sabato 27 febbraio 2010

Val Pusteria

Stiamo trascorrendo, Chiara ed io, un fine settimana di tutto relax,
gentilissimo omaggio dei miei genitori, che ci hanno invitato a
raggiungerli nella loro località di vacanza preferita: San Candido.
Forse superfluo scrivere quanto sia bello il posto, ma scriviamolo pure!
Per approfittare al meglio dei luoghi, abbiamo optato per un giro con
gli sci da fondo ai piedi. Chiara un minimo di familiarità con gli
attrezzi la può vantare, io mica tanto: l'unico precedente data 1986,
settimana bianca della terza media. Data utile a ricordarmi che non
sono più un bambino: posso dire addiritturae "24 anni fa". Qualche
scivolone nelle minidiscese affrontare ci può stare, e ci sta. Ma ci
siamo davvero divertiti, io non avendo alcuna idea ho faticato molto,
ma il pensiero della sauna post-sci ha aggiunto la sciolina che
mancava.

martedì 23 febbraio 2010

Libri di montagna



Passando molto tempo in treno e guardando la tv quasi solamente per lo sport, posso dedicarmi spesso alla lettura. Sono un lettore eclettico ma non onnivoro. Da qualche tempo mi appassionano le storie di montagna, soprattutto quelle di Himalaya. Si tratta, per me, di una lettura molto prossima alla fantascienza: racconti di avventure inavvicinabili, ricche di tensione, spesso tragiche e ancor più di frequente filosofiche, profonde. Ci sono, tra gli alpinisti, veri talenti della penna. Reinhold Messner non racconta, pensa. Credo potrebbe essere, la sua, una letteratura da proporre nelle scuole. Mi sono piaciuti i libri di Hans Kammerlander e trovo che Kurt Diemberger abbia un talento narrativo sopraffino. La figura più mitica che ho incontrato? Hermann Buhl. E molti altri ancora, a cominciare dallo scrittore-alpinista Jon Krakauer. Da quando lavoro a Trento il mio favore per la letteratura di montagna si nutre facilmente, vista la dotazione delle biblioteche: eh, già, non posso certo esagerare con gli acquisti! Ora sto leggendo "Il mio mondo verticale", di Jerzy Kukuczka. Ne ho letti decine, di libri di montagna ma sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Consigli? E poi, ci sono testi che ho voglia proprio di rileggere.

domenica 21 febbraio 2010

Non ditelo a mia suocera!

Il titolo non è uno scherzo, mi raccomando!
Oggi mezza maratona di Verona, partenza ore 10 da via Pallone. Noi abitiamo in via Pallone. Comodità non da poco: scendiamo qualche minuto prima del via e ci accodiamo serenamente agli ultimi della fila. Scrivo al plurale perché sono ospiti a casa nostra gli amici Marina e Paolo (lui corre) e soprattutto perché oggi corro assieme a Chiara. Lei ha già fatto un paio di mezze, ma da qualche tempo si porta dietro una minuscola zavorra succhiaenergie, che ultimamente le ha dato un po' di nausee da torcere.
Infatti, al termine della preparazione pre-gara, il dorsale di Chiara recita:
 
È la prima mezza maratona del nascituro, che vanta la verdissima età di meno sei mesi. Teniamo all'oscuro le famigghie d'origine (fortuna che loro vivono lontano e non sanno cosa sia internet, quindi posso esprimermi sull'amato blog) per evitare convulse riprovazioni sociali e andiamo. Va detto che suocerina è convinta che una gravidanza vada trascorsa, comunque in ogni caso nunc et semper, con le gambe all'insù (boh).
Oltre alla desiderata zavorra, Chiara porta con sé anche una mancanza di allenamento dovuta a fatiche da primi mesi di gravidanza, ma è una assai tosta e alla partenza sono ben convinto che ce la farà (anche se, miseriaccia!, non si è mai voluta fare una visita seria per il ricorrente dolore alla bandelletta). Il tempo limite è tre ore, quello è il riferimento.
Corriamo i primi km accodati ai palloncini delle cinque in maratona. Acceleriamo un po' dopo il quinto. Qualche leggero dolorino al ginocchio di Chiara svanisce presto. La prima metà scorre via bene. Intorno ai quindici sente le gambe un po' dure, ma prima che lei molli ce ne vuole, e non molla. Ristori con calma, tratti in salita dei cavalcavia al passo. Venti km e siamo in centro città; si tira il fiato un attimo ed eccoci entrare sorridenti in Arena. Traguardo in 2h25 e spiccioli.
Che bello! La corsa del futuro poppante è stata un grande successo. E mia  moglie è una tosta!

