domenica 28 novembre 2010

Acqua sulla dorsale

Ma da quante domeniche piove? Mi sento quasi un canoista...
Tutto nasce con un acquisto e un'inversione.
L'acquisto. Tempo fa, per cercare di prendere dimestichezza con Verona che da tempo mi ospita ma che ancora non mi è familiare, ho comprato la mappa dei sentieri delle colline veronesi e ho iniziato piano piano a studiarla.
L'inversione. Ieri mattina c'era il sole e l'idea era di andare a vedere dal vivo uno dei percorsi da mappa. Ma sai, al di là del bel tempo, c'è altro: cose da fare e soprattutto la voglia di passare la giornata con le due donne. E poi, può anche capitare di non avere tanta voglia di correre. E allora rimando ad oggi. Unico neo, sapere per previsioni unanimi che l'indomani sarà acqua. Lo diceva anche il mio dispensatore di affettati di fiducia.
Partenza rimandata, allora. Domenica mattina. Dieci e mezza, zaino in spalla con cibo bevande e indumenti di scorta, scarpe da trail, calze a compressione, bastoncini, maglia in Gore, cappello, guanti e scaldacollo. Piove e fa freddo, ma oggi ho voglia.
Parto da casa (Verona centro, zona Arena) e me ne vado verso Poiano. Riesco ad imboccare la strada studiata sulla carta: asfaltata, ma molto bella. La seguo con buona lena, alterno la corsa al passo svelto quando incontro le rampe. Sbaglio un paio di bivi, torno indietro e poi ci prendo: arrivo snello a Poiano. Vorrei andare verso Montorio, ma la strada non mi convince, altro passo indietro e salgo deciso fino Valdonega su bel sentiero. Poi giù verso Avesa in pattinaggio su foglie e sassi. Proseguo sul sentiero della dorsale veronese, verso Quinzano. L'idea è di andare avanti fin che la voglia sorregge e poi rientrare Lungadige. Ma poco prima di arrivare a Quinzano il sentiero è sbarrato da un cartello fatto in casa che indica semplicemente "Pericolo!". Sarà vero? Sono persona, prima che trailer, prudente. E faccio due conti. Sono da solo, piove davvero tanto, il sentiero va verso un torrente e gli alluvioni degli ultimi tempi invitano a non fare idiozie. Mi fido del cartello e faccio retromarcia. Ripercorro a ritroso salendo un paio di sentieri prima in discesa. Di nuovo a Valdonega, la pioggia aumenta di intensità e comincio ad aver freddo. Viva lo zaino e la scorta che ti permette di avere, mi copro e riprendo forza. Giù verso la città, poi di nuovo su verso le Torricelle, solito parco e a casa alle due meno dieci.
Lascio questa breve e convulsa descrizione perché questo "sentiero dorsale" lo voglio fare tutto un giorno: molto bello davvero. Se quindi qualche veronese fosse incuriosito... fatevi sotto!
Non so quanti km ho fatto, né ho idea del dislivello (GPS dimenticato in giro, lo recupererò prima o poi). Sono certo di aver preso acqua a secchiate, di essere stato in giro tre ore e venti, di aver corso piuttosto bene e di essermi divertito un mondo. Salite sentierose al passo e molte discese rallentate per il fondo che dire viscido è davvero poco. Da rifare.
Bagno caldo, pranzo abbondante e Menabrea. E mentre gustavo la birra del trailer con la mano sinistra, la mano destra reggeva in braccio Mateja che con un sorriso e tre sforzi mi ha cacato in mano.
La vita è bella, la cacca porta fortuna.

giovedì 25 novembre 2010

La strada alla fine del mondo (!)

