lunedì 24 febbraio 2014

Il "mio" Sanremo in 7 tweet (e una premessa, e una postilla)

Premessa. Più o meno, ho sempre seguito Sanremo. Non al punto di guardarmi tutte le puntate dall'inizio alla fine, di rinunciare allo zapping o di negarmi un'uscita serale per guardare la tele. Sono un grande appassionato di musica, ne ascolto tantissima e credo di non essere un cattivo conoscitore. Sanremo mi incuriosisce, per la musica e non per il varietà. Ovvio che, con queste premesse, il rischio di rimanere delusi sia evidente. Quest'anno l'opportunità di un "Festival anche social", come ricordavano spesso i conduttori, mi ha indotto a guardarlo con il tablet in mano e l'hashtag #Sanremo2014 sempre acceso. 
I tweet non sono tutti miei, qualcuno lo prendo in prestito per efficacia e capacità narrativa. 

1. Non ero così triste dai rigori del 1994 #Sanremo2014
Ecco un semplice riassunto della prima serata. La pantomima delle due canzoni per cantante scivola in disequilibrio tra il buffo e lo squallido. Sembra lo facciano apposta: una è palesemente priva di ritmo, anonima e senza sale; l'altra, un po' meglio. Dico un po' perché davvero il livello è basso. Solo la performance dei Perturbazione mi dice qualcosa, ma le serate successive confermeranno la prima impressione: è più che altro il confronto che li esalta. 

2. Né #Sanremo2014 né MilanAtleticoMadrid possono competere. Oggi era serata di #subbuteo. 
Mercoledì non si passa. Da qualche settimana l'appuntamento con il club Trento Subbuteo è imperdibile. Vado a giocare e mi diverto un sacco. Ho ritrovato questo fantastico gioco e spero di continuare a godermela a lungo. 
Mi spiace aver perso Rufus Wainwright, uno dei miei preferiti, che senza stupirmi scopro essere ben poco conosciuto in Italia. 

3. Mio marito che è geriatra è andato a letto. Ha detto che gli pareva di stare all'ospedale. #Sanremo2014 (Twitter PalliCaponera)
Questo è il commento più spassoso e azzeccato che ho letto nel corso dell'intervento di Arbore. Musicalmente insignificante, l'anziano Renzo trasuda gonfiore e pienezza di sé per un sacco di tempo. Ma è il trend festivaliero: omaggi alla Tele del passato, così, alla carlona. 

4. Il ritornello di Antonella Ruggiero verrà utilizzato nel porto di Genova come richiamo per i cetacei #staisanremo #Sanremo2014 (Twitter legend4rio)
Bella battuta, che mette l'accento sulla pochezza dei testi, sullo sforzo interpretativo di dubbio gusto così comune nella ricerca dell'enfasi e della presunta capacità tecnico-vocale. Quella che sconfina nell'esibizionismo. C'era anche un gustoso tweet sulle vocali del vibrato Sàrcina. Il senso è quello.

5. Mi si è guastata la Tv. Sta andando un programma del Sessantadue. #Sanremo2014.
Questa è dedicata al mago Silvan. Francamente inguardabile. Fa il paio con la geriatria, ma vista l'insistenza sul buon tempo andato, due menzioni l'argomento se le merita. Gino Paoli non fa più vibrare l'organo anziché non farlo cantare: sarebbe un terzo tweet a tema, ma lo lascio qui in sospeso.

6. Espulso Riccardo Sinigallia. La musica l'hanno menata in molti. Ma lui era l'ultimo uomo. #Sanremo2014.
La vicenda è italica. Sarebbe bello sapere chi si è preso la briga di spiare una prova live fatta davanti a duecento persone in un concerto di beneficenza a distanza di sei mesi. A parte la memoria prodigiosa, sa veramente di assurdo. A meno che non sia una trovata pubblicitaria: ci sarei cascato anch'io, visto che mai avrei parlato di una canzone che non mi ha lasciato in memoria neanche una parola. 

7. Occhiolino del fischiatore di Ron. #Sanremo2014 offre orrori in fascia protetta.
Significa poco, ma è un simbolo. L'ultima serata è rimasta per me nella memoria del sonno. Sono crollato prestissimo. Eravamo a casa di amici e doveva essere una sabato di relax guardando il Festival con interessata ironia prima di una domenica di corsa in montagna. Io ho dormito.