giovedì 18 febbraio 2010

Diario

I giorni del dopo maratona sulla sabbia stanno trascorrendo, per muscoli e tendini, sorprendentemente sereni. Già lunedì lamentavo ben pochi fastidi; nulla a che vedere con quelle camminate incerte, gambe larghe come a trasportare un pannolino ripieno, tipiche del dopo asfalto. E per fortuna, dato che ho dovuto trottare in giro per la città.Martedì ancora meglio, solo il solito polpaccio destro indolenzito. Avrei voluto corricchiare un poco ma la giornata di lavoro troppo lunga e pesante mi ha fatto rientrare a Verona troppo tardi.Mercoledì invece il rientro normale mi ha consentito una seduta ciclo- ginnica. Poi "follia" notturna per vedere su NBA Tv i Toronto Raptors perdere al supplementare una partita creduta vinta 45 secondi prima del dovuto. Tecnicamente un bel vedere, peccato davvero l'orrido spreco. Un paio d'ore di sonno ed eccomi in treno verso Trento, dove mi aspetta una serie di documenti d'archivio da consultare. Questa sera il programma dice qualche km sull'asfalto, venerdì niente corsa e sabato una quindicina di km, zaino in spalla a continuare a provare il pieno carico per Parigi. Ho comprato un nuovo Quechua e sono curioso di testarlo. Domenica si chiude la settimana con mezza maratona di Verona a passo di Chiara.Sto scrivendo il post con un nuovo giocattolo tecnologico, quando trovo una linea wireless lo spedisco pure!

lunedì 15 febbraio 2010

Maratona sulla sabbia

Ho scritto questo post ieri in treno, ora lo riporto sul blog e condivido.
L'idea era quella di fare un lunghissimo utile alla preparazione dell'Eco Trail di Parigi. Alessio ed io, compagni di corsa, abbiamo optato per la Maratona sulla Sabbia di San Benedetto del Tronto. Ottima scelta, alla luce degli eventi. Per svariati motivi, noi due amiconi malati di trail, per di più in possesso di un ritmo simile, non eravamo ancora riusciti a condividere una corsa che non fosse di solo allenamento. Finalmente ce l'abbiamo fatta.
Partiti sabato mattina, lui da Brescia io da Verona, arriviamo a San Benedetto nel pomeriggio dopo parecchie ore di treno. Lì troviamo tutto organizzato a puntino: l'albergo a prezzo politico è bello e comodo, vicinissimo alla partenza. Pasta party ottimo e abbondante, consumato in allegra atmosfera. Per i più coraggiosi è disponibile il fritto misto di pesce. Io però sono pavido. Poi passeggiata sulla spiaggia a guardare con rispetto il campo giochi dell'indomani e a nanna presto. Non abbiamo un'idea chiara di quel che ci aspetta. Qualcuno più esperto di noi ci ha detto di calcolare trenta-quaranta minuti in più di una maratona su asfalto. Significato: cinque ore sarebbe un ottimo risultato.
I nostri timori sono legati a: polpaccio (io), bandelletta (Alessio). Si parte. Prendiamo un ritmo allegro; io uso il cardio e mi rendo conto di tenere bene un ritmo di poco inferiore ai sei al km. Alessio credo lo tenga anche meglio, secondo me stiamo esagerando, ma un minimo di eccesso ci può stare.
Intermezzo. La corsa corre su di un lungomare di 4 km che si fa prima all'andata, poi al ritorno. Temevamo fosse noioso, ma non lo è affatto. Il mare cambia ripetutamente il paesaggio e poi c'è la possibilità di salutare agli incroci compagni di strada incontrati ieri. C'è anche l'opportunità di farsi doppiare da miti della corsa come Marco Olmo. Il rumore del mare è bellissimo da ascoltare, meglio di qualsiasi Ipod. Il tempo è buono, solo negli ultimi due giri si alzerà un vento poco amico. La sabbia è quasi ovunque ben battuta, anche se rimane qualche tratto nel quale si slitta e si sprofonda. Volontari, organizzatori e passanti sono di una gentilezza squisita. 
Ai ristori ci fermiamo sempre: sono ogni quattro km e non manca nulla, anzi. Dopo i primi 15 km abbassiamo il ritmo, ma andiamo ancora in modo, per noi, stupefacente. Affaticamenti da dopo trentesimo ci consigliano una strategia di sopravvivenza che si rivelerà davvero azzeccata. Ovvero al passo nei brevi tratti di sabbia molle, di corsa in quelli battuti. Andiamo. Il passo è rallentato, ma non è affatto malvagio. Ultimo giro. Seguiamo scrupolosamente la strategia. Sento tirare il polpaccio, temo gli odiati crampi ma rimangono a casa loro; la bandelletta di Alessio è domata. Finisce, bella come il sole, la maratona sulla sabbia in quattro ore 36 minuti e spiccioli. E nel pacco gara anche ottime olive ascolane.
Alla simpatica fotografa della maratona, che in corsa ci chiedeva se avessimo fatto gli auguri alle morose, essendo giorno di San Valentino, Alessio ha risposto: "Siamo noi i morosi". Care spose, Livia e Chiara, per oggi lasciatecela passare! 

