ma conservato sì. Non sono nemmeno andato a correre a Puerto Madero. Domani è un altro giorno. Anzi, per chi mi legge dall'Italia, oggi è un altro giorno. 

domenica 17 novembre 2013

Dove sarò il primo dicembre?

Quest'anno niente Cavalcata Carsica, la prima domenica di dicembre vivrò un paradosso temporale che non mi riesco a spiegare. Sarò in volo tra Buenos Aires e Parigi,  di ritorno da un viaggio di due settimane. Salterò dunque dei fusi orari e quale sarà la mia collocazione cronologica mentre partirà la Cavalcata? Dovrò mandare in avanti l'orologio: e quelle ore lì dove le metto? Significa che mentre gli amici corrono sul Carso io non sto esistendo? 
L'ormai prossima trasferta argentina ha richiesto una preparazione piuttosto accurata perché il calendario è fitto: due giorni di lezione e una conferenza a Buenos Aires, un convegno a Mar del Plata. A un nuovo invito dell'ultima ora dovrò dire di no: le distanze sono complesse. Ho ancora molto da imparare. Quattro appuntamenti, quattro cose diverse: l'arte del riciclo la devo proprio affinare. Non bastasse la preparazione, gli ultimi giorni di lavoro trentini sono stati piuttosto intensi anche su altri versanti. Mi piace, il mio lavoro, e raramente mi tiro indietro quando c'è da inventare, raccontare, scrivere qualcosa. Sono fortunato così. 
Avevo già programmato di prendermi un break dalla corsa: in Argentina porterò le scarpe, ma senza affanni. Se riesco, corro. Se non riesco, non corro. Il ritmo frenetico della preparazione storica, però, mi ha suggerito di anticipare la pausa. 
Al mio rientro cercherò di darmi un obiettivo per la prima parte del 2014. Una bella gara, o un bel percorso. Perché gli obiettivi di ricerca sono già pronti. Ci sarà da scrivere. 


lunedì 28 ottobre 2013

Basket e Gesuiti!

Gli amici che mi leggono sanno che per lavoro e interesse personale bazzico spesso le notizie che arrivano dal Vaticano, sia quelle di cinquecento anni fa, sia quelle di oggi. 
Un titolo come "Stati Uniti, lo sport che fa bene alla Chiesa" non poteva certo mancare di stuzzicare il mio interesse più di quanto un peperoncino messicano possa stuzzicarmi il palato!
Lo spunto per questo bel titolo viene da due notizie:
1) durante la maratona di Washington (corsa ieri) un gruppo di amici del seminario della città del Pentagono corre per promuovere le vocazioni: Run for Vocations; al di là della trovata, quello che mi pare più interessante è la proposta per i partecipanti al gruppo di un allenamento che contribuisca a costituire la spiritualità del maratoneta. In parole povere, allenarsi per i 42,195 può essere una metafora del cammino richiesto per avanzare nella propria fede.
2) i due vescovi delle città che si stanno giocando le World Series di baseball, St. Louis e Boston, hanno fatto una scommessa: chi perde donerà 100 dollari del suo portafoglio personale alla Caritas della diocesi vincente. Un modo per pubblicizzare le attività caritative parlando di baseball.
Non scrivo questo post per commentare le due notizie, ma per proporre una riflessione sullo sport in generale. Io credo che fare sport, amare lo sport, seguirne i principi anche fuori dai campi e dai sentieri sia un modo coerente per entrare in una dimensione spirituale. Non è detto che questo abbia a che fare con la fede, né con le vocazioni o la beneficenza. Leggo spesso complicati commenti su cosa sia o debba essere "spirito trail", leggo ancora più di frequente ipocrite dichiarazioni di "fair play" da parte dei sempre meno acuti esponenti dello sport nazionale. Molte balle. Da noi lo sport è fare l'affare, dal calcio prima di tutto riceviamo il triste esempio di uno sport completamente materiale, senza spiritualità, senza poesia. Dove è plausibile che molto sia deciso a tavolino. Pure dal trail ricaviamo esempi ben poco edificanti di agonismo selvaggio per arrivare novantesimi anziché novantunesimi. Nella mia esperienza di allenatore di basket ho visto troppi genitori rovinare la gioia del gioco. Togliere ai loro figli quel qualcosa che potrei definire anche "spiritualità".
Probabile che le due notizie di cui sopra non abbiano niente a che fare con la mia riflessione, però me l'hanno ispirata. Negli Stati Uniti c'è un rapporto con lo sport molto meno malato del nostro: lì l'agonismo puro si limita ai professionisti, per tutti gli altri c'è un mondo di sfide con se stessi e grandi passioni. Gli stadi di football (come amo questo sport!) sono sempre fitti di spettatori, tifosi delle due squadre in campo mescolati tra loro, quasi tutti con la maglia della propria squadra, originale e non tarocca. È un mondo che si apre a mille metafore, un mondo che mi piace da matti. Non saranno tutte rose e fiori, ma la roba bella non manca.
Chi segue la trasmissione radiofonica 610 sa di cosa parlo quando cito "Corri in edicola", una gag fatta per coglionare le folli offerte che troviamo ogni giorno, appunto, in edicola.
Un esempio,"Stalin e Cozze": "Corri in edicola, perché da oggi c'è Stalin e Cozze: mitili e peoci, i molluschi marini bivalvi sono davvero ricchi di vitamina E? Tutto sulla collettivizzazione delle campagne nel quinto piano quinquennale di Stalin ... e con il primo numero di S&C in regalo una riproduzione in grandezza naturale di una cozza con l'effigie del leader sovietico".
Chiara mi prende in giro, a buon diritto, dicendo che un giorno fonderò la rivista "Basket e gesuiti". Che questo post sia il primo passo?