Treno in ritardo? Oggi ho il computer.
Un libro magnifico che ha dei difetti.
Il titolo (assoluzione piena per l'autrice). Il costume italico di travisare in traduzione persiste : A long trek home, poco c'azzecca (perdonate il dipietrismo) con la fine del mondo. Il racconto è la narrazione di una strada alla fine della quale si trova casa propria, e allora?
La lunghezza. È troppo corto (poco più di 200 pagine), lascia curiosità e appetito, quasi fame: cercherò di spiegare perché.
L'invidia. Ovvio che sia un problema mio, ma allo sfogliare l'ultima pagina viene da scrivere “Anch'io voglio! Anch'io voglio!” come un bambino, salvo rendersi immediatamente conto che volere è potere, ma fino ad un certo punto.
Introduzione troppo lunga? Ma qui non siamo su di un giornale dove se l'articolo non acchiappa si passa avanti: posso presumere che il lettore abbia la pazienza di superare le prime righe per addentrarsi nel post.
E allora. Il libro racconta dell'idea/realizzazione del progetto di Erin (autrice) e Hig (marito suo): un viaggio che parta da Seattle e arrivi all'estremo nord delle Isole Aleutine, lembo d'Alaska. Il mezzo di trasporto sono: piedi, sci, canotto. E qui già posso scrivere del “volere e potere fino a un certo punto”. I nostri viaggiatori sono esperti di nord e ghiacci, geologo e biologa, lui alaskano, canoisti espertissimi, sanno come ci si comporta con gli orsi e le altre bestiole che si fanno loro incontro lungo la via, dominano le maree, conoscono alla perfezione le esigenze del materiale da portare in groppa (perché la casa è lo zaino). La conoscenza si può sempre raggiungere ma serve, quantomeno, tempo.
Il viaggio varrebbe già la lettura, ma ancor meglio se chi scrive abbia il talento per farlo bene: Erin ne ha, le pagine scorrono appassionanti e veloci. Troppo breve, annotavo sopra. Perché mi sarebbe piaciuto leggere maggiori notizie su dettagli tecnici (bagagli, alimentazione, scelta dei percorsi). Non che manchino cose simili, ma io avevo e ho bisogno di saziarmi, per capire che si può fare. Insomma, un libro talmente bello che la sua fine porta quasi rabbia, oltre che delusione. Ancora!
E la casa cui il vero titolo rimanda: dopo più di un anno di viaggio (tempo preso per sé a fine dottorato: altro lembo d'invidia), decidere di allargare la famiglia, portandosi talmente avanti che gli ultimi parecchi (400 circa) km Erin li fa incinta. Complimenti per il fisico! La casa è un villaggio in Alaska, dove la terra dei genitori di Hig viene addobbata da una yurta per giovane coppia e piccolo uomo.
La mia insaziabile curiosità, per fortuna, trova briciole di appagamento sul blog di Erin.
Leggete e moltiplicatevi, lettori: assumente questo libro come si fa con il cibo preferito, nutritevi di lui con le dosi più adatte alla vostra esigenza.
Scrivendo di me, posso serenamente dire a me stesso che provare a vivere così sarebbe quanto di più vicino alla realizzazione di un sogno mi venga al momento alla mente. Stiamo anche noi percorrendo, Chiara ed io oggi assieme a Mateja, “a long trek home”. Senza fretta, un passo dopo l'altro e con giudizio, troveremo casa. 