Postilla. Alla fine della fiera, l'unica canzone che mi è proprio piaciuta è quella di Zibba. Ho cercato su spotify il suo profilo e ascoltato con interesse. Molto bello. A qualcosa dunque Sanremo è servito. Per questo il prossimo anno sarò ancora lì. E Twitter sarà un buona compagnia. Anche lì mi chiamo @BlogdiCaio. 

domenica 16 febbraio 2014

Questione di metodo

Da qualche tempo ho deciso di regalare un po' di varietà al blog, scrivendo di più del mio lavoro e di altri passatempi che non siano solo la corsa. È curioso verificare che ora i commenti sono molto più frequenti su Facebook o su Twitter di quanto non siano invece qui su blogger. Sta cambiando il profilo di chi mi legge e personalmente ho trovato stimolante, diciamo così, variare l'offerta. 
Oggi torno alle mie corse che, contrariamente a quanto si possa pensare dal blog, sono in piena forma. 
Il metodo è l'elemento fondamentale del mio lavoro, sarà forse perché il trail serve a staccare, non sono mai riuscito ad avere metodo anche negli allenamenti. Sembra però che a partire da fine 2013 io abbia fatto un passo avanti. Ormai sono un paio di mesi che procedo con ordine. Tre uscite a settimana, talvolta quattro, ma tre rimane il numero di riferimento. Una intensa, una di almeno due ore, una come va va. Nell'uscita lunga cerco sempre compagnia, magari solo per una parte. Bella idea, questa. Mi consente di correre più spesso con Chiara. La quarta uscita può essere cyclette o come va va, se c'è. Oddio, non un gran metodo... ma sta funzionando bene. 
Ancora non mi sono posto degli obiettivi, l'idea sarebbe quella di non puntare tutto su una cosa molto impegnativa (il Magraid dello scorso anno, per esempio), ma di differenziare inserendo un po' di trail "corti" (max distanza mezza maratona). Per i lunghi, quel che viene viene. L'ambizione massima è quella di organizzare un viaggio di corsa a tappe, il top sarebbe con qualche amico, ma la difficoltà di mettere a posto tutte le variabili rischia di costringermi al progetto solitario.
Il prossimo fine settimana dovrebbe essere la prima occasione per cogliere qualche frutto. Ho due idee, vediamo quale va in porto. 
Se questo è metodo... Se lavorando fossi così ordinato, ora sarei sicuramente disoccupato. 

martedì 4 febbraio 2014

Dai nuovi documenti la verità su Pio XII (più o meno)

Metto sul blog l'articolo che il quotidiano trentino L'Adige ha pubblicato lunedì scorso. Lo metto perché l'ho scritto io. Il titolo è forse un po' forzato, non mi piace mai parlare di verità. Per questo ho messo una parentesi, che ovviamente sul giornale non c'è. Ma i titoli sono, giustamente, scelti da chi il giornale lo fa. 
Ringrazio il direttore che mi ospita con una certa frequenza e mi regala sempre la prima pagina. 