sabato 19 ottobre 2013

Qualcosa più di un trail... dall'Isonzo a Miramare, attraverso il Carso

Ho controllato. Era il primo maggio 2012 quando avevo scritto del progetto di una traversata carsica da Sagrado al mare. È passato un anno e mezzo, ma finalmente il progetto è diventato realtà 
Con grande piacere ho ospitato sul blog il racconto di Michele e linkato quello di Marco. Vi consiglio di leggere loro per capire come è andato il nostro trail, io non voglio ripetere quello che già i miei compagni di Carso hanno scritto, dunque scrivo del mio viaggio in maniera più personale, quasi intima. 
Dopo la bella serata di sabato sono contento di partire a piedi verso il mare. Mi spiace che Mateja sia a letto con l'influenza, perché se lei fosse stata in forma sarebbe stato possibile un arrivo diverso. 
Partiamo in quattro, l'idea è fare Sagrado-Miramare attraverso il Carso e poi rientrare con i mezzi pubblici. Michele è forte, Marco è forte ma non allenato, Leo è giovane e ci accompagna fino Monfalcone. Io sono quello che sono. 
La prima parte scorre via veloce, mi dico che veloce lo è troppo e credo sia vero. I km iniziali sono i "miei", quelli dei posti di famiglia, un po' si chiacchiera, un po' si guarda. La compagnia è bella. Monfalcone arriva fin troppo presto. Leo ci saluta, io sto bene. Però il ritmo mi preoccupa: non è il mio. E qui la solita domanda: sono io che tengo troppo o sono io che sono quello che sono? Ovvero. Mica tanto forte. Quando arrivano i luoghi della Cavalcata Carsica sono molto contento: è bello ripercorrerli al contrario, così che la fine non sia la fine e tu possa guardare con occhi meno velati quello che ti sta intorno. 
Mi piace chiacchierare con Marco e Michele perché non si parla solo di corsa, anzi di corsa si dice poco. A me la corsa piace un sacco, ma mi piacciono un sacco tante altre cose. 
Facciamo una sosta, sono passati circa 17 km se non ricordo male. Scegliamo la strada futura leggendo la carta: ci sarà un po' di asfalto, ma a me non disturba. L'asfalto delle stradine provinciali, quello dove le macchine passano una volta ogni tanto; non è male. Prima dell'asfalto, però, abbiamo un paio di rampe mica da ridere. Mi impressionano fiato e passo di Michele. A me salire piace, ma qui siamo davvero su altri ritmi. 
Passano le vette carsiche, arriva l'asfalto di Sistiana. Mi tengo un po' indietro, i compari corro troppo svelti. Ci fermiamo a fare rifornimento e poi dopo un breve tratto di costiera si sale sul sentiero "1". Panorami da urlo, al plurale perché le vedute si susseguono una all'altra. Ecco il motivo per cui il 1 maggio 2012 avevo confidato al blog di voler correre fin qui. Andiamo avanti, soste fotografiche per riempirci gli occhi di bello. Il lato estetico del trail, forse spesso sottovalutato, io lo valuto eccome!
Siamo a 27 km se non ricordo male. Dico a Marco e Michele che è meglio se vanno, io sto vivendo una crisi e non sarebbe saggio inseguirli. Meglio continuare da solo. Michele dice che secondo lui ho ancora birra in corpo, io davvero vorrei averne, di birra in corpo. Purtroppo alla sosta bar sono stato conservativo e ho preso cocacola. Su questo sentiero per me non si corre: troppe rocce, troppa instabilità. Vado al passo, di buon passo, e mi godo senza fretta tutto questo mare. Poi la strada cambia, alterno corsa e camminata. A Santa Croce il sentiero va in asfalto, dove sarà la prosecuzione? Lascio stare la cartina e chiedo ai passanti. Con i passanti non ha funzionato, la prossima volta guarderò la cartina, in fondo si procede per prove ed errori! 
Salgo e non mi convince, scendo e non mi convince. Continuo su asfalto, sentieri non ne trovo. Ora sto meglio. I quadricipiti di marmo liquido che mi avevano suggerito di lasciare andare i compari riprendono forma di muscolo e posso proseguire serenamente. Il problema è che non so bene dove sono. A volte è una condizione che infastidisce. Giri una curva e trovi il contrario di quello che pensavi di trovare. È lì che spesso ti fermi, cammini un po' e poi riparti. Però là sotto il castello di Miramare mi fa compagnia e certo in qualche modo fin là ci arrivo. E ci arrivo. Sono 37 km, se non ricordo male. Soste comprese, 5 ore tonde tonde. Dislivello non so.  
Scrivo a Michele che sono prossimo alla stazione, ma loro non ci sono. Si sono persi peggio di me. La stazione è deserta, sembra una ghost town del vecchio West. Eppure da internet dicono ci fermino dei treni. Michele mi chiama. C'è un bus. Ottimo. Raggiungo (correndo!) lui e Marco alla fermata. Mi cambio. Arriva il bus, neanche si ferma. L'autista fa cenno "il prossimo". Io dico allora ne avranno fatti partire due. Michele ride e dice si vede, che vivi in Trentino. In effetti non passa nessuno. Autostop dei tre puzzoni senza successo, prendiamo un autobus che ci porta a Trieste,in stazione mangio e bevo come un orco (anche una birra), poi un treno fino Sagrado, salvo un'inquietante sosta (a Miramare!) con il locomotore che fuma come un turco. 
Una parafrasi per i miei "se non ricordo male": non riesco a scaricare la traccia del Garmin (una notizia che non me lo fossi dimenticato) perché i miei computer sono in vacca. Già ho lanciato uno sfogo anti Apple su FB.
E qualche nota.
Correre con lo zaino è una cosa che va allenata: non posso tenere i ritmi senza zaino se lo zaino sta in spalla. Avere i vestiti di ricambio all'arrivo vale lo sforzo delle spalle caricate. 
E poi... che devo fare? Rassegnarmi ai lunghi in solitaria? Meglio il proprio ritmo dall'inizio alla fine? Mi piace molto la buona compagnia, quella di questa corsa era perfetta, ma il mio passo è così mio che non riesco a condividerlo. 
Di certo questa corsa va rifatta, cercando magari di allungare fino Barcola. 
Sono soddisfatto, non granché come trailer, però mi diverto, sto bene, recupero in fretta e gestisco le crisi. 
Non ci sono altre ragioni per fare cose così. Almeno. Non per me.

giovedì 17 ottobre 2013

Sagrado - Miramare


Con grande piacere ospito il racconto dell'amico Michele. Domenica scorsa siamo andati al mare!
Marco invece ha il suo blog: http://mansumarco.blogspot.it/2013/10/13-ottobre-2013-trail-da-sagrado.html
 