lunedì 22 novembre 2010

Virtuale, in attesa del reale

È da luglio che non partecipo ad una gara, la mia corsa da qualche mese a questa parte è in netta maggioranza solitaria e purtroppo fin troppo urbana. Sarà anche questo il motivo che mi spinge a consultare con cura quasi maniacale i siti internet del mio possibile futuro fuori strada. “Fuori strada” perché, c'è poco da fare, non subisco mai il fascino di un web che mi rimandi all'asfalto. Certo, potrei mentire a me stesso dicendo che avrei voluto ma non ho potuto. Mi riprometto periodicamente di correre qualche mezza maratona, dato che andare “veloce” (tutto è relativo, diciamo andare al mio massimo su di una distanza non impegnativa) può essere divertente. L'ultima mezza, seconda in carriera corsa per andare – appunto - “veloce”, risale allo scorso marzo. Allora forse meglio non dirsi nulla e navigare un po' a casaccio.
I prossimi sentieri saranno quelli del Carso triestino per la Cavalcata di inizio dicembre. Una corsa non corsa, senza né pettorali né ristori né pacchi né balisaggio, per la quale la mia aspettativa è di perdermi e farmi venire a raccattare da già allertati amici. Certo potrei scaricare la traccia sul Garmin, ma non ce l'ho. Potrei scaricarla sul Keymaze, ma l'ho dimenticato in giro e poi sul Mac non funziona. Potrei attaccarmi a qualcuno che conosce il percorso, e forse lo farò. Ma posso anche perdermi e se capita, magari sarà pure divertente.
Solo questo c'è, per ora, di concreto. Virtualmente sto passando a setaccio varie idee e proposte: dovrei fare con Chiara la mezza di Verona, poi leggo di rimando da un amico Facebook che quello stesso giorno si corre una 50km nelle campagne londinesi. Slurp. La settimana prima mi piacerebbe rifare la maratona sulla sabbia a San Benedetto del Tronto, se con Alessio riusciamo ad organizzarci. Due lunghe a distanza di una settimana servirebbero anche a provare la gamba (e tutto il resto) per una novanta/cento. A inizio aprile ci sarebbe, anzi: dovrebbe esserci, quello che lo scorso anno abbiamo saltato perché troppo a ridosso dell'Ecotrail di Parigi, ovvero il Lyon Urban Trail. Un anno a testa. Per non incorrere in errori da eccesso di calendario, una bella pausa allenante senza eccessi di km. Intendiamoci: l'eccesso di km su sentiero va pure bene, ma non devo tirare la corda su spostamenti, trasferimenti, etc. etc (fatta eccezione per l'accompagnamento familiare nel caso il progetto maratona di Chiara riesca a datarsi tra questi spazi). Obiettivo: arrivare allenati e freschi a sufficienza per un trail bello lungo a fine giugno, ancora in Francia, destinazione Bretagna: Raid Golfe du Morbihan, 88km in 20h. Quando mi iscrivo, scrivo un post descrittivo.
E poi avevo guardato al Via Lattea Trail (dicembre), alla sei ore indoor di Piancavallo (gennaio), alla Sahara Marathon (febbraio), all'Ultrabericus (marzo), al Magraid (giugno) e di sicuro ad altro guarderò.

giovedì 18 novembre 2010

Disordine settimanale

La settimana che trascorre poco ha corso, corre e correrà. Tra impegni di pendolarismo e spostamenti a tema familiare, il tempo fugge senza che io riesca ad inseguirlo a passo svelto. Così non mi rimangono che km sparsi e qualche pedalata indoor. Un intervallo che sapevo sarebbe arrivato e che conto non consumi troppo la costruzione del mio allenamento per la Cavalcata Carsica di inizio dicembre.
Rimangono tra le briciole dei presenti sette giorni solo due uscite, tra loro molto diverse.
Domenica ho corso zaino in spalla su sterrato liscio 28 km circa (dico circa perché il GPS l'ho dimenticato a casa dei miei, a far da guardia al Carso). Mi ero imposto un ritmo cardiaco da rispettare: meno160. Fatto. Sensazioni molto tranquille nella loro bontà, mi rimane la conferma di un insegnamento: no sali con aromi nel Camel, molto meglio coca annacquata e alla prossima provo lo sciroppo di guaranà diluito tanto tanto.
Mercoledì ho cercato di andare per me veloce, su di un circuito parco-tipo-cross lungo 800m, sterrato, fangoso, pieno di foglie cadute d'autunno, con rampe e rampette. Obiettivo 8km in meno di 40', raggiunto ma con distribuzione dello sforzo demenziale: primi due giri decisamente troppo veloci, sopravvivenza dal terzo al settimo, rallentamento all'ottavo, ripresa dignitosa negli ultimi due. Alla fine 39'40'' e puff puff, oltre che gambe dure. Ho sbagliato.
In mezzo la visita medica agonistica, abilità conquistata, il che significa superamento della scaramantica sospensione della definizione dell'obiettivo principe 2011. Siccome comporta una certa difficoltà logistica, mi prendo ancora un po' di tempo per formalizzare un'iscrizione che dentro di me ho già fatto.
Questo tipo di allenamenti non segue nessuna tabella, non ne sono (ancora?) capace, ma semplicemente tiene conto prima del tempo che ho e poi, se posso, di cosa quel giorno preferisco fare. Ad esempio, domenica pensavo ad una non competitiva di 16km, poi Mateja ha organizzato diversamente dalle mie intenzioni la notte e l'alba, gli orari sono cambiati ed io ho guadagnato una dozzina di km.
Ora tre giorni di stop (ma il riposo è parte dell'allenamento, dico spesso agli altri e ora a me stesso) e domenica pomeriggio si ricomincia, ancora non so come, anche se immagino di dovermi accontentare di qualcosa di asfaltato.