Ha destato interesse la recente intervista del rabbino argentino Abraham Skorka. Da tempo amico di papa Francesco, Skorka ha dichiarato al Sunday Times la propria convinzione che presto Bergoglio aprirà gli archivi vaticani per gli anni del pontificato di Pio XII. È ovvio l'importante riferimento alle carte relative agli anni delle persecuzioni naziste. La notizia in sé non dice nulla di nuovo, ma certo offre lo spunto per qualche riflessione che contribuisca a fare chiarezza sulla consultazione dei documenti d'archivio e, più in generale, sul mestiere di storico. 
Nulla di nuovo, perché? Per varie ragioni. Innanzitutto Bergoglio e Skorka già ebbero modo di confrontarsi sul tema, come è ben evidente dalla lettura del capitolo dedicato all'olocausto nel libro-dialogo “Sobre el cielo y la tierra”, pubblicato in prima edizione nel 2010. Il rabbino affermava di non comprendere le ragioni teologiche della canonizzazione di papa Pacelli. Chiedeva all'allora vescovo di Buenos Aires un'opinione sui celebri silenzi di Pio XII e sulla necessità di lasciare libero accesso ai documenti del suo pontificato. La risposta non lascia dubbi: “Quello che lei dice sull'apertura degli archivi della Shoah mi pare perfetto. Che si aprano e che si chiarisca tutto. Che si veda se si poteva fare qualcosa, fino a dove fu possibile agire, e se abbiamo sbagliato in qualcosa dovremo dire: 'Qui abbiamo sbagliato'. Non dobbiamo avere paura. L'obiettivo deve essere la verità”. Ora Bergoglio ha nelle proprie mani il potere di aprire quegli archivi, e non c'è ragione di dubitare che lo farà. Del resto, questa è da anni la volontà della Chiesa. Lo ha ribadito padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, a chi gli chiedeva un commento sulle affermazioni di Skorka. Il Prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, Sergio Pagano, già nel 2009 aveva annunciato che si sta lavorando al riordino dei documenti del pontificato di Pio XII in vista della loro apertura alla consultazione. E per volontà di Paolo VI sono stati pubblicati undici volumi di atti relativi alla vita della Santa Sede durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nulla di nuovo, dunque. Ci è voluto molto tempo e presumibilmente ce ne vorrà ancora poco: siamo in dirittura d'arrivo. Serve ricordare come il riordino secondo i più accurati canoni archivistici di una simile mole di carte (si parla di circa 16 milioni di documenti per un periodo compreso tra 1939 e 1958) non è uno scherzo, e di certo non è pensabile che siano liberati alla consultazione atti non ordinati. Bastano questi semplici dati a far comprendere quale mole di lavoro attenderà gli storici che per primi vorranno cimentarsi nell'impresa. Si potranno davvero leggere grandi novità? Alcuni studiosi pensano di no, convinti che la massa di notizie ricavate da altri archivi non potrà essere rivoluzionata da quello Vaticano. Certo è che l'istituzione-Chiesa presenta caratteristiche così peculiari da lasciar presumere nuove conoscenze sulla condotta di papa Pacelli di fronte alle persecuzioni antisemite. Saranno rivelazioni sconvolgenti? Saranno piccole scoperte interessanti solo per la comunità degli storici e tutto sommato indifferenti per l'opinione pubblica? Le risposte si faranno attendere e saranno di certo molto discusse. 
Come ben sa chi si interessa alla biografia di papa Francesco negli anni della dittatura militare argentina, vi è un ulteriore aspetto da sottolineare. Spesso uomini e donne che si spesero per la salvezza dei perseguitati preferirono non lasciare traccia di quello che fecero. È una questione, prima di tutto, di sicurezza: meno si documenta, meno è possibile essere scoperti. Dopo l'elezione di Bergoglio da più parti si è cercato di ricostruire quello che lui ha fatto per aiutare i ricercati del regime a salvarsi. I risultati di questi tentativi lasciano ancora aperte molte voragini, pur avendo a disposizione la testimonianza orale di vari protagonisti. Cosa che per gli studiosi della Shoah è molto più difficile da avere. Ci sono avvenimenti e relazioni destinati all'oblio, quello che invece sarà riportato alla memoria ha bisogno di tempo per essere studiato. Ben venga allora l'apertura degli archivi e ben vengano la preparazione, la competenza e la serietà scientifica di chi li frequenterà alla ricerca di nuove informazioni su Pio XII.     
Claudio Ferlan
FBK – Istituto Storico Italo-Germanico

lunedì 3 febbraio 2014

Il "mio" Superbowl in 7 tweet (e una premessa, e una postilla)

Premessa. Considero il football americano lo sport più bello del mondo. Senza se e senza ma. Mi ci sono appassionato già alle scuole medie, quando avevo il diario dell'NFL e mi piacevano le divise dei New Orleans Saints. Poi al Liceo ero riuscito a scovare delle pubblicazioni in italiano e avevo studiato regolamento e un po' di tattica. Nel mio unico viaggio negli States, avevo vent'anni, a Denver riuscii a vedere i Broncos di John Elway. Da lì loro divennero la mia squadra, per quanto si possa essere tifosi a un continente di distanza. Le opportunità offerte da internet mi hanno consentito di seguire il campionato con grande continuità (quest'anno ho visto una quarantina di partite). Dopo i fasti degli anni Novanta, i Broncos hanno giocato ieri un altro Superbowl. E hanno perso in maniera imbarazzante. 

Ieri sera ero prontissimo a godermi la partita. In campo, oltre a Denver, la squadra che preferisco per come gioca. Seattle. Le aspettative sono enormi. Ho da mangiare, da bere e da commentare. Uso twitter con l'hashtag #superbowl. Mi sento parte di una comunità. 