Aggiungo il link per le classifiche.

domenica 14 febbraio 2010

Maratona sulla sabbia - Anteprima

Sono appena rientrato a Verona, provenienza San Bendetto del Tronto dove, assieme all'amico Alessio, ho corso la maratona sulla sabbia. Sono un po' stanchino (Forrest Gump dixit), ma volevo in anteprima solo scrivere: Che Figata!
A domani

venerdì 12 febbraio 2010

CiCiEmme


Ci sono i sogni, c'è un grande sogno.
C'è il mio: correre nei ghiacci eterni dello Yukon, dell'Alaska. A piedi, in mountain bike, ma soprattutto aggrappato ad una slitta condotta dai cani.
Ci sono i sogni che si avverano e si possono chiamare Yukon Quest, Yukon Arctic Ultra, Iditarod.
C'è poi la consapevolezza, talvolta blanda in noi ammalati di trail, che esistono cose che vanno al di là delle proprie possibilità.
C'è anche la curiosità di capire quali siano le proprie possibilità.
Ci sono io che immagino di avanzare tra vegetazione ricoperta di neve ghiacciata, solo con i miei cani.
Ci sono le persone alle quali racconti i tuoi sogni.
Ci sono io che immagino di intravvedere un ipotetico traguardo, devastato dalla fatica, tutto volto a dimostrare a me stesso di essere vivo.
Ci sono gli amici che mi dicono: “vai!”.
Ci sono gli amici che mi dicono: “poverino!”.
Ci sono io che immagino l'ultima curva.
C'è mio fratello che quell'ultima curva me la fotografa così, in perfetto dialetto triestino.

Ci sono io che gli rispondo. Fradel: No xe dito!

mercoledì 10 febbraio 2010

Freddo relativo

Da un paio di settimane ho convertito la mia corsa serale (una a settimana, talvolta due) in una seduta di ginnastica casalinga, fatta di cyclette ed esercizi per addominali, cosce e polpacci. Così l'agenda conta sempre quattro appuntamenti ma si riempie con tre uscite e una ginnastica, o con un due più due. Ho deciso così perché il freddo di questi ultimi tempi mi metteva in difficoltà, specie quando tornavo da Trento dopo le 20. Ieri però la voglia di correre era troppa, tanto che mi pareva non facesse poi tutto questo freddo. Sono uscito alle 19.30 per una decina di km sul Lungadige veronese, corsi bene con numerose variazioni di ritmo. Quello che i runners chiamano fartlek. Mi sono divertito, aiutato pure dalla musica nelle orecchie, che quando si va sul marciapiede in mezzo al traffico può essere un diversivo interessante, anche per darti il ritmo quando si procede variandolo.

domenica 7 febbraio 2010

Visite e spiagge

Siamo rientrati, Chiara ed io, per un fine settimana nelle terre di origine. Tra visite parenti e incontri con amici, il tempo è trascorso piacevole e veloce. Ci siamo presi anche un momento per noi e abbiamo scelto il lungomare di Grado, in una mattinata fresca e ventosa. Io ho corso un'oretta, a provare anche come sia calpestare a passo lesto la battigia una settimana prima della maratona sulla sabbia, tanto per confermare quel che immaginavo: non sarà facile, specie per i miei amati polpacci. Andare controvento poi, non è affatto uno scherzo! Fieno in cascina ne ho messo, lunghi ne ho fatti, posso dire di avere un minimo di esperienza sui 42km. L'importante però è far capire a me stesso che questo è il lunghissimo per Parigi. L'obiettivo è quello.