martedì 16 novembre 2010

Una storia in prestito

A fare da contraltare all'amarezza che emerge dal mio ultimo post, oggi copio e incollo con piacere una storia che non ho scritto io. Coincidenza. Romano, mio fratello, mi ha chiesto ospitalità per far conoscere a chi non lo conosce di persona questo suo racconto di sport. Ne ha discusso con varie persone, a voce e in lettera (quella che leggerete) in varie sedi e ricordo qui, ancora una volta, uno dei suoi interlocutori più recenti: l'enorme giornalista di basket Sergio Tavcar. Ora è il momento di farsi da parte...


Mi chiamo Romano Ferlan, ho allenato la Castelvecchio Gradisca (squadra di basket in carrozzina) per nove anni e per tre ne sono stato il direttore tecnico. Mi sono ritirato definitivamente alla fine della stagione 2007/2008 e a distanza di due anni sento l'esigenza di raccontare la mia piccola storia.
1996/2008
La società è partita da zero (per intendersi: questa è una palla quelli sono canestri). Si è iscritta ad un campionato. Per otto mesi ha sempre perso o straperso. La stampa locale si toglieva dagli impicci con un atteggiamento accomodante: “bravi lo stesso”, “comunque vada avete già vinto” e via di questo passo.
Capitò un giorno che un giornalista finalmente si mettesse a fare il suo lavoro scrivendo un articolo intitolato: “Ennesima sconfitta della Castelvecchio”. *
Andai in palestra, radunai i ragazzi, feci vedere il giornale e dissi: “la nostra attività comincia oggi. Per la prima volta ci hanno trattato da atleti e siccome, a ragione, ci hanno definiti atleti scarsi, cerchiamo di dimostrare che scarsi non siamo e per farlo l’unico modo che conosco è quello di lavorare bene** (ovviamente il discorso valeva anche per me; appena possibile feci il corso allenatori a Roma, sostenni un esame, ottenni il patentino e continuai ad aggiornarmi con costanza).
A questo proposito ho sempre ritenuto che l'atleta in carrozzina ha gli stessi doveri di tutti gli altri atleti; ovvero deve tenersi in forma, allenarsi con costanza, mettersi e disposizione del gruppo. Inoltre, l'atleta in carrozzina è un esempio per tutti i portatori di handicap che vanno a vedere le partite. Vedere all'opera Andrea Pellegrini o Matteo Cavagnini (due statue di carne che si muovono con eleganza) è un'esperienza che definire formativa è riduttivo.
Dato che la società aveva deciso di "fare agonismo" in senso stretto, dissi anche, a scanso di equivoci, che lo sport AGONISTICO non ha niente a che fare con l’equità e se, ad esempio, un atleta è più bravo di un altro pur non allenandosi,  io devo prenderne atto e mettere in campo sempre la squadra migliore possibile (è una semplificazione-ci sono 
partite e partite) perchè il ruolo dell'allenatore è questo PER DEFINIZIONE). ***
Ora che la mia esperienza è da ritenersi esaurita, quando mi capita di vedere vecchi filmati e di paragonarli con le partite che vengono trasmesse in diretta televisiva ho la sensazione di vedere eventi agonistici appassionanti in cui le carrozzine sono solo strumenti.

* Anni dopo la Castelvecchio è stata per un periodo di cinque anni fra le prime sei squadre in Italia ed un nostro atleta (Fabio Bernardis) ha alzato la Coppa Europa come capitano della Nazionale.
** a mio modo di vedere apprendimento e divertimento vanno a braccetto
*** Ovviamente c’era anche chi veniva in palestra per stare in compagnia e pertanto si decise di organizzare tornei e amichevoli destinati a loro ed io feci del mio meglio, non sempre riuscendoci,  per ottenere che tutti si sentissero coinvolti durante le sedute di allenamento. 

Roberto Toso (il nostro Capitano per eccellenza) è in carrozzina da vent’anni ma quando entra in una stanza buia la illumina con il suo sorriso.

domenica 14 novembre 2010

Sull'incultura. Ovvero: metti un sabato allo stadio...