Ore 9 e 40, siamo davanti alla stazione di Sagrado. Che sia domenica lo si capisce dalle poche macchine parcheggiate, durante la settimana il piazzale è pieno. Stranamente il bar è aperto, peccato che oggi non voglio far colazione. Ho sempre amato le stazioni dei treni e i bar connessi, sono pieni di gente interessante, gente che viaggia per dovere, pendolari studenti, impiegatini e nel caso di Sagrado anche qualche “foresto” del CPT… Poi, gli odori delle stazioni sono interessanti, a me piacciono gli odori, anche quelli sgradevoli, ragiono come i cani, che annusando un luogo capiscono a modo loro le cose.
Comunque, parcheggiamo l’auto e troviamo Caio ad aspettarci, due convenevoli e si parte. Occhi puntati sull’asfalto per qualche centinaio di metri, poi si entra nel bosco. Subito una salita, chiacchieriamo ed il fiato si fa più corto. Compagnia mal assortita, compagnia ben assortita. Siamo 4, il più estraneo è Leo, mio nipote alla sua prima corsa vera e propria, 10 km fino a Monfalcone, un battesimo tranquillo per i suoi polmoni allenati da un soggiorno di un anno a Quito, 2800 metri sul mare. Corre con le mani in tasca, inforca gli occhiali da sole e sembra a suo agio. Parla poco, come un uomo, ma lo sento, lo vedo tranquillo, non si lamenta, buon inizio Leo.
Arriviamo nei pressi delle alture di Polazzo, qualche recinto con la scritta proprietà privata, beati gli indiani, che non avevano queste pretese di possesso… A destra i 100.000 morti di Redipuglia, giusto là dietro, quei cipressi parlano chiaro a chi alza gli occhi. Continuiamo, siamo già sul Monte Sei Busi, ancora morti e la terra è veramente rossa in questo passaggio. Sarà rossa per il ferro, ma ho sempre una sensazione strana nel pestare questi luoghi, vorrei essere più magro, più leggero. Scolliniamo e a breve arriviamo nei pressi di un cippo della prima guerra mondiale, foto di rito. Penso non sia passato molto tempo, forse 4/5 anni, che il carso deve aver preso fuoco. Si vede dalle piante pioniere che qui ripopolano la landa carsica. Ailanto, dei pioppi sul versante più riparato a sud. Il timo è in fiore, non ricordavo fiorisse in autunno, va beh, mettiamo anche questo nella memoria della mente.
Arriviamo sotto il monte Cosici. Saliamo? No, no, coro unanime. Tutti stanno bene, il fiato non manca, ma meglio risparmiare, il viaggio è ancora lungo. Quota 65, si scollina. Quota 65. Ai tempi della prima guerra i monti non avevano nome (o li avevano in slavo, figurati) per cui erano chiamati con l’altitudine segnalata dalle cartine. Monti? ... Sono collinette, ma non si poteva morire per delle “colline”, per cui  venivano catalogati come monti, ma colline sono e colline rimangono.
Andiamo avanti, Leo ci saluta, ha fatto il suo, bravo Leonardo, benvenuto!
Pietrarossa, un lago incantato ferito dall’autostrada.
Ora tocca salire sull’ Arupa Cupa… quota? Non ricordo. Pochi mesi fa un escursionista ha trovato un intero arsenale nei pressi di dove corriamo adesso, con conseguente polemica su chi dovesse accollarsi il costo dell’operazione di brillamento e bonifica. Sui morti nessuna polemica, oramai quelli…
Jamiano, intravediamo il 3 e l’arrivo del 3 col suo bel trattore rosso, chi ha fatto la cavalcata carsica sa di cosa parlo. Stiamo in silenzio, secondo me tutti e 3 pensiamo al 3 e alla fatica di finire quel magnifico viaggio che si intraprende la prima domenica di ogni dicembre…
Monte Flondar, poi  arriviamo a Medeazza dove ci fermiamo a guardare la cartina. Nemmeno un’occhiata al percorso fatto, gli occhi sono puntati sul percorso ancora da compiere. Il 3, no, scendiamo per l’8, no, guarda l’oleodotto come taglia il carso, ottimo andiamo di là! Ripartiamo, salita, si conversa piacevolmente, “ma quanto costano le case in trentino”, “ma che giornata stupenda”, “dobbiamo guadagnarci il mare”! Si viaggia, si viaggia, con le gambe, con la mente. Ceroglie, stupenda, sembra di essere in Galizia, muretti a secco, odore animale, si viaggia…C’è un cartello che propone la vendita di un formaggio pecorino, oddio, devo tornare qua, ho fame, e hai capito, fanno il pecorino, non sapevo, dev’essere un urlo!
Passiamo davanti a Sistiana, Marco si emoziona, si ricorda di quando abitava qua e finito di lavorare affrontava l’Ermada correndo. Bei tempi andati? Ma dai… Marco è il picio del gruppo, mal assortito, ben assortito. Non si allena ma va, lo controllo, porta il fiato un po’ corto ma ce la fa, qualche piccolo acciacco, d’altronde non siamo qua a pettinare bambole. Lo vedo combattivo, non ha paura di soffrire, mi piace.
Caio ha una piccola crisi, ma passerà, abbiamo aumentato il ritmo, il sale del mare ci riempie già i polmoni affaticati e le gambe hanno cominciato a girare senza chiedere permesso alla testa. Corriamo incontro al blu, voglia di costiera!
Ci fermiamo al bar della costa dei barbari, un caffè, che piacere. Tutte quei zuccheri in vista… ma ho già detto, niente colazione, niente zuccheri. L’idea è di abbinare un viaggio con gli amici ad un allenamento. Quale allenamento? Migliorare le capacità del corpo di utilizzare i grassi durante l’attività fisica. Bisogna prima terminare le scorte di glicogeno, quindi un bel lungo, magari senza colazione, poi il corpo deve, se non si mangia nulla, attingere ai grassi. Il ritmo da tenere non è così importante, anzi, un lungo lento è l’ideale. Usciamo dal bar, si riparte, direzione costiera, che sole, che giornata. Arriviamo all’imboccatura del sentiero 1, ci si inerpica e in un attimo siamo sopra la strada costiera. Via il rumore delle automobili, siamo nuovamente nel bosco. Sembra di stare in montagna. Osservatorio Tiziana Weiss, avevo letto qualcosa di questa alpinista, poi, mi ricorda un sentiero, magnifico anche quello, in Carnia. Ci sono delle ginestre in fiore, fuori stagione, of course, solitamente una seconda fioritura è indice di stress per le piante, chissà, ci rimugino un po’.
Ora Caio è stanco, rimane un po’ indietro. I km si fanno sentire, siamo al 30° credo, mi manca il garmin, dimenticato a casa! Guardo Caio, è una cara persona, grande stima per quello che fa. Secondo me ha ancora molta, molta birra nelle gambe ma ho l’impressione che non gli dispiaccia stare solo per un po’, senza la sensazione che qualcuno lo “tiri”. Uomo libero da costrizioni, Caio. Io e Marco andiamo avanti, Caio prosegue da solo, con l’idea di ritrovarci a Miramare , stazione dei treni. Cellulare acceso, abbiamo entrambi batteria. Alla fine Caio arriverà prima di noi, prima del previsto, si vede che la birra c’era.
Ora ritroviamo il sentiero della salvia, poco da dire, meraviglia, meraviglia, sole, mare, caldo, una favola. Sentiamo il profumo dei marittimi, non inteso come portuali, ma come i pini. Leggera discesa, terreno morbido, una meraviglia.
Arriviamo a Santa Croce, chiediamo informazioni, una direzione, un sentiero. I cartelli sono bilingui, le panetterie vendono burek, salto culturale, un altro mondo nel nostro mondo, che ricchezza. Ville disabitate con una vista da urlo. Riprendiamo il sentiero, terreno morbido. Marco fatica, ma stringe i denti, e va. Ha le articolazioni in fiamme, ma non molla, grande Marco. Andiamo a vista, non abbiamo cartine, non abbiamo riferimenti, ma Miramare  è li sotto per cui… Incrociamo degli escursionisti, ci danno delle indicazioni: dobbiamo andare fino a Prosecco, poi trovare un cartello blu con scritto parco di Miramare e scendere! Non possiamo sbagliare! Mai dire queste parole, Mai!
Arriviamo a Prosecco, un altro mondo ancora, troviamo una vecchietta, chiediamo ancora informazioni stradali, sentieristiche e questa ci risponde con un chiaro accento slavo:  “andate zo di quà!”, andiamo. Ci perdiamo, altro che “zo”. Solita storia. Continuiamo a naso su dei sentieri oramai abbandonati, ma la traccia c’è, questo ci basta. L’ultima volta che questo sentiero è stato calcato la vecchietta faceva ancora girare gli occhi agli uomini. Rovi, erbe e sassi, ma arriviamo, arriviamo. Miramare. Caio ci aspetta, è arrivato prima lui di noi, non so da dove è passato, forse nemmeno lui.
Alla fine del viaggio si sta meglio che all’inizio. 
Michele


martedì 15 ottobre 2013

Quattro chiacchiere tra amici

Tempo fa ho scritto un libro. Non propriamente un bestseller, piuttosto una spero dettagliata ricostruzione di una parentesi storica del 1600 austriaco. In sintesi, si parla di come i gesuiti si siano inseriti nel territorio tra Friuli, Carinzia e Slovenia. I gesuiti sono un ordine religioso molto singolare, oggi si cerca di conoscerli meglio perché il papa attuale è uno di loro. Io li studio da ormai dieci anni. È parte integrante del mio lavoro, mettere per iscritto quello che studio. Certo non posso sperare nel successo commerciale. Del libro ho fatto un paio di presentazioni, poi una terza. Di questa ho voglia di scrivere. Mi hanno chiesto dal mio comune di origine, Sagrado, di raccontare le mie ricerche in una serata da organizzare. Bella idea, e mi sono messo a pensare. Volevo tentare di fare qualcosa di piacevole, il più lontano possibile dal noioso. Allora ho provato a coinvolgere Marco, amico di vecchia data, oggi giornalista. Coinvolto. E abbiamo provato a concretizzare l'idea di una chiacchierata tra storia e attualità. Ci siamo detti che la cosa migliore era seguire un canovaccio condiviso e lasciare spazio all'improvvisazione e alle suggestioni del momento. 
Il titolo metteva insieme quello del libro (Dentro e fuori le aule) e di tutto un po' (I gesuiti a Gorizia e nel mondo, dal 1600 ai giorni nostri, o qualcosa di simile). 
Sabato scorso, dopo tanti incroci d'agenda, ci siamo trovati a Sagrado ed è stata una gran bella serata. La saletta piena di gente, persone in piedi, tanti amici che non vedevo da tempo, facce interessate, incuriosite, divertite. Marco e io sapevamo di avere una certa sintonia, il tempo non l'ha intaccata. Ci siamo divertiti facendo il nostro mestiere: un vero lusso. Credetemi: cercare di capire il passato non è tempo perso. Studiare non lo è mai. 
Dal mio attuale direttore ho imparato molte cose, una fondamentale - rubo le sue parole - è che uno storico che riesca ad avere anche una parte pubblica, comunicativa, nella sua professione aggiunge sale al piatto delle sue ricerche. Cerchiamo di uscire dagli archivi, altrimenti rischiamo di ammuffire!  
Eccoci, Marco e Caio in un brainstorming veloce prima della chiacchierata.


Un grosso grazie a chi c'era e a chi ci sarebbe stato volentieri ma non ci è riuscito. 
Grazie a Barbara che ha avuto l'idea. Il comune di Sagrado è l'unico posto che non mi ha mai messo in difficoltà per le elezioni. 
Grazie a Marco che, come sempre, è stato super.


