lunedì 28 ottobre 2013

Basket e Gesuiti!

Gli amici che mi leggono sanno che per lavoro e interesse personale bazzico spesso le notizie che arrivano dal Vaticano, sia quelle di cinquecento anni fa, sia quelle di oggi. 
Un titolo come "Stati Uniti, lo sport che fa bene alla Chiesa" non poteva certo mancare di stuzzicare il mio interesse più di quanto un peperoncino messicano possa stuzzicarmi il palato!
Lo spunto per questo bel titolo viene da due notizie:
1) durante la maratona di Washington (corsa ieri) un gruppo di amici del seminario della città del Pentagono corre per promuovere le vocazioni: Run for Vocations; al di là della trovata, quello che mi pare più interessante è la proposta per i partecipanti al gruppo di un allenamento che contribuisca a costituire la spiritualità del maratoneta. In parole povere, allenarsi per i 42,195 può essere una metafora del cammino richiesto per avanzare nella propria fede.
2) i due vescovi delle città che si stanno giocando le World Series di baseball, St. Louis e Boston, hanno fatto una scommessa: chi perde donerà 100 dollari del suo portafoglio personale alla Caritas della diocesi vincente. Un modo per pubblicizzare le attività caritative parlando di baseball.
Non scrivo questo post per commentare le due notizie, ma per proporre una riflessione sullo sport in generale. Io credo che fare sport, amare lo sport, seguirne i principi anche fuori dai campi e dai sentieri sia un modo coerente per entrare in una dimensione spirituale. Non è detto che questo abbia a che fare con la fede, né con le vocazioni o la beneficenza. Leggo spesso complicati commenti su cosa sia o debba essere "spirito trail", leggo ancora più di frequente ipocrite dichiarazioni di "fair play" da parte dei sempre meno acuti esponenti dello sport nazionale. Molte balle. Da noi lo sport è fare l'affare, dal calcio prima di tutto riceviamo il triste esempio di uno sport completamente materiale, senza spiritualità, senza poesia. Dove è plausibile che molto sia deciso a tavolino. Pure dal trail ricaviamo esempi ben poco edificanti di agonismo selvaggio per arrivare novantesimi anziché novantunesimi. Nella mia esperienza di allenatore di basket ho visto troppi genitori rovinare la gioia del gioco. Togliere ai loro figli quel qualcosa che potrei definire anche "spiritualità".
Probabile che le due notizie di cui sopra non abbiano niente a che fare con la mia riflessione, però me l'hanno ispirata. Negli Stati Uniti c'è un rapporto con lo sport molto meno malato del nostro: lì l'agonismo puro si limita ai professionisti, per tutti gli altri c'è un mondo di sfide con se stessi e grandi passioni. Gli stadi di football (come amo questo sport!) sono sempre fitti di spettatori, tifosi delle due squadre in campo mescolati tra loro, quasi tutti con la maglia della propria squadra, originale e non tarocca. È un mondo che si apre a mille metafore, un mondo che mi piace da matti. Non saranno tutte rose e fiori, ma la roba bella non manca.
Chi segue la trasmissione radiofonica 610 sa di cosa parlo quando cito "Corri in edicola", una gag fatta per coglionare le folli offerte che troviamo ogni giorno, appunto, in edicola.
Un esempio,"Stalin e Cozze": "Corri in edicola, perché da oggi c'è Stalin e Cozze: mitili e peoci, i molluschi marini bivalvi sono davvero ricchi di vitamina E? Tutto sulla collettivizzazione delle campagne nel quinto piano quinquennale di Stalin ... e con il primo numero di S&C in regalo una riproduzione in grandezza naturale di una cozza con l'effigie del leader sovietico".
Chiara mi prende in giro, a buon diritto, dicendo che un giorno fonderò la rivista "Basket e gesuiti". Che questo post sia il primo passo?

