domenica 27 febbraio 2011

La coscienza di Caio, telespettatore in estinzione

Da quando c'è il digitale terrestre, guardo di più la televisione. Guardavo, a dirla tutta. 
Sportitalia la Tv dello sport. Molto basket, questo mi piace. Piaceva. NBA (anche se la goduria di NBA Tv che trasmette nottetempo è durata lo spazio di una stagione, la scorsa) ed Eurolega, che rimane il torneo mio preferito. Poi, se si dovesse proprio riempire dei tempi vuoti anche Legadue e Lega Dilettanti (A2, B1 nell'antica divisione delle serie che ricordava un po' la battaglia navale). La qualità delle trasmissioni calcistiche, invece, la trovo - trovavo - pessima. Intendiamoci: grande il merito di mostrare i campionati argentino e brasiliano, ma i cosiddetti approfondimenti... roba da far accapponare la pelle. Niente paura! C'è Dahlia TV, che con la modica spesa di una decina di euro al mese (dicono otto, ma ci sono ammennicoli iniziali) mi permette di seguire l'Udinese in diretta. E poi, sport che mi appassiona davvero tanto... il football NFL, che, almeno lui, ho seguito fino alla fine della stagione.
Bastano un paio di giorni ed ecco che... Sportitalia cambia ripetitori per i propri segnali e scompare da metà del territorio nazionale almeno. Compresa casa mia. Dahlia, bontà sua, fallisce e si oscura. Ci sarebbe pur sempre Rai Storia, ma quella non l'ho vista mai. 
Dicono che Sportitalia tornerà, stanno lavorando per noi.
Dicono che dietro oscuramento e fallimento ci sia sempre Telecom Italia, da un lato esosa, dall'altro ingenerosa.
Sapete che vi scrivo? Che ho spento la Tv e ho preso in mano La coscienza di Zeno di Italo Svevo, libro che non avevo colpevolmente mai letto. Non tutto il male viene per nuocere.

giovedì 24 febbraio 2011

Urban Trail - Materiali

Dallo scorso fine settimana ho cercato di dare una svolta, abbandonando ogni idea di allenamento organizzato mi sono messo nell'ordine di idee: corri quando puoi, per quanto tempo puoi. Sta funzionando, sempre in versione urban trail: saliscendi, scalini, parchi e parchetti. Scritto questo, finisco la personale trilogia sul tema trail urbano con una riflessione su fondamenti e accessori.
Scarpe. Al momento sto andando avanti con quelle da strada (Saucony Pro Grid 3): finalmente ho trovato le mie scarpe, e non le mollerò facilmente.
Ho provato in parco le nuove scarpe da trail (Quechua Dawa Sherpa), ma sospendo il giudizio e non metto l'immagine: servirebbe far calpestare loro un po' di sentiero "serio". Rimango, per i percorsi misti asfalto sterrato non troppo tecnici, un discreto fan delle Kalenji Kapteren, che sono molto confortevoli ma hanno il difetto di sopportare pochi km. Io uso la versione per pronatori. 
Ma passiamo oltre le scarpe e veniamo alla mia passione compulsiva: tutto quello che serve per bere in corsa. Sarà perché non riesco a correre più di un'ora senza idratarmi, ma fin dai primi passi ho sviluppato una vera e propria passione per portaborraccia e sacche idriche.
La miglior cosa in assoluto l'ho trovata bighellonando al sostegno della mia mania in un negozio da runner a Stoccolma: il comodissimo portaborraccia della Haglofs
Molto stabile, fasciante, con le tasche capienti il giusto (ci sta anche il k-way) -  perfetto per un trail che non richieda una riserva idrica e di abbigliamento di scorta troppo sostanziosa. E se la richiede? Salendo di poco la scala dell'ingombro c'è l'ottimo zainetto Kalenji, o per cose lunghe il Diosaz 10 Quechua (sempre parrocchia Decathlon), che vedo sulle spalle di moltissimi trailer. Sono entrambi convincenti, non danno fastidio alle spalle, niente sfregamento, e il Diosaz ha anche il vantaggio dei laccetti portabastoncini. 
Finisco con la grande delusione: portaborraccia doppio Mini-Max III. L'ho messo una volta sola per un'uscita di poco più di due ore e l'ho trovato, purtroppo, davvero scomodo... sarà che non ho azzeccato l'allacciatura, sarà che i miei lombi a lui non si confanno, ma: fastidioso in salita, mi stringeva o si muoveva, del tutto instabile in discesa. E a forza di sballottamenti, la mia schiena ne ha un po' risentito. Riprovare? Conoscendomi, credo che lo farò.
Qualcuno è riuscito ad arrivare in fondo?