E siccome ero a Sagrado, il giorno dopo ho realizzato un progetto di corsa che bolliva in pentola da un po'. Chi mi conosce su Facebook già sa cosa intendo, per gli altri... C'è il prossimo post! 

venerdì 4 ottobre 2013

Le opinioni di un "vaticanista" che corre


Il nuovo corso di Papa Francesco
Discernimento e apertura, carismi gesuiti

L’intervista che papa Francesco ha concesso al direttore di “Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro è stata guardata con molto interesse dalla stampa internazionale, non solo da quella cattolica. L’attenzione è meritata per una serie di ragioni: il carisma e il ruolo di chi risponde, la competenza e la raffinatezza intellettuale di chi domanda, la profondità e la ricchezza degli argomenti trattati, alcuni riconoscibili come un leitmotiv dei rapporti tra la Chiesa, i credenti e i non credenti. Si pensi al ruolo della donna nella Chiesa o alle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Di questo molto si è detto, rischiando forse di sottovalutare il fondamento del pensiero espresso in merito da papa Bergoglio, un pensiero che trova le sue radici nella spiritualità della Compagnia di Gesù e del suo fondatore, Ignazio di Loyola. 
Due sono le chiavi di lettura necessarie: il discernimento e l’apertura. Francesco legge la sua appartenenza all’ordine dei gesuiti anche attraverso la categoria del discernimento, una virtù che sta alla base dell’insegnamento ignaziano e che porta con sé la giusta attenzione al tempo: i cambiamenti e le riforme non si possono fare improvvisamente, seguendo un’agenda dettata dalla fretta e dalla voglia di avere tutto e subito; al contrario, hanno bisogno di essere pensati. Dalle parole del papa si evince chiaramente che questo non significa certo differire, ma progettare. L’esempio di Ignazio in tal senso è davvero unico: dopo la sua conversione si lanciò con entusiasmo nella predicazione, salvo accorgersi molto presto della necessità di acquisire i fondamenti teologici, anche per difendersi dalle accuse di simpatia per i protestanti. Si era nella prima metà del Cinquecento, e lo strappo confessionale segnava profondamente le coscienze. Ignazio allora scelse di tornare tra i banchi, con persone molto più giovani di lui. Si prese il suo tempo, e così comportandosi riuscì a organizzare le fondamenta di un ordine religioso che ha caratterizzato la storia del cristianesimo degli ultimi cinque secoli.
Il pensiero del gesuita, aggiunge Bergoglio, deve essere aperto, pronto al dialogo, creativo. Sono tutte indicazioni che ci rimandano a un tratto fondamentale dell’identità della Compagnia di Gesù: l’essenzialità della missione. “Una pastorale missionaria – spiega il pontefice – non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio missionario si concentra sul necessario”. Per capire cosa sia necessario, però, serve conoscere e Bergoglio significativamente invita la sua Chiesa ad andare incontro all’altro nelle zone di frontiera. Spesso il gesuita si è mosso, nella storia, davvero al confine; non solo quello geografico, ma anche quello tra ortodossia ed eterodossia. Penso ai numerosi casi, spesso anonimi, di uomini che si comportavano contro le regole, interpretandole, violandole, ridefinendole: la storia dell’evangelizzazione delle Americhe, per esempio, è piena di casi simili. Ed è da questo atteggiamento, profondamente ignaziano, che nasce un’opinione di Francesco che ci pare davvero innovativa e foriera di speranza: la visione dalla dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata, dice, e aggiunge che le scienze aiutano la Chiesa a crescere nella comprensione. A volte dimentichiamo che anche la storia è una scienza e che anch’essa, come le sue sorelle più riconosciute, può aiutare a crescere nella comprensione.

Claudio Ferlan 
Fondazione Bruno Kessler – Istituto Storico Italo-Germanico
Copyright - L'Adige, pubblicato il 3 ottobre 2013

domenica 22 settembre 2013

StrongRun 2013: passo lento e cervello spento, ecco il mio motto

Non è propriamente una corsa, piuttosto una sequela di divertimenti spalmata tra i kilometri. Funziona così, almeno per me e credo per la maggior parte: ti vesti come un folle e parti, aspettando di trovare degli ostacoli strani e di passarli in qualche modo, due giri di 9,5 km. La fortuna è che tutto questo succede a Rovereto. Lo scorso anno avevo fatto lo spettatore, ma stavolta non me la perdo e con il mio amico Giuliano si decide che si va. Mogli e figli a fare il tifo lungo il percorso.
Siamo tanti, cinquemila, i costumi belli ti portano un po' al carnevale. 
Io ho scelto un costume, come scrivevo al mio amico Roby che potrebbe essere... fatina? Bebè alato? Farfallina? Forse la risposta è: un mona allegro. Giuliano fa il mago, e le ali sono merito suo: che bel regalo! Durante la corsa abbiamo scoperto che ci vogliamo bene. 
Si comincia a correre tra le strade più larghe di Rovereto, così quelli che sono lì per agonismo guadagnano tempo sugli ostacoli. Poi. Ti mettono dentro una tenda con acqua in faccia e vapore. Ti fanno passare sotto delle reti e - il mio preferito - saltare dentro il fango. Ti fanno salire su una montagnola di sabbia... siamo talmente tanti, al primo giro, che si va su a spinta. E in mezzo corri, in mezzo alle gomme, tra un sacco di gente che guarda, ci sono anche tanti bambini ed è divertente salutarli con le mie ali che sbattono e provano a farmi volare. Ma gli ostacoli li devo superare a gambe, braccia e spinta.  
Poi ci si butta in piscina, e ci si butta con stile, volando o facendo sventolare il mantello. 

Le foto sono del secondo giro. Al primo giro in verità mi ero tuffato a testa e avevo iniziato a nuotare come fossi uno da piscina, dimenticando di avere le scarpe e due ali. Ho rischiato di affondare.  Che ci volete fare, avevo spento il cervello... e comunque ero felice. 
Poi si va a guadare il Leno, giù dall'argine, su dall'argine. C'è una bella ressa di folli e aspettiamo più di venti minuti il nostro turno... è lì che ci siamo giocati la vittoria! 
Si sale su strade molto conosciute (sono la mia rampa di lancio per il giro del Monteghello, allenamento abituale). 
Si scala un muro di paglia... il primo giro salgo senza problemi, il secondo invece non ce la faccio: ma cosa succede, perché non riesco, scivolo, che succede? Avevo un biberon in mano, ti credo che la presa scivolava. Mi ripeto. Che ci volete fare, avevo spento il cervello... e comunque ero felice. Poi scala di tronchi e tuffo nella schiuma. Qui troviamo, al primo giro, donne e figli. I piccoli non convintissimi della sanità mentale dei padri. Notare il biberon in mano nel dettaglio. Vi piace la cuffietta?

Infine altre gomme, qualche muro e l'arrivo. Ce la siamo goduta. Da una mattata così non sapevo bene cosa aspettarmi, ero molto fiducioso sul divertimento, ed avevo ragione: proprio figo, correre conta il giusto, lo si fa con il sorriso e qui la folla è un valore aggiunto, non siamo mica sui monti. Bello anche avere tanta gente che ti guarda e ti incita. Quanto ho riso! Spero che il prossimo anno la rifacciano a Rovereto. 
Eccoci all'arrivo, ali un po' scompigliate, fiocchetto sul didietro e vai a prenderti la medaglia, finisher. 

Sul web girano un sacco di foto e filmati, se volete farvi quattro risate, è una buona occasione. 

mercoledì 18 settembre 2013

Il filo interrotto. Lo riannodo in salita

Sono due mesi che non scrivo sul blog, tempo lungo paradossalmente spiegabile non con il non avere niente da scrivere, quanto piuttosto con l'averne troppo. Sia di corsa, sia di non corsa. Vacanze, libri, trail, corse degli altri, basket e football. Sono stato indeciso e la soluzione è la più facile. 

Riprendo il filo, senza mescolare troppe cose, e dico la mia sulle mie corse.