Non ho mai trovato un buon motivo per cercare di curare la già denunciata - su queste righe - malattia da sport che realmente da sempre mi accompagna. Piuttosto, la alimento con applicazioni di visione frequenti su schermo e periodiche dal vivo. Un tempo erano applicazioni maniacali su entrambi i campi, ma basta introdurre ed entriamo tutti assieme in medias res.
L'evento sportivo che mi muove da casa è Italia-Argentina di rugby. Lo stadio di Verona è a 2,5km da casa ed io ne approfitto per una passeggiata. Arrivo un'ora prima della partita, convinto di farmi un giro ad annusare l'atmosfera. Però, cavolo, già la fila agli ingressi è lunga e caotica: mi ci metto. Perché ciò? Ma perché bisogna pagare il proprio tributo al calcio: tornelli e un portoncino solo per entrare, anche se il rugby non prevede perquisizioni, risse e motorini dagli spalti, ormai gli stadi sono complicati da frequentare. Paziente, mi incolonno ed entro.
Attorno a me si siedono persone. Ora, io non voglio condannare ma esprimere un'opinione: non capisco chi si accosta ad uno sport senza saperne minimamente le regole. Quando è capitato a me, di esordire da spettatore, ho sempre studiato quel che serve a comprendere molto di quel che succede. Allora. Esultare per un calcio da tre punti gridando 'gol' (non c'è ironia), non capire se l'ovale passa o meno in mezzo ai pali, non conoscere i punteggi... tutto lecito, ma se non sai nulla di tutto questo, forse l'insulto all'arbitro può essere fuori luogo. E qui sì, che condanno: tu non sai cosa significa quel fischio, però insulti. E non ditemi che chi paga ha diritto et cetera, perché non è vero.
Al di là delle regole, poi, il rugby ha un suo spirito di vigore cavalleresco che non accetta, perché proprio non lo comprende, l'invito a "spezzare le gambe" all'avversario. E la protesta contro l'elezione ufficiale del migliore in campo ritmata con uno stonato "Ci ha fatto tutti quei punti, ed anche lo premi" più turpiloquio, denota una struttura mentale di calcistica ristrettezza.
Ma andiamo nell'antropologia. Cantare sguaiati il nostro simpatico inno brandendo la mano destra con saluto romano, ululare alle "ragazze pon pon" frasi di maschia inettitudine, ubriacarsi allo stadio perché il rugby è birra... protagonista uno solo. Che dire? Me ne dispiaccio un poco e mi fa male, vedere un uomo come un animale - per citare.
E scoprire origliando commenti che sì, il rugby è uno sport molto bello, ma solo se guardi un tempo, perché seguire anche il secondo è impossibile. Non ho chiesto il perché, ero troppo stanco, come se avessi giocato.
Schiacciato da una mischia per me troppo pesante, me ne torno a casa sconfitto. 

giovedì 11 novembre 2010

La lunga marcia

A differenza di Chiara, che in questo senso già ha mosso i propri passi, io non mi sono mai sentito attratto dai viaggi a piedi. Non mi andava neppure di correre e mi rendo ben conto di come sia andata, o meglio stia andando. Quindi. Ancora non provo grande interesse per il genere, ma mai dire mai non è certo solo il titolo di uno storico film. Piuttosto, sognavo un lungo – anche lunghissimo – tragitto in bicicletta, che rimane lì nel cassetto (sia il percorso, sia il velocipede).
Lunghi tragitti con i libri li ho sempre amati percorrere e spesso mi dirigo nella sezione “Narrativa di Viaggio” delle biblioteche e delle librerie che frequento, assiduo.
Mi imbatto in questo libro del giornalista francese Bernard Ollivier, che giunto all'età della pensione, vedovo e con i figli grandi, decide di consumare con i propri passi la via della seta, da Istanbul a Xiang in Cina (10.000 km). Una passeggiata a tappe destinata a durare anni.
Questo primo libro racconta della Turchia, fino al mancato superamento della frontiera con l'Iran. Di sicuro leggerlo è interessante, Ollivier scrive e descrive bene fuggendo il rischio che ha sopraffatto molti scrittori di viaggio, perdutisi sulla strada dell'auto-celebrazione con il trascorrere dei km. Complimenti per la franchezza e l'obiettività. Ollivier è un signore anziano dalla invidiabile forma fisica e dalla non troppo nascosta antipatia. Ed è bello che sia lui stesso a rivelarla, la propria antipatia, talvolta auto-ironico, talaltra auto-critico, probabilmente consapevole che ad avere il tempo e le risorse una marcia come la sua non è poi una grande impresa atletica. A costituire l'impresa sono l'idea, la capacità di affrontare la solitudine, il dolore e la fatica, la paura. Interessante è il racconto perché tale è la via: abbandonare le strade statali per addentrarsi in sentieri e villaggi, con e senza il timore di affrontare delicati imprevisti. Ollivier è colto e preparato: conosce la storia del suo cammino, ha studiato anche l'ostica lingua turca. È curioso: cerca il contatto con le persone e lo fa con grande rispetto della cultura cui si accosta. Bel libro, leggerò anche le altre parti.