sabato 19 febbraio 2011

Verona Marathon, consapevole assenza

Parto con un vigoroso "in bocca al lupo" per i maratoneti e mezzi tali che stanno invadendo Verona, mia ancora per poco residenza. Io niente, domani. Preferisco fare il papà e portare Mateja in giro per la città a guardare la corsa, sperando che questo anticipo di primavera tenga duro senza essere troppo caldo per chi vuole raggiungere i suoi obiettivi.
Campo libero per la corsa a Chiara, speravamo in una sua Mezza, ma dopo la nascita della piccoletta la ripresa di mogliettina è stata inevitabilmente disordinata, quindi meglio una family-run da 12/13 km.
Quanto a me, avevo tempo fa pensato alla stessa Mezza spingendo il passeggino. Ma il pensiero è svanito: se comincio già ora a far fare a Mateja quel che piace a me, andiamo male - né ora, né mai (nei limiti del possibile). E magari a farle prender freddo un paio d'ore: no! Se sono pochi km può essere un divertente diversivo alla passeggiata quotidiana, ma più di venti no. Rigurgito di consapevolezza. Poi avevo ipotizzato sempre una Mezza corsa al mio massimo, ma non ho trovato motivazione alcuna: il babysitteraggio non l'ho neppure cercato, ché era certo che Chiara andasse a passo di corsa. Di nuovo, dopo un breve ritorno di fiamma, l'asfalto mi è, come si dice, venuto a noia. Mi tengo dunque il mio oggettivamente irrilevante ma soggettivamente apprezzabile personal best  di 1h42'03'' segnato alla seconda delle due 21,097 che ho corso impegnato nella mia aurea carriera e me ne a vado a bighellonare per la città, facendo tifo per facce amiche, note ed ignote.
Lunga vita al popolo dei maratoneti!

domenica 13 febbraio 2011

Te la do io, Venezia!

Questo il titolo che gli ottimi organizzatori del Trail Autogestito di Venezia hanno dato alla loro creatura per la sua seconda edizione. Della prima ho parlato spesso sull'amato blog, ma se a qualcuno fosse sfuggito il post basta cliccare qui.
Ma veniamo al 2011 e partiamo da un'immagine
Il TA inizia al sabato: Chiara, Mateja ed io arriviamo in treno da Verona nel pomeriggio; nell'organizzazione è compresa anche la possibilità di pernottare in zona Rialto nella pensione di RobyZam (assieme a Kapo, Giorgio & C. anima di queste giornate). Sistemazione perfetta, serata piacevolissima in compagnia: rivedo dopo un anno amici di blog e di sentiero come MiticoJane e Mercurio. Altri ne conoscerò / rincontrerò l'indomani mattina. Alla sera ci raggiungono gli amici Livia&Alessio con prole. Gran bella squadra.
Ottima notte (Mateja stupisce!) e la mattina sono bello riposato e pronto a partire. Chiara marsupia la piccoletta e io corro: spero di ricambiare presto il sublime gesto.
L'idea è presto descritta: guidati da Veneziani d.o.c. si corre per tutta la città (25km circa senza mai ripetere gli stessi passi!), alla scoperta di angoli davvero sconosciuti, probabilmente impossibili da trovare per chi Venezia non la conosca visceralmente.
Un esempio: l'ultimo cantiere per la riparazione delle gondole (resisti!)