In questi due mesi non mi sono risparmiato, ma senza mai indossare un pettorale. Sono sempre più convinto: la dimensione che più mi si addice è quella non agonistica. Nell'ultimo post raccontavo la mia uscita sul monte Zugna, ed è da lì che riparto. Una settimana di vacanze in montagna e il rientro a Rovereto con ritmi di lavoro e famiglia non troppo serrati mi hanno consentito di andare per monti con buona frequenza. E mi sono divertito soprattutto a salire con quella che per me è buona velocità, spesso correndo. Salire e proseguire. Semplicemente, scegliendo un punto di partenza e uno di arrivo, guardando le montagne dalla terrazza oppure studiando una cartina. Senza pensare a tempi e km, mettendoci dieci minuti o quattro ore e divertendomi tanto, in entrambi i casi. A scendere, invece, mi diverto molto meno. Probabilmente perché non ne sono tanto capace, di certo perché la lentezza della salita più mi si addice della velocità della discesa. 
In Carnia ho scoperto il piacere di risalire un sentiero di due km scarsi per godere della corsa in verticale. E ho portato con me a Rovereto il piacere di questa scoperta, che implica la considerazione di pianura e discesa come semplici tempi di riscaldamento e recupero. Mi sono goduto le brevi distanze. 
La terrazza e la cartina sono i miei riferimenti più attuali, i volantini delle gare mi suscitano indifferenza. Faccio fatica a condividere il sentiero con tante persone, non mi diverto a stare in montagna, o in collina, tra la folla. Le corse di gruppo mi attraggono in teoria e mi deludono in pratica. È bello essere in pochi, spesso mi tocca essere da solo, ma l'arrivo della ragazza alla pari sta iniziando a farci riscoprire, a Chiara e a me, il piacere di condividere il trail.
Questo non significa rinunciare alle gare, ma in effetti sono tre anni che il pettorale lo metto pochissimo. Ne metterò altri, magari per esplorare nuovi luoghi e nuovi aspetti del mio correre, ma al momento a me piace così.

domenica 14 luglio 2013

Domenica sul Monte Zugna... a me così piace tantissimo!

La distorsione alla caviglia della Marcia dei Forti ha lasciato qualche piccolo strascico, così ho deciso di stare fermo una settimana, ieri (sabato) approfittando della giornata in piscina con Mateja, Chiara e amici ho fatto qualche vasca e oggi sono pronto per partire: l'allenamento c'è e posso anche osare.
Parentesi. Tra i vari sport che ho fatto nella vita ci sono anche nuoto (pure assai brevemente nella versione con la palla) e bici, ma il triathlon non mi acchiappa: immagino sia giusto scrivere un "mai dire mai". Chiusa parentesi. 
L'idea di tornare fino in cima al Monte Zugna, o almeno al rifugio appena sotto la vetta mi frulla in testa da molto tempo e recentemente mi è stata una volta ancora solleticata dalle corse dell'amico compaesano Gio62. Progetto. Mettiamo assieme corsa, gita e tutela della salute della caviglia. Faccio un giro con sola salita, esco da casa e salgo in cima allo Zugna. Sulla cartina e nella memoria penso ad un giro che sia così: Lizzanella-Ossario-Grotta Damiano Chiesa-Piste dei dinosauri-Sentiero di Marco-Cima Zugna. Mateja e Chiara intanto vanno al rifugio con gli amici Cristopher (troppi bacini tra lui e Mateja!), Giuliano e Ludi. Io li raggiungo a piedi, mangiamo assieme e ce la spassiamo, poi torno a casa in macchina, così anche evito di forzare la caviglia in discesa. Piano accettato. 
Con la sfortunata ma grossa eccezione del Magraid è da tempo che mi sento in forma molto buona e oggi succede ancora. Parto con un (per me) buon passo e quello che mi stupisce è riuscire a correre su tratti in salita in altre giornate affrontati sempre al passo. Merito anche della tranquillità di poter dare tutto in salita perché la discesa non ci sarà: la mente è un parte molto importante. Arrivato alle piste dei dinosauri decido per una variante, ho voglia di esplorare e tanta curiosità. C'è un sentiero che non ho mai fatto, non è segnato ma ben tracciato e la linea di salita è quella giusta. Lo prendo. Qui le pendenze si fanno serie e vado al passo. Salgo e arrivo ad un sito di interesse storico che già una volta avevo esplorato: i lavori trentini per la sensibilizzazione in occasione del centenario della Grande Guerra stanno facendo miracoli. Il sito è tenuto come un salotto ed è davvero interessantissimo. Al mio amico e compare di trail Alessandro Mammut questi luoghi piacerebbero tantissimo: dai che ci andiamo presto! Nella tristezza che la memoria delle vicende belliche sempre mi trasmette, è fuori di dubbio che questi posti sono bellissimi. E stridono atrocemente la magnificenza dei panorami, la brillantezza dei colori con la cupa memoria di quanto accadde e, ancor di più, con il triste ripetersi dei cimiteri di guerra. La deviazione mi fa connettere con il Sentiero della Pace, segnato molto bene e tenuto anche lui davvero in modo eccellente. Le pendenze sono costanti ma ora più delicate e posso riprendere a correre. Ho fatto l'errore di prendere poca acqua, ma per fortuna cominciamo ad essere alti e non soffro il caldo. Vado avanti e posso anche divertirmi su di un tratto di bosco ricco di saliscendi che mi consente di tenere un'andatura di quelle belle, quelle che, per capirci, ti fanno saltare le radici e ti consentono di credere di essere davvero uno che corre in montagna.
Arriva il Rifugio, dopo 2 ore e 50 minuti di corsa e camminata. Sono orgoglioso di poter dire a me stesso: è stata molto più spesso corsa che camminata. Mi regalo una pacca sulla spalla ed anche una birretta (non sarà l'ultima, ammetto). Famiglia e amici sono partiti verso la cima, io dopo la reidratante bionda salgo per raggiungerli, anche perché i ricambi li ho dati in mano fidata e comincio ad avere freddo. Quando Mateja mi vede mi regala un sorriso che mi tengo stretto. Radunato il gruppo, mi lavo e mi cambio e sono pronto per aggiungermi alla seconda parte della giornata. Che comincia con un ottimo risotto ai funghi veri, uno dei miei piatti amatissimi. I bambini Mateja e Chris sono portatori sani di allegria, e di casino. Non so se per cortesia e o per sincerità chi mangia in rifugio dice che non disturbano affatto con le loro corse, risate e complici giocate. Mangio bene. Bevo bene (onore alla grappetta fatta in casa). Poi usciamo, stendiamo coperta e telo sul prato e ci godiamo il sole che è tornato a farci compagnia. 
Sono felice.
Grazie alla mogliettina che non solo capisce, ma che anche sostiene la mia passione.
Grazie ai bambini, grazie agli amici.
Grazie alla gentilezza dei gestori e di chi era al rifugio. 
Mi guardo indietro, anche leggendo la memoria del blog, e sono sempre più convinto che la vera goduria del trail non siano le gare, ma la costruzione dei percorsi sulla cartina e la loro realizzazione sui sentieri.
Oggi non so quanti km ho fatto. Il Garmin non mi dà l'ascesa costante, dice il dislivello solo quando scarico la traccia sul computer. Così non mi interessa, a me piace vedere che salgo, metro dopo metro. Così porto con me un buon altimetro, che mi dice: nel tuo giro hai fatto un dislivello di 1450m.
Davvero corro in montagna?