sabato 19 ottobre 2013

Qualcosa più di un trail... dall'Isonzo a Miramare, attraverso il Carso

Ho controllato. Era il primo maggio 2012 quando avevo scritto del progetto di una traversata carsica da Sagrado al mare. È passato un anno e mezzo, ma finalmente il progetto è diventato realtà 
Con grande piacere ho ospitato sul blog il racconto di Michele e linkato quello di Marco. Vi consiglio di leggere loro per capire come è andato il nostro trail, io non voglio ripetere quello che già i miei compagni di Carso hanno scritto, dunque scrivo del mio viaggio in maniera più personale, quasi intima. 
Dopo la bella serata di sabato sono contento di partire a piedi verso il mare. Mi spiace che Mateja sia a letto con l'influenza, perché se lei fosse stata in forma sarebbe stato possibile un arrivo diverso. 
Partiamo in quattro, l'idea è fare Sagrado-Miramare attraverso il Carso e poi rientrare con i mezzi pubblici. Michele è forte, Marco è forte ma non allenato, Leo è giovane e ci accompagna fino Monfalcone. Io sono quello che sono. 
La prima parte scorre via veloce, mi dico che veloce lo è troppo e credo sia vero. I km iniziali sono i "miei", quelli dei posti di famiglia, un po' si chiacchiera, un po' si guarda. La compagnia è bella. Monfalcone arriva fin troppo presto. Leo ci saluta, io sto bene. Però il ritmo mi preoccupa: non è il mio. E qui la solita domanda: sono io che tengo troppo o sono io che sono quello che sono? Ovvero. Mica tanto forte. Quando arrivano i luoghi della Cavalcata Carsica sono molto contento: è bello ripercorrerli al contrario, così che la fine non sia la fine e tu possa guardare con occhi meno velati quello che ti sta intorno. 
Mi piace chiacchierare con Marco e Michele perché non si parla solo di corsa, anzi di corsa si dice poco. A me la corsa piace un sacco, ma mi piacciono un sacco tante altre cose. 
Facciamo una sosta, sono passati circa 17 km se non ricordo male. Scegliamo la strada futura leggendo la carta: ci sarà un po' di asfalto, ma a me non disturba. L'asfalto delle stradine provinciali, quello dove le macchine passano una volta ogni tanto; non è male. Prima dell'asfalto, però, abbiamo un paio di rampe mica da ridere. Mi impressionano fiato e passo di Michele. A me salire piace, ma qui siamo davvero su altri ritmi. 
Passano le vette carsiche, arriva l'asfalto di Sistiana. Mi tengo un po' indietro, i compari corro troppo svelti. Ci fermiamo a fare rifornimento e poi dopo un breve tratto di costiera si sale sul sentiero "1". Panorami da urlo, al plurale perché le vedute si susseguono una all'altra. Ecco il motivo per cui il 1 maggio 2012 avevo confidato al blog di voler correre fin qui. Andiamo avanti, soste fotografiche per riempirci gli occhi di bello. Il lato estetico del trail, forse spesso sottovalutato, io lo valuto eccome!
Siamo a 27 km se non ricordo male. Dico a Marco e Michele che è meglio se vanno, io sto vivendo una crisi e non sarebbe saggio inseguirli. Meglio continuare da solo. Michele dice che secondo lui ho ancora birra in corpo, io davvero vorrei averne, di birra in corpo. Purtroppo alla sosta bar sono stato conservativo e ho preso cocacola. Su questo sentiero per me non si corre: troppe rocce, troppa instabilità. Vado al passo, di buon passo, e mi godo senza fretta tutto questo mare. Poi la strada cambia, alterno corsa e camminata. A Santa Croce il sentiero va in asfalto, dove sarà la prosecuzione? Lascio stare la cartina e chiedo ai passanti. Con i passanti non ha funzionato, la prossima volta guarderò la cartina, in fondo si procede per prove ed errori! 
Salgo e non mi convince, scendo e non mi convince. Continuo su asfalto, sentieri non ne trovo. Ora sto meglio. I quadricipiti di marmo liquido che mi avevano suggerito di lasciare andare i compari riprendono forma di muscolo e posso proseguire serenamente. Il problema è che non so bene dove sono. A volte è una condizione che infastidisce. Giri una curva e trovi il contrario di quello che pensavi di trovare. È lì che spesso ti fermi, cammini un po' e poi riparti. Però là sotto il castello di Miramare mi fa compagnia e certo in qualche modo fin là ci arrivo. E ci arrivo. Sono 37 km, se non ricordo male. Soste comprese, 5 ore tonde tonde. Dislivello non so.  
Scrivo a Michele che sono prossimo alla stazione, ma loro non ci sono. Si sono persi peggio di me. La stazione è deserta, sembra una ghost town del vecchio West. Eppure da internet dicono ci fermino dei treni. Michele mi chiama. C'è un bus. Ottimo. Raggiungo (correndo!) lui e Marco alla fermata. Mi cambio. Arriva il bus, neanche si ferma. L'autista fa cenno "il prossimo". Io dico allora ne avranno fatti partire due. Michele ride e dice si vede, che vivi in Trentino. In effetti non passa nessuno. Autostop dei tre puzzoni senza successo, prendiamo un autobus che ci porta a Trieste,in stazione mangio e bevo come un orco (anche una birra), poi un treno fino Sagrado, salvo un'inquietante sosta (a Miramare!) con il locomotore che fuma come un turco. 
Una parafrasi per i miei "se non ricordo male": non riesco a scaricare la traccia del Garmin (una notizia che non me lo fossi dimenticato) perché i miei computer sono in vacca. Già ho lanciato uno sfogo anti Apple su FB.
E qualche nota.
Correre con lo zaino è una cosa che va allenata: non posso tenere i ritmi senza zaino se lo zaino sta in spalla. Avere i vestiti di ricambio all'arrivo vale lo sforzo delle spalle caricate. 
E poi... che devo fare? Rassegnarmi ai lunghi in solitaria? Meglio il proprio ritmo dall'inizio alla fine? Mi piace molto la buona compagnia, quella di questa corsa era perfetta, ma il mio passo è così mio che non riesco a condividerlo. 
Di certo questa corsa va rifatta, cercando magari di allungare fino Barcola. 
Sono soddisfatto, non granché come trailer, però mi diverto, sto bene, recupero in fretta e gestisco le crisi. 
Non ci sono altre ragioni per fare cose così. Almeno. Non per me.