mercoledì 3 febbraio 2010

Tra Storia e Trail - Attraverso memoria e attualità

Il mio lavoro è fare il ricercatore, ambito: la storia. In breve, nel mio caso, direi che si tratta di cogliere degli avvenimenti partendo da documenti scritti, passarli al microscopio, cercare di scoprire le connessioni che li hanno determinati, quelle che li mettono in relazione con altre dinamiche, passate o future. Fatto questo, provo a filtrarli con la mia mentalità da uomo del XXI secolo, cercando di capire come tutta questa rete di connessioni ha contribuito a fare del mondo quello che oggi è e quello che un tempo è stato.
È questa, anche in generale, la mia forma di pensiero, non so se sia una conseguenza del mio essere uno storico o se ne sia, piuttosto, una premessa: ragiono così perché faccio questo mestiere oppure, al rovescio, faccio questo mestiere perché ragiono così? Probabilmente la risposta è affermativa a entrambi i quesiti.
Premessa indispensabile a spiegare il post di oggi.
Da molto tempo mi chiedo perché mai continui a vivere in Italia, rispondendo tra il serio e il faceto che l'unico motivo è il lavoro di Chiara. Così do la colpa a lei e me ne lavo le mani.
Ma il mio modo di ragionare mi ha fatto scoprire un altro motivo.
In Italia una formazione quantomeno approfondita ti procura, se ti va bene, un lavoro precario a termine pagato non molto; il governo è chiaramente nelle mani della malavita organizzata; la maleducazione è imperante; i trasporti pubblici allo sfascio; il mercato immobiliare al delirio; lo stato sociale in disfacimento. Potrei continuare a lungo, mi limito a sottolineare che dirsi “In Italia si vive bene” è spesso una menzogna. Per me è così.
È il tempo di quel barlume di ottimismo. Il motivo di cui sopra è il piacere dell'ospitalità gratuita. Un piacere che è molto mio, del quale sono spesso beneficiario. Gli esempi sono numerosi, scrivo di quello di domenica, a Venezia, per il trail.
Quante persone hanno lavorato, senza interessi tangibili, per regalare una bella giornata a noialtri? Quanto tempo ci hanno dedicato? Quante preoccupazioni ci hanno tolto? E hanno pensato a dei regali, a delle sorprese, a renderci quelle emozioni infantili, di quando i doni erano inattesi e sconosciuti. Mi è tornato alla mente il giorno in cui, avevo dieci anni, mio padre mi regalò il Subbuteo, senza che ci fosse nessuna ricorrenza. Nel mio immaginario di bimbo, il prezzo di quel gioco sembrava insormontabile, non osavo chiedere. Per papà invece quello che serviva era solo un pensiero, che non mancò. Ecco, gli amici veneziani questo tipo di pensiero hanno avuto.
Fare le cose non per sentirsi dire bravo, ma per vedere gli altri contenti. Non che lo creda una prerogativa esclusivamente italiana, ma mi pare che la serenità di questo pensiero (senza tensioni, esagerazioni, pretese che tutto sia perfetto tanto da sembrare posticcio) sia tipica del nostro modo di essere.  Almeno, lasciatemelo dire, dei migliori di noi.

lunedì 1 febbraio 2010

Venice Tourist Guided Tour = V.T.G.T:

La domenica inizia, non bene, il sabato, con la notizia che Livia e Alessio non saranno dei nostri l'indomani, messi k.o. dall'influenza in famiglia.
Abbiamo in programma un Trail autogestito, leggi visita guidata a Venezia, organizzata da Veneziani che ci guideranno a passo di corsa in angoli noti ed ignoti della loro città. Tutto nasce dal Forum di Spirito Trail: TA V.T.G.T.
La domenica inizia, non bene, all'alba. Quando arriviamo nella piccola stazione di Verona Porta Vescovo, dieci minuti prima del nostro treno previsto in partenza alle 6.40. Ma non c'è nulla, a quell'ora, né possiamo chiedere qualcosa a qualcuno, visto che il luogo è deserto: solo io e Chiara, aspiranti trailer urbani all'orizzonte. Passa il tempo, qualche messaggio di sconforto con i compagni di strada vicentini e l'unico nostro interlocutore, lo schermo degli orari, recita beffardo e demente “seiequaranta”, ma sono passate da un pezzo. Dopo tre quarti d'ora, emerge dalle brume mattutine un treno, è il nostro (ferma in tutte le stazioni, compresa Venezia Porto Marghera: è la prima volta che mi succede). Gli amici vicentini balzano, bontà loro, su di un altro treno mentre Chiara ed io siamo lì a contare le soste. Ironia della sorte, sto scrivendo questo post su di un treno in pesante ritardo; ma questa volta è meno grave: sto andando al lavoro... :)
Arriviamo a Venezia con quei 45 minuti di ritardo là; con noi arriva anche Fede, cha ha viaggiato da Firenze. Ci aspetta uno dei sapienti (ma alla fine si dimostreranno più epici che sapienti) organizzatori: Cristiano, detto Kapobecero, impossibilitato a correre da una schiena malvagia.
Il gruppo dei trailer urbani è partito, noi siamo stati accompagnati nella palestra spogliatoio ed informati sul modo migliore per intercettare il plotone. Fatto. Abbiamo perso quaranta minuti di giro, più o meno, ma ci accodiamo presti.
E da lì comincia a scriversi il mito di una giornata difficile da descrivere a parole.
Siamo in più di venti, bardati da corsa, e andiamo. Ci sono molti compagni che conosco di persona, altri che conosco virtualmente da blog e forum, altri ancora che conosco oggi. Chiara trova la guida perfetta in Antonella: rimangono con noi per lunghi tratti e qualche volta tagliano un po'. Miticojane è in maschera, scatta e filma instancabile.
Scopro molte cose mai viste. Angoli di città introvabili, per chi non sa dove mettere i piedi. Si corre a ritmo chiacchierata, scambiandosi idee, sensazioni, programmi, esperienze, emozioni. Si chiacchiera, con Alchi compagno di Monte Casto e con Robi54, con Sacco75 e con Rundiamo62, con Rasentin e Geogeo, con l'altro insigne organizzatore Giorgio e con molti altri. Questo conoscersi attraverso soprannomi, talvolta buffi, mi fa ritornar bambino. Ci fermiamo a piazza San Marco, dove è prevista per noi una sosta con guida professionista. Il Venezia Trail è organizzato da dio, con un gruppo che camminando segue Alessia, la guida; con la possibilità di correre una quindicina di km; con il manipolo di trailer che sgambettano per 25 km circa: tutti alla scoperta della città. Alla sosta San Marco ci si incontra assieme. Qui rivedo Mercurio, tenuto fermo da un malanno post Trail del Poggiolo, unito al gruppo dei marciatori. Anche Leocaster è al passo, ma non manca.
E andiamo, scortati dai corridori indigeni, sempre prodighi di spiegazioni ed annotazioni. Il ritmo del Trail autogestito è gran cosa: si va tranquilli, aspettandosi qua e là. Ad ogni bivio insidioso (immaginate quanti ce ne siano a Venezia) c'è sempre chi indica la via. Dai ponti vediamo le montagne, passiamo attraverso campi e calli (anche il più stretto della città), davanti a chiese e palazzi. Svolta a sinistra, una calle invisibile: ci troviamo in uno spiazzo nascosto, a fianco di un cantiere per barche, dove arde un falò ed una tavola imbandita ci aspetta per un ristoro a sorpresa. Non è la prima: alla partenza abbiamo ricevuto addirittura un “pacco trail”, con cibi e bevande! Ticci ci spiega scientificamente perché ai ristori la cosa migliore sia la birra: la sua argomentazione è talmente convincente che la assecondo tre volte.
Ripartiamo, questa volta con un'andatura un po' più allegra, tocchiamo il gran premio della montagna della giornata salendo sul ponte di Rialto, e il giro finisce in vera gloria. Doccia e poi pranzo comunitario in trattoria; qui non è più ristoro, il vinello prende il posto della birretta e va giù che è un piacere. Ancora sorprese: per le signore un ciondolo di vetro in regalo, con incisa sigla e data del primo trail autogestito di Venezia, per tutti una cartolina ricordo.
Ma questo trail meriterà altre riflessioni. Per il momento, basta parole, solo applausi.