domenica 7 luglio 2013

Marcia dei forti 2013 - una classica che non tradisce

Per la terza volta sono alla partenza della Marcia dei Forti, bellissima non competitiva Fiasp che parte da e arriva a Folgaria, proponendo vari percorsi che toccano, chi più chi meno, i forti della Prima guerra mondiale. La mia infiammazione all'appendice è passata, continuo a fare molta attenzione alla dieta (cosa che mi ha fatto dimagrire troppo, ma non si può avere tutto) e mi sento in grado di affrontare il percorso lungo. Per gli organizzatori sono 42km, ma per la questura qualcuno in meno. Io uso solo l'altimetro e posso dire che il dislivello positivo sfiora i 1400m, i km non li so, di certo le tabelle di segnalazione sono un po' sfasate, qualcuna arriva dopo poche centinaia di metri, qualcun'altra dopo un paio di km. Quisquilie. Applausi a scena aperta per gli organizzatori: i ristori sono frequenti e hanno anche i sali minerali, un toccasana per chi, come me, va soggetto ai crampi. Il percorso è segnalato il giusto ed è scelto con grande capacità e attenzione al bello. Quello che si chiede ad una corsa in montagna.
La mia corsa. L'intenzione è quella di partire con molta calma cercando di tenere la riserva necessaria a chiudere in crescendo. Non sarà propriamente così, ma poco male. Per metà percorso tutto va secondo i piani, poi un movimento brusco di chi mi precede in discesa mi costringe a deviare dalla linea immaginata e la caviglia si gira, non troppo per fortuna, ma un po' sì. Mi fermo un minuto, ricomincio camminando: il dolore è sopportabile e dunque proseguo, solo un po' più piano, specie in discesa. Mi accorgo poi che in salita il piede sinistro fatica un po' a spingere e costringe il fratello ad una dose di superlavoro. Tutto sommato, però, andando più piano vado pur sempre benino. Gli ultimi km li soffro un po', li sento soprattutto sulle cosce. In salita non riesco più a spingere, ma si va avanti. Bevo molto, sali soprattutto, grazie anche alla mia fidata compagna borraccia a mano, che per questo tipo di corse è l'ideale. Ottimi anche i nuovi arrivati, copripolpaccio a compressione della Salomon. Le Hoka invece, scarpe fantastiche, soffrono della nuova allacciatura (tipo Salomon, senza lacci tradizionali, per intenderci): la cambierò, anche perché non la vedo innocente davanti alla scivolata di caviglia.
Arrivo in 5 ore e 4 minuti, stesso tempo di due anni fa. E al traguardo trovo un'ottima pasta alle verdure. Buona domenica!

mercoledì 26 giugno 2013

Monte Finonchio a San Vigilio

Lo scorso anno avevo dedicato un post alla festa del patrono di Trento, quella che mi regala un giorno di festa davvero gratis, e in conclusione scrivevo che probabilmente la data non me la sarei più dimenticata. Così è.
Riavvolgiamo un attimo il nastro: l'ultimo racconto parlava del mio Magraid e dell'infiammazione all'appendice che mi aveva costretto al ritiro. Sono stato a riposo (dalla corsa) nove giorni e ho seguito con molto scrupolo la dieta indicata per quel tipo di malanno. Ho fatto bene ad ascoltare il consiglio medico e a ritirarmi! Dopo i nove giorni ho provato un paio di corsette da un'ora scarsa, con un po' di dislivello, ed è andato tutto bene. Nessun dolore. Così oggi mi sono regalato una bella escursione trail sul Monte Finonchio. Anche qui è andato tutto bene.
Sono partito da casa poco prima delle 10, non faceva affatto caldo, tanto che nel bosco ho anche indossato i manicotti. Ho preso la salita con buona calma, alternando tratti di corsa e tratti al passo, come consigliavano le pendenze. E la paura di una ricaduta. Il fiato, ho visto con piacere, non ha sofferto di malanno e stop: ero ben allenato e continuo ad esserlo, per fortuna. Il giro è molto bello: da Rovereto si sale fino ai 1600 e poco più del Finonchio, poi si scende. All'andata ho allungato un po' il percorso per seguire alcuni percorsi segnalati e per conoscere così meglio una zona che non ho frequentato ancora troppo spesso. Si corre e si cammina molto spesso nel bosco, il terreno è spesso sassoso, cosa che mi ha consigliato molta attenzione in discesa. Le salite sono belle e varie: talvolta dolci, talvolta a strappi, mai esposte. Avevo con me i bastoncini e sono stati una buona compagnia. Poco prima della cima ho percorso dei pratoni senza sentiero e con l'erba troppo alta: unico inciampo orienteering dovuto alle segnalazioni, solo in questo caso fuorvianti. In vetta ci sono asini e cavalli al pascolo e c'è un rifugio, chiuso però per lavori. Peccato, altrimenti mi sarei concesso uno strappo alla dieta e avrei ordinato un tè caldo. Già. Perché la dieta mi toglie un sacco di cose che amo: tè, birra, cioccolato, tutte le bevande gassate, molti formaggi. E altro ancora. Dalla vetta il panorama è molto bello. Dalla terrazza di casa il Finonchio lo vedo bene, pensare di essere lassù in sole due ore e mezza (allungatoie panoramiche comprese) ti fa sentire quasi un atleta! Ho preso la discesa con grande entusiasmo, poi il polpaccio mi ha invitato alla calma, e l'ho ascoltato. Dopo l'infiammazione sono dimagrito un po' troppo, credo di aver peso tono muscolare, soprattutto agli addominali (che già erano ridicoli) e questo, scendendo, si sente. Dovrò rimettermi un po' in sesto. Siccome mi sentivo tutto sommato bene, ho scelto anche di allungare un po' il ritorno, salendo la piccola vetta del Monteghello, abituale obiettivo di uno dei miei classici giri da allenamento non lungo. Poi giù verso casa, per finire con 27km abbondanti, poco meno di 1600 m D+ e 4 ore e 30' di trail.
Alla luce dell'estrema goduria di questa giornata, mi rimane il dubbio, al di là degli imprevisti, che forse non dovrei pensare alle ultra, quanto piuttosto a delle belle corse in montagna. E allenarmi per quello. Così ogni allenamento sarebbe figo quanto la (eventuale) gara. 

martedì 18 giugno 2013

Quelli che il Magraid... no, niente da fare!

Ero ben allenato.
Non mi mancavano i lunghi. 
Ero pronto mentalmente.
Ci credevo. 
Tutti imperfetti, ma... che colpa ne ho se l'appendice è una zingara, e va?
Il Magraid. Cento km in tre tappe nelle steppe del pordenonese. Una gara che corteggiavo da anni e che nel 2013 ho avuto la fortuna di avere in dono grazie a un fortunato sorteggio. 
Abbiamo fatto lavoro di squadra, Chiara ed io, meticolosi con le agende che cercano i momenti per consentirmi gli allenamenti. E li trovano. Volevo scrivere un post su quelli che aspettano il Magraid, ma davvero non ne trovo il tempo. Siamo tirati con gli orari, il lavoro e le faccende di casa e famiglia. La sera spesso crollo, e se non lo faccio guardo basket alla tv.
Solo l'ultimo periodo, quello di scarico mi lascia qualche avvisaglia, dolori addominali che stanno lì, senza andare via come mi aspetterei. Sarà una piccola contrattura, mi dico. 
Si va. Con Michele raggiungo il Campo Base (alla fine delle tappe si dorme tutti assieme in tendoni militari). Lui il Magraid già lo conosce, mi dà ottimi consigli. È una delle persone che ho conosciuto correndo, conoscenze per cui vale la pena correre.
Prima tappa, venerdì sera. Partenza ore 18. Venticinque km caldi e aridi. Parto. I primi passi sono terribili: dolori addominali fortissimi. È una piccola contrattura, passerà scaldandosi. Ma non passa. Si attenua, ma pensavo meglio. Cerco una buona postura e non la trovo. Corro piano piano. Poco male, mi dico, ne troverà giovamento la tappa di domani. In fondo era quello che pensavo di fare, anche se non così. Domani. Quella da 55 km. La cintura del camel non la sopporto. La sciolgo e libero gli addominali. Piano piano acquisto un passo migliore. Fatico un po' a respirare, ma sarà il caldo. Al ristoro mangio una fetta di mela. Pare un abbacchio con lo strutto. Provo a correre con maggiore attenzione alla falcata, prendo finalmente un bel passo. Dura due minuti. Cambio strategia. Corro e cammino. La sensazione è stranissima. Mi sento in forma, mi pare di poter fare molto, ma molto, di più di quel che sto facendo. Eppure non posso. Finisco comunque i 25 km in poco meno di tre ore. Vabbè.
Doccia. Ho un po' di fame. La fila per il pasto richiede venti minuti in piedi. Mi sfiancano. Ci metto un'ora a mangiare un piatto di pasta in bianco e una fetta di pollo. Bocconi piccolissimi, masticati piano piano. Stomaco chiuso per la fatica e per il caldo, mi convinco. Poi si sblocca e riesco a mangiare.
Ok. Ci vuole un sonno ristoratore. Macchè. In tenda c'è un po' di casino, ma lo mettevo in conto. Ho tappi e iPod. Ma non trovo una posizione. I dolori continuano. Comincio a preoccuparmi. Al briefing ci hanno raccomandato di fare affidamento sul medico di gara. Domani mattina mi metterò nelle sue mani. Finalmente dormo. Passa poco e in tenda c'è gran casino. La notte è andata. Andata male. Aspetto disteso che arrivi l'ora per andare dal medico di gara. Butto giù una colazione leggera. Arriva l'ora. Visita. Male qui, male là, male sì, proprio lì. Ahia. Non è muscolo. L'appendice è infiammata. Motivi? Possibilità varie. Consigli? Stop. Anche perché se parti, mi sa che dovremo venisti a prendere sul greto del fiume. Faccio un piacevole discorso con la dottoressa di gara. Io dico che sono lì per divertirmi e massacrarmi non è divertimento; sarebbe un gran rischio, una mancanza di rispetto per lo staff medico, per la mia famiglia e il mio lavoro. 
Finisce qui. L'infiammazione è probabilissimo passi da sola, senza intervento. Prendiamo il dovuto stop, seguiamo le giuste regole alimentari. 
I due giorni dopo. Il primo poco confortante, oggi meglio. Ho iniziato la dieta giusta, mi pare ci siano buoni segnali.
Vediamo come va. Ho fiducia. Anche se scrivere il blog all'una di notte significa che non sei proprio sereno, se non riesci a prendere sonno. 
Ma sono contento di aver bussato alla tenda della croce rossa, di essermi fatto visitare e aver ascoltato la voce della saggezza.
Magari finisce tutto in poco tempo.
Magari.