Primo tweet. "Kazzeggio in attesa del Superbowl". 
Si comincia alle 0.30 e in qualche modo bisogna pure ingannare l'attesa. Inizio con qualche arachide. Da una settimana non tocco birra: mi sono portato avanti per avere una notte gaudente. Ho anche un cosa termica che ti consente di tenere in mano il barattolo di Guinness senza scaldarlo. Ma è troppo presto per la birra. 

Secondo tweet. "Il tè notturno per il Superbowl è kusmitea. Interessa a qualcuno? A me, perché mi tiene sveglio. 
Non mi piace il caffè e sono invece un amante del tè. Chiara mi ha portato in regalo da Parigi una miscela che mi piace un sacco. Conosce bene i miei gusti. Inganno l'ultima attesa, quella in cui anche i secondi passano lenti, godendomi una tazza di tè in cucina. Il tempo prende un po' di velocità e si comincia. 

Terzo tweet "Clamoroso"
Dopo dodici secondi Seattle è già in vantaggio. Un errore macroscopico di un giocatore di Denver regala due punti. Negli USA amano le statistiche, è la segnatura più veloce della storia del Superbowl. Per di più, regalata dalla squadra che aveva la palla. Una possibilità su un milione. 

Quarto tweet. "Che challenge è? Denver in confusione. Ansia da superbowl". 
Nel football un allenatore può chiedere la revisione (challenge) di una chiamata arbitrale affidando la decisione alle immagini televisive. Cose evolute che altri sport temono. Questo tweet, secondo me, segna l'emblema della partita. Se la decisione non cambia, perdi una possibilità (due a tempo) e un timeout (tre). L'allenatore dei Broncos chiama una follia. Azione chiara pro Seattle e per di più ininfluente. Lo vedo come il segno della serata. Un'intera squadra, appunto, in confusione. A partire dallo staff.   

Quarto tweet. "Scherzi a parte o Superbowl?"
Peyton Manning, miglior giocatore dell'anno, lancia una palla sbagliatissima e si fa intercettare. Sembra una partita adulti contro bambini, uno squilibrio impressionante. Gli adulti vengono da Seattle. 

Quinto tweet. "Autogol di Carter. Denver nel fumo del Colorado".
Una semplice azione difensiva si trasforma in un fallo evidente. Carter spinge un ricevitore di Seattle come fosse un bullo da bar. Il riferimento alla liberalizzazione del fumo in Colorado sta diventando un must su twitter. Dal fallo arriva il touchdown. Punteggio impietoso. Denver inchiodata a zero, sembra un gruppo di anatre impazzite che gira a caso nello stagno. 

Sesto tweet. "Andiamo a dormire"
Secondo intercetto per Manning, il ritorno arriva in touchdown. Inutile dare spiegazioni, significa che siamo 22-0. Già il risultato è bello tosto, ma l'idea della inevitabile nanna la suggerisce la mostruosa differenza tra le due squadre. Seattle difende da dio, con gli occhi della tigre e attacca con precisione invidiabile. Gli altri non si sa dove siano.

Settimo tweet. "Commoventi i tentativi dei telecronisti di dare ancora un senso al Superbowl" 
Capisco. Devi cercare i tenere i telespettatori attaccati allo schermo, ma i tentativi possono apparire grotteschi. La triade di Italia Uno, per altro preparata, simpatica e competente, ci prova e ci riprova, ma le immagini non li rendono credibili. Pare chiaro come sia tutto finito. Probabilmente ancora prima di cominciare. Vai a capire perché. Finirà 43-8. Un massacro sportivo. 
E non ho bevuto neanche una birra.
Tra i tweet #superbowl me ne segno uno americano che dice, più o meno, che il peggior Superbowl della storia e Dylan che fa pubblicità per una macchina fanno del 2 febbraio una giornata triste per gli Stati Uniti.

Postilla. Non resisto e voglio finire facendo il figo. Il 9 settembre ho scritto su FB: "Sento il bisogno di scriverlo, per comunicare presumibilmente solo a me stesso che… Non credo di aver mai visto su un campo da football qualcosa di simile a Russell Wilson". 
Probabile che esagerassi d'entusiasmo, ma oggi Wilson è il quarterback dei campioni.
Ecco. Ho fatto il figo.