giovedì 17 ottobre 2013

Sagrado - Miramare


Con grande piacere ospito il racconto dell'amico Michele. Domenica scorsa siamo andati al mare!
Marco invece ha il suo blog: http://mansumarco.blogspot.it/2013/10/13-ottobre-2013-trail-da-sagrado.html
 
Ore 9 e 40, siamo davanti alla stazione di Sagrado. Che sia domenica lo si capisce dalle poche macchine parcheggiate, durante la settimana il piazzale è pieno. Stranamente il bar è aperto, peccato che oggi non voglio far colazione. Ho sempre amato le stazioni dei treni e i bar connessi, sono pieni di gente interessante, gente che viaggia per dovere, pendolari studenti, impiegatini e nel caso di Sagrado anche qualche “foresto” del CPT… Poi, gli odori delle stazioni sono interessanti, a me piacciono gli odori, anche quelli sgradevoli, ragiono come i cani, che annusando un luogo capiscono a modo loro le cose.
Comunque, parcheggiamo l’auto e troviamo Caio ad aspettarci, due convenevoli e si parte. Occhi puntati sull’asfalto per qualche centinaio di metri, poi si entra nel bosco. Subito una salita, chiacchieriamo ed il fiato si fa più corto. Compagnia mal assortita, compagnia ben assortita. Siamo 4, il più estraneo è Leo, mio nipote alla sua prima corsa vera e propria, 10 km fino a Monfalcone, un battesimo tranquillo per i suoi polmoni allenati da un soggiorno di un anno a Quito, 2800 metri sul mare. Corre con le mani in tasca, inforca gli occhiali da sole e sembra a suo agio. Parla poco, come un uomo, ma lo sento, lo vedo tranquillo, non si lamenta, buon inizio Leo.
Arriviamo nei pressi delle alture di Polazzo, qualche recinto con la scritta proprietà privata, beati gli indiani, che non avevano queste pretese di possesso… A destra i 100.000 morti di Redipuglia, giusto là dietro, quei cipressi parlano chiaro a chi alza gli occhi. Continuiamo, siamo già sul Monte Sei Busi, ancora morti e la terra è veramente rossa in questo passaggio. Sarà rossa per il ferro, ma ho sempre una sensazione strana nel pestare questi luoghi, vorrei essere più magro, più leggero. Scolliniamo e a breve arriviamo nei pressi di un cippo della prima guerra mondiale, foto di rito. Penso non sia passato molto tempo, forse 4/5 anni, che il carso deve aver preso fuoco. Si vede dalle piante pioniere che qui ripopolano la landa carsica. Ailanto, dei pioppi sul versante più riparato a sud. Il timo è in fiore, non ricordavo fiorisse in autunno, va beh, mettiamo anche questo nella memoria della mente.
Arriviamo sotto il monte Cosici. Saliamo? No, no, coro unanime. Tutti stanno bene, il fiato non manca, ma meglio risparmiare, il viaggio è ancora lungo. Quota 65, si scollina. Quota 65. Ai tempi della prima guerra i monti non avevano nome (o li avevano in slavo, figurati) per cui erano chiamati con l’altitudine segnalata dalle cartine. Monti? ... Sono collinette, ma non si poteva morire per delle “colline”, per cui  venivano catalogati come monti, ma colline sono e colline rimangono.
Andiamo avanti, Leo ci saluta, ha fatto il suo, bravo Leonardo, benvenuto!
Pietrarossa, un lago incantato ferito dall’autostrada.