giovedì 23 maggio 2013

Jean Echenoz - Correre

Era da tempo che non leggevo un libro così bello e così avvincente ed era ampiamente ora di aggiornare la sezione libri. È uno di quei rari testi in cui si incontrano la storia che deve essere raccontata e lo scrittore che meglio di ogni altro ha il talento e la sensibilità necessarie a raccontarla. 
La storia è quella di Emil Zatopek, campione di tutto, capace di una tripletta irreale alle Olimpiadi di Helsinki 1952: oro nei 5.000, nei 10.000 e in maratona. Ma non è solo questo, è il racconto di una carriera, dai primi agli ultimi passi, senza enfasi. Echenoz usa la delicatezza necessaria per aiutare a capire cosa ci sia dietro alla realtà di un campionissimo. Senza mitizzare, tanto che sembra davvero si parli di un uomo, per così dire, normale. Del resto, che altro dovrebbe essere? Un uomo che corre meglio di tutti, che ha dalla sua capacità atletiche al confine del reale, ma che ha anche le intuizioni geniali per costruire un sistema di allenamento tutto nuovo, un sistema che si affina per prove ed errori, non certo per intuizioni magiche. Ma tutto appare normale. Sarà perché è davvero così o perché lo scrittore ti prende e ti porta dove ti vuole portare? Io credo sia un racconto reale. Passano le pagine, ti cresce e ti rimane la voglia di un'atletica, in generale di uno sport, vissuto diversamente da quello che siamo abituati a vedere o leggere. Quella delicatezza di cui scrivevo assume poi i toni del racconto giusto, cucinato alla perfezione, quando il filo conduttore dalle tutte vittorie si sposta leggero alla qualche sconfitta. E quanto mi è piaciuta la fine. Un libro da leggere, e per parte mia da rileggere pure. Lo farò.

mercoledì 15 maggio 2013

Euroleague Basket - Final Four 2013. Caio presente sugli spalti

Quando ero più giovinetto di adesso pensavo che, al momento in cui avrei iniziato a guadagnare del mio, uno dei regali da farmi erano dei biglietti per le Final Four di Eurolega. Ecco, è successo che sono riuscito a realizzare quel piccolo sogno.
Funziona così. Le migliori squadre europee di basket si affrontano in due fasi a gironi, ne escono fuori otto che giocano i quarti di finale al meglio delle cinque partite. Le quattro che vincono si contendono la coppa in un lampo: venerdì semifinali, domenica finale 3/4 (una sorta di amichevole) e finalissima. Quest'anno le finali erano a Londra, lo scorso fine settimana e io, come da titolo, c'ero. Sugli spalti. Perché il mio realismo non mi ha mai consentito nemmeno un'onirica ipotesi di esserci sul campo: già da piccolo capivo che non avevo il talento per cose simili. 
Ho comprato i biglietti dopo un paio di minuti che erano stati messi in vendita, mesi fa, e sono partito da solo. L'idea era di andare tutti e tre, io alle partite e le donne in vacanza, ma non era un'idea praticabile. 
Le quattro squadre. Olympiacos Pireo (campioni in carica), CSKA Mosca (allenati dall'italiano Ettore Messina), Real Madrid e Barcellona, forti anche qua.
Hanno rivinto i greci, perché hanno giocato meglio di tutti e perché sono stati allenati meglio di tutti. E già, perché io quando guardo una partita di basket mi identifico sempre con il coach, mica con i campioni in campo. Credo sia il segno di quanto mi piaceva allenare, ma quanto! Ma come me le sono godute io, queste Finali. 
Venerdì 10 maggio. Volo Verona Londra, treno, passeggiata e metro. Ricordo perfettamente il percorso verso l'Arena, la stessa in cui già avevo stragoduto del basket olimpico. La prima persona che incontro scendendo dalla metro è Riccardo, baskettaro goriziano con cui ho condiviso una stagione all'Ardita. Potenza delle coincidenze. 
Io penso che vincerà il CSKA. La prima semifinale vede il CSKA massacrato dai greci, dominanti sul piano tecnico, su quello della concentrazione, della voglia di vincere. Pronostico toppatissimo. 
Seconda semifinale. Real Madrid batte Barcellona dopo dura lotta. Pur se sento più simpatia per i catalani, la terribile prestazione del loro allenatore Pascual mi fa simpatizzare per i bianchi. Qui il pronostico lo azzecco. 
Domenica 12 maggio. Finale terzo e quarto. Una partita che non ho mai capito a cosa diamine servisse. Oggi invece... È fondamentale per aiutare l'attesa della Grande Finale. In fondo, per me è molto meglio guardarmi una goduriosa amichevole piuttosto che bighellonare nello shopping o nel drinking. Ecco a cosa serve! A dire il vero ne esce anche una cosa carina. Vince il CSKA.
Finale. La quintessenza della bellezza, lo spettacolo fatto basket, una partita sublime. Io penso che vincerà il Real. Vince l'Olympiacos 100-88. Certo che sono il mago dei pronostici. Si comincia con il Real spettacolo. Primo quarto 27-10. Poi la rimonta. I greci dopo dieci minuti da incubo entrano nel sogno e vanno, una macchina perfetta, fatta di campioni (uno, si chiama Spanoulis) e di un sacco di ottimi giocatori che in campo sanno sempre cosa fare, come farlo. È chiaro che l'allenatore qui fa la parte del campione. È bello vederli. Il Real ha giocatori più affermati, più di nome, che però non reggono alla pressione della rimonta avversaria. Probabile sia un'esperienza che insegna, ma quando sei lì... Hai voglia ad aspettare la prossima occasione.
Il bello è che ha vinto il migliore.
L'occasione mi ha regalato la possibilità di passare un paio di giorni con gli amici Massimo e Rosa e un bel pomeriggio con la cugina Cristina. Mi sono goduto un giro nella campagna inglese e ho capito che sarebbe un ottimo posto per, diciamo, una cinquanta miglia. Per capirlo ancora meglio, con Massimo ho anche corso un po' facendomi coccolare le zampe dai pratini all'inglese.