lunedì 8 novembre 2010

Carso, o Carso

Finito il fine settimana lungo di chiaro stampo carsolino, sono appena rientrato nella altrui Verona ed ho ripreso contatto con una linea internet veloce. 
Cominciamo dalle parole. Già due delle colonne di questa corsa in compagnia hanno detto e mostrato la loro: Agnese e Valentina, mentre Nicola "Orzowei" ha condiviso le sue immagini. Vi rimando alle loro parole, alle loro foto, perché le mie sono poche: prima la macchina si è bagnata e non scattava, poi ho fatto qualche danno e molte immagini sono andate perse.
Vi rimando ai compagni di strada perché mi piace qui raccontare progetto e realizzazione di questo Trail Autogestito, mentre loro scrivono di più della corsa.
L'idea. Nata dalla mia passione per la corsa sul Carso e rafforzata dall'entusiasmo seguito alla partecipazione al mio primo TA magistralmente organizzato da Cristiano "Kapobecero" & c, condivisa e alimentata da Chiara. Ho subito deciso: fine ottobre / inizio novembre per far vedere i colori speciali del Carso di questi tempi. Tutte le volte poi che sono tornato a Sagrado in visita parenti ho provato e riprovato il percorso, esplorando, tagliando, accorciando, fino a disegnare un circuito di - secondo il mio GPS - 22 km. E qui mi scuso: abitudine a far partire lo start all'inizio del sentiero e non della corsa, alla fine i km erano quasi 24: c'era anche il trasferimento fino allo sterrato.
Poi ho proposto il progetto sul sito di spiritotrail, senza ricevere entusiastiche adesioni: da lì solo in due, ma che due! Marco/Farco di corsa con noi e Gianmarco/Ronin, che ammalatosi poco prima del via è venuto comunque a salutarci.
Dal blog e da Facebook (che tanto bistrattavo e sul quale mi sono ricreduto, basta usarlo come conviene) molto meglio: già detto di Agnese, Vale e Nicola, da qui è arrivato anche Davide, che ha coinvolto gli amici Sabrina, Marco ed Enrico. 
Le giornate precedenti al TA sono state bislacche: meteo infelice e defezioni da influenza, sembrava fosse tutto a rischio. Poi il giorno prima arrivano adesioni nuove da Trieste, conferme e nuvole senza pioggia. Si va, ed è stato un gran bell'andare. Chiara poi ha insistito per l'organizzazione di un ristoro a sorpresa, che io credevo non realizzabile sottovalutando le insigni capacità di adattamento della duemesenne Mateja, giovane virgulto dal nome che più carsolino non si può.
Ho scelto il percorso secondo questi criteri: non troppo lungo (accidenti a quei due km in più) e senza dislivelli impegnativi, quasi nulla asfaltato, panoramico e significativo, colorato: insomma, accessibile a tanti e bello da percorrere. Panoramico lo era, credetemi, ma abbiamo avuto solo nuvole. Significativo: luoghi della grande guerra, che caratterizzano queste terre e che rimandano a memorie di umana follia. Colorato lo è stato, e pure sorprendente per chi non conosceva il Carso: mi ha fatto piacere.
Fondamentale poi per me era il Terzo Tempo, momento di condivisione di chiacchiere e passioni. Qui grazie all'aiuto degli amici e della famiglia che già ho elogiato c'è stato davvero da divertirsi, da bere e da mangiare. E che bello essere raggiunti da chi non ha potuto correre per la cattiva salute ma ha contribuito alla spensieratezza dello stare assieme, aspettando nuove corse.
Io ce l'ho messa davvero tutta, e mi pare sia andata bene.
Grazie a tutti: è ovvio che il prossimo autunno si ripete (e corre anche Chiara, ci mancherebbe).