Ora tocca salire sull’ Arupa Cupa… quota? Non ricordo. Pochi mesi fa un escursionista ha trovato un intero arsenale nei pressi di dove corriamo adesso, con conseguente polemica su chi dovesse accollarsi il costo dell’operazione di brillamento e bonifica. Sui morti nessuna polemica, oramai quelli…
Jamiano, intravediamo il 3 e l’arrivo del 3 col suo bel trattore rosso, chi ha fatto la cavalcata carsica sa di cosa parlo. Stiamo in silenzio, secondo me tutti e 3 pensiamo al 3 e alla fatica di finire quel magnifico viaggio che si intraprende la prima domenica di ogni dicembre…
Monte Flondar, poi  arriviamo a Medeazza dove ci fermiamo a guardare la cartina. Nemmeno un’occhiata al percorso fatto, gli occhi sono puntati sul percorso ancora da compiere. Il 3, no, scendiamo per l’8, no, guarda l’oleodotto come taglia il carso, ottimo andiamo di là! Ripartiamo, salita, si conversa piacevolmente, “ma quanto costano le case in trentino”, “ma che giornata stupenda”, “dobbiamo guadagnarci il mare”! Si viaggia, si viaggia, con le gambe, con la mente. Ceroglie, stupenda, sembra di essere in Galizia, muretti a secco, odore animale, si viaggia…C’è un cartello che propone la vendita di un formaggio pecorino, oddio, devo tornare qua, ho fame, e hai capito, fanno il pecorino, non sapevo, dev’essere un urlo!
Passiamo davanti a Sistiana, Marco si emoziona, si ricorda di quando abitava qua e finito di lavorare affrontava l’Ermada correndo. Bei tempi andati? Ma dai… Marco è il picio del gruppo, mal assortito, ben assortito. Non si allena ma va, lo controllo, porta il fiato un po’ corto ma ce la fa, qualche piccolo acciacco, d’altronde non siamo qua a pettinare bambole. Lo vedo combattivo, non ha paura di soffrire, mi piace.
Caio ha una piccola crisi, ma passerà, abbiamo aumentato il ritmo, il sale del mare ci riempie già i polmoni affaticati e le gambe hanno cominciato a girare senza chiedere permesso alla testa. Corriamo incontro al blu, voglia di costiera!
Ci fermiamo al bar della costa dei barbari, un caffè, che piacere. Tutte quei zuccheri in vista… ma ho già detto, niente colazione, niente zuccheri. L’idea è di abbinare un viaggio con gli amici ad un allenamento. Quale allenamento? Migliorare le capacità del corpo di utilizzare i grassi durante l’attività fisica. Bisogna prima terminare le scorte di glicogeno, quindi un bel lungo, magari senza colazione, poi il corpo deve, se non si mangia nulla, attingere ai grassi. Il ritmo da tenere non è così importante, anzi, un lungo lento è l’ideale. Usciamo dal bar, si riparte, direzione costiera, che sole, che giornata. Arriviamo all’imboccatura del sentiero 1, ci si inerpica e in un attimo siamo sopra la strada costiera. Via il rumore delle automobili, siamo nuovamente nel bosco. Sembra di stare in montagna. Osservatorio Tiziana Weiss, avevo letto qualcosa di questa alpinista, poi, mi ricorda un sentiero, magnifico anche quello, in Carnia. Ci sono delle ginestre in fiore, fuori stagione, of course, solitamente una seconda fioritura è indice di stress per le piante, chissà, ci rimugino un po’.
Ora Caio è stanco, rimane un po’ indietro. I km si fanno sentire, siamo al 30° credo, mi manca il garmin