E via correndo, tra chicche e chiacchiere. Il bello è proprio andare a ritmo non troppo impegnativo, fermarsi ad ascoltare racconti, descrizioni e chiarimenti, scambiarsi opinioni, suggestioni e idee a passo di corsa. Siamo in tanti, quest'anno: non ci ho contati, ma credo che una cinquantina di colorati ed eterogenei trailer urbani siano quelli che hanno riempito Venezia di allegria in questa domenica di febbraio.
Sono stato a Venezia davvero tante volte, ma credo di averla iniziata ad apprezzare come merita proprio in occasione del TA dello scorso anno. Ed oggi ho continuato, con gran soddisfazione, come si può vedere
Poi la festa è continuata in ristorante.
Alla fine è girata la voce che qualche GPS, a forza di andar su e giù per ponti, abbia segnato 800m di dislivello. Sembra una battuta, ma forse è più vicina alla realtà di quanto si possa pensare. In fin dei conti, si è corso davvero. Perché c'è pure un lato agonistico del tutto... bugia! Non c'è proprio nulla di agonistico, è solo goduria di corsa .
Forse, alla fine della giornata, la più allegra era Mateja, che adesso dorme la nanna stanca della bimba che impara ad andare in giro. Brava, preparati per il 2012, perché a questo TA ci torniamo di sicuro (e ad aprile all'UltraMiticus, ma questa sarà un'altra storia).

martedì 8 febbraio 2011

Oltre la montagna (Steve House)

Gran libro. Certo, deve piacere il genere, ché qui si parla di alpinismo estremo. Quello che mi ha incuriosito nel mio abituale vagabondaggio in biblioteca è la motivazione di Steve House: scrive di aver pensato al libro per rispondere a se stesso - "Perché si scala?". La domanda più ovvia. Da qui House parte per raccontare di sé e del suo amore per la montagna.
Il punto di partenza è davvero particolare: il giovane House dagli Stati Uniti si sposta in Slovenia per un anno di studio all'estero - già da qui comprendiamo la sete di scoperta che lo contraddistingue; di solito il percorso è quello inverso. E correva l'anno 1988. La difficoltà con la lingua e con la cultura slovena viene superata, come d'incanto, grazie alla frequentazione di un club alpino. Lì Steve troverà i suoi primi maestri, partirà per una spedizione sul Nanga Parbat: a diciannove anni assisterà i compagni salire, ma arriverà, alla fine del libro, il suo turno per scalare la parete più imponente della Terra inaugurando una via nuova.
House sa raccontare sia le montagne, sia se stesso.
Gli amanti dell'alpinismo troveranno in questo libro molti dettagli, descrizioni tecniche di passaggi vertiginosi.
Gli amanti dell'indagine sull'uomo (mi metto in questa categoria) troveranno la lucida disamina di tutto quello che esalta e tormenta l'alpinista: gioia e dolore, vita e morte, inesorabile compagna di questo sport. Senza contare le difficoltà di puntellare relazioni personali che sappiano valicare senza ferite tutte le montagne che uno scalatore "top" trova sulla strada.
C'è un valore aggiunto, quello che House condivide con Messner, Moro ed altri grandi: il rigore di salire la montagna in stile alpino, ovvero senza corde fisse, senza spedizioni di supporto, portando in spalla quello che serve alla sopravvivenza. Una scelta dal sapore quasi mistico, religioso, come credo sia giusto e sacrosanto per chi della montagna ha fatto la propria compagna di vita. Forse più che da qualsiasi altro alpinista-scrittore, da House ho capito a fondo il senso della scelta. E questo capire mi ha suggerito un pensiero: a me, nel mio frequentare la corsa in natura, e pure in montagna (bassa).
Perché abbiamo bisogno, per correre, di grandi organizzazioni? In fondo quando si decide un'escursione si scelgono i compagni, si caricano gli zaini, si aspetta il tempo giusto e si va. Cosa c'è di diverso nella corsa? Certo, ci sono occasioni che consentono di vedere posti che senza una gara organizzata non sarebbe facile visitare, penso ai miei progetti di Bretagna, per dirne una. Sono domande vere, non retoriche, che trovano forse una mia risposta nella scelta per il 2011: solo Trail Autogestiti e gare all'estero.