sabato 6 novembre 2010

Elogio di chi non ha corso

Eccomi a casa genitori in relax dopo aver corso in compagnia il TA del Carso Isontino, prima edizione ideata da me e organizzata con l'aiuto fenomenale di amici.
Per raccontare la corsa mi serve una connessione internet seria (foto da scaricare) e aspetto di rientrare a Verona.
Prima di raccontare la corsa, mi piace dare svolgimento al titolo del post.
Cristiano, anima organizzativa del TA, lui che si è occupato di prenotare la sala e di molte altre cose. Senza l'amicone di tutti i tempi non avrei fatto proprio un tubo.
Elisa che lo ha affiancato in tutto questo (preparando tra l'altro un superbo manicaretto).
Stefano che ha passeggiato tagliando il salame al ristoro a sorpresa.
Gianmarco, che è venuto a salutarci alla partenza triste di non poter correre causa influenza.
Raffaella, anche lei appiedata dall'influenza ma presentissima al Terzo Tempo piena di idee per corse future.
Stefano 'Turcochecorre', che non ho incontrato di persona ma che ha lasciato cibo per noi.
Ezio, Chiara e la sua pancia e il piccolo Marco, disponibili ad ogni aiuto e divertiti in un sabato un po' strano. E poi, caro Ezio, è giunta l'ora di abbandonare il calcio per darsi al trail, lo sappiamo bene io e te!
Sarò di parte, ma alla fine mi illumino nello scrivere della mia famiglia: Chiara e Mateja, che non solo oggi hanno guardato con partecipe affetto al mio entusiasmo di organizzatore. E Chiara ha avuto l'idea del ristoro a sorpresa. E Mateja ha dormito lasciandoglielo fare.
Grazie a tutti.

mercoledì 3 novembre 2010

Tra Carso e futuro

Domani si viaggia verso la Venezia Giuliia, dove sabato proverò a mettere su sentiero il primo TA di mia ideazione. Ma di questo ho già scritto e scriverò ancora, aggiornando partecipanti e programma. Lunedì festivo abbiamo avuto visita, quella degli amici Livia, Alessio & famiglia. Sarebbero fatti non da blog, non fosse che con Alessio abbiamo trascorso importante parte del pomeriggio a guardare siti e carte geografiche per buttare giù un'idea di fine 2010 / inizio 2011.
La fine 2010 vedrà un unico obiettivo grosso: Cavalcata Carsica, prima domenica di dicembre. Per questa il mio allenamento ha preso il via e cerca di svilupparsi così: quattro sedute a settimana, tre di corsa e una di cyclette. Le tre di corsa: una corta e veloce oppure corta e tecnica con prove di discesa su sterrato, una sui 15km con saliscendi o variazioni di ritmo, una oltre i 20km (cercherò di aumentare in progressione) pianeggiante sul ritmo o meglio con dislivello. Se poi si riesce a sostituire la cyclette con un'uscita a piacere, meglio, ma non sempre è possibile.
Quanto al 2011, l'idea di fondo è di esplorare nuovi sentieri, con l'eccezione della auspicabile ripetizione della maratona sulla sabbia. Per il resto, tutto nuovo. Forse ci starà una maratona su strada, nella quale il mio obiettivo fondamentale sarà accompagnare Chiara al traguardo (Stoccolma?). I nuovi sentieri, e scrivo qui solo di quelli lunghi, spero ci porteranno in Francia (più di una volta, si spera: Lyon, Morbihan, Cote d'Opale),  e forse persino al di là dell'oceano, verso ovest. (qui non scrivo nulla: un minimo di scaramanzia). Visti i numeri degli amici francesi, sarà per me opportuno decidere presto se giugno potrà essere il momento del primo trail davvero lungo (88km Morbihan).
Per il deserto è ancora dura, specie per le difficoltà di incrociare come si deve le ferie di due famiglie.