sabato 27 aprile 2013

Due Rocche 2013 - Un ottimo 25 aprile

L'amico e compare di corsa Gio mi aveva suggerito un'idea: correre la Due Rocche, mezza maratona trail, tradizionalmente in calendario ad ogni 25 aprile nel bel paesino di Cornuda (Treviso). Ho accettato la proposta  e molto bene ho fatto.
Ci troviamo sul far del mattino a Rovereto, trentini in libera uscita: siamo quattro in macchina (Marco, Fabrizio, Gio ed io), un'altra macchina ci segue e la spedizione è bella e pronta. Già il tragitto verso Cornuda è molto promettente: la compagnia è allegra al punto più che giusto e i km (quelli in macchina) scorrono piacevoli e pieni di risate.
Arriviamo per tempo, formalizziamo le iscrizioni e aspettiamo che si parta sotto un bel sole, finalmente, primaverile. Io non conosco per niente il percorso, ma mi basta sapere che è bello: lo hanno detto tutti quelli che lo hanno raccontato. Nei momenti prima del via incontro molti amici di strada e di sentiero, conosco la piccola Elisa, abbraccio un Mammut: sembra proprio un punto di ritrovo di quelli allegri. Siamo davvero in tanti: circa 500 per la mezza, ma ci sono anche un percorso di 12km e una passeggiata di 6km. Una festa... e sento dire che siamo circa 4.000 in tutto.
Ma bando ai racconti e corriamo. I primi 2 km sono su asfalto, giusti e indispensabili per scremare un po' il gruppone. Poi comincia la prima salita, molto corribile, e io la prendo per quello che è. Corribile, appunto. Mi diverto molto a correre in salita, almeno sulle pendenze che me lo consentono. Poi bosco, salite, discese, quasi niente asfalto, se non per gli indispensabili raccordi. Tengo un ritmo oggettivamente disordinato, ma per me perfetto. Il che significa correre sulle salite meno pendenti, andare di buon passo su quelle ripide, trotterellare al meglio sui saliscendi e sopravvivere, nella mia inveterata insipienza, quando la strada scende. Avevano tutti ragione: il percorso è bellissimo, aiutato da una giornata di splendido sole ma non eccessivamente calda. Ci sono tratti molto, ma molto fangosi. In uno di questi, salita assai ripida, l'organizzazione (da quel che posso dire io perfetta) ha messo anche delle corde per aiutarci a salire. Bravi! Sono state indispensabili. Me la godo, con l'unico neo di troppe persone che, forse non abbastanza abituate ai sentieri, ti stanno troppo alle calcagna (ho subito anche un incongruente tamponamento), ti superano per poi immobilizzarsi appena la strade sale dell'1%, Ammetto che talvolta mi innervosisco, ma me la faccio passare subito. Ad essere sinceri, c'è un secondo neo. Le persone che per risparmiare 3 euro, ma forse sarebbe più corretto scrivere per fregarli a chi organizza, si iscrive alla 12 e poi corre 21. Io a qualcuno cerco anche di farlo notare, sperando di instillare un minimo seme di vergogna. Difficile che succeda, ma ci provo. 
Vado con un passo che mi soddisfa. Sento dire che dopo il 14° km il percorso si tranquillizza, basta salite, solo saliscendi, piano e discesa. Invece, al penultimo km ci aspetta una rampa niente male. Mi diranno che è una novità. Bella salita, peccato non avere più le forze sufficienti a correrla. Non ho GPS, preferisco portare con me l'altimetro. Stiamo per finire e lui mi dice che siamo a poco meno di 1.000 m di dislivello positivo. Il mio tempo è intorno alle due ore e mezza, poco più. Sono contento. Metto il pilota automatico per l'ultimo km e... mi ritrovo in un parcheggio. Cosa ho fatto? Semplice, invece di guardarmi attorno ho guardato a terra e sbagliato l'ultimo, segnalatissimo, bivio. Mi regalo insomma un paio di minuti di Due Rocche in più.
Poi finisce, o meglio, comincia un'altra Due Rocche. Quella di Roby che, mentre esco dalla doccia, mi fa trovare una birra fresca senza neanche darmi il tempo di accorgermene. Scusa Roby, una birra dovevo offrirtela io: la metto in conto. Quella di tutti gli amici conosciuti nel brillante mondo dello Spirito Trail. 
Pasta, panino, ancora un po' di integratore al luppolo. Tutto molto bello, compreso il viaggio di ritorno, durante il quale i roveretani lavorano di ganascia per il tanto ridere. Le macchine da Rovereto hanno portato gente forte, escluso il sottoscritto, che se la cava e si diverte, ma forte non è. Abbiamo qualche prestazione da primi posti, vero Marco? Evviva il 25 aprile.
La partenza:

sabato 20 aprile 2013

Hoka, vesciche, montagna, commenti, social network, sofferenza... di tutto un po'

Sono molto rattristato, e mentre si vota il nuovo (?) presidente della Repubblica io batto sui tasti, e ammazzo il tempo bevendo caffè nero bollente, come cantava la sopravvalutata Fiorella M'annoia. E così mi prendo il mio blog per scrivere tutto quello che mi passa per la mente. 
Hoka. Sono ormai mesi che corro con le Hoka One One, scarpe da trail super ammortizzate. Costano un sacco di soldi, ma li valgono tutti, e dunque accetto la spesa. Io per ora ho solo un modello da trail "leggeri", ma presto mi comprerò anche quelle da asfalto. Sono scarpe davvero ottime, che tra l'altro stanno garantendo una durata ben superiore alle altre che ho avuto. Resterò fedele alle Montrail per le corse in montagna brevi e più tecniche, per quel che rimane sarà Hoka. 
Vesciche. Infatti, provate su asfalto le Adidas che usavo abitualmente al posto delle Hoka, mi sono procurato un paio di vesciche davvero enormi. Probabile che il piede si sia abituato ad un altro tipo di falcata, che per di più mi pare molto più efficace in velocità. Vedremo adesso in resistenza da pianura, dato che in montagna va tutto molto bene anche sui lunghi. Sto curando le vesciche (bucarle è l'unica soluzione) e ho messo in pensione le Adidas. 
Montagna. È uscito il calendario del circuito di corsa in montagna organizzato dalla SAT (Società Alpinistica Tridentina), per questo parlavo di Montrail che, detto per inciso, hanno il pregio di consentire una precisione di appoggio che la configurazione delle Hoka non consente. Tornando al circuito. Sono buone date, credo proprio che a qualche appuntamento riuscirò a partecipare. Probabile che ci sia un parterre di corridori tra il formidabile, il tostissimo e l'esperto. Farò collezione di ultimi posti che sono convinto non incideranno sull'autostima ma, anzi, daranno linfa al divertimento del correre in natura. E in montagna nello specifico. 
Commenti e social network. Purtroppo vedo che i commenti ai post languono e ancor più purtroppo mi trovo la mail visitata troppo spesso dallo spam, quindi rimetto la verifica della parola. Vediamo come va. A proposito di commenti, vedo anche che il numero di lettori rimane costante e forse addirittura cresce, ma sono più le persone che preferiscono un "mi piace" o due parole su facebook. Va benissimo. Forse dunque il commento al post messo su questa pagina sta perdendo di significato. Tanto più che, quando commento io, spesso non ricevo nessuna risposta dai colleghi blogger. Strano, non succedeva mai, ora succede nella maggioranza dei casi. Io continuerò a rispondere sempre, come ho fatto anche nei rarissimi casi di opinioni intollerabili. Mi spiace che funzioni poco twitter, che a me piace un sacco, molto più di facebook, ma che ha pochi seguaci tra i miei amici e conoscenti.
Sofferenza. Questa è tutta politica, tutta politica. Sono talmente costernato che non riesco neppure a riordinare il pensiero. Non ho simpatia per il grillismo, non parliamo dell'orrido connubio berluskoleghista. Quel che ha fatto il Pd è atroce. Cosa ci rimane? Correre, certo. Ma abbiamo anche una vita fuori dalla corsa, e quella vita scorre dentro una società civile. 
Di tutto un po'. Professionalmente vivo un periodo di grandi soddisfazioni, molto dinamico e propositivo. Sto consolidando il mio inserimento nel territorio trentino, partecipando di più alla realtà del mondo che mi ha invitato a vivere al suo interno. Ho accolto l'invito con entusiasmo, crescente. A me pare che i trentini non si rendano bene conto degli enormi pregi del luogo in cui vivono. Io me ne rendo conto e ringrazio di essere qui.
Stiamo organizzando le vacanze estive rinunciando ai grandi viaggi, ma pensando ad una varietà di piccole cose molto belle e significative.
Ho in tasca i biglietti per le Final Four di Euroleague Basketball. Londra aspetta ancora una volta il turista sportivo che c'è in me, che in me sempre è esistito e sempre esisterà.
Se non fosse per questa orrenda politica, tutto sarebbe molto bello. Troppo?
E loro continuano a votare quello che solo loro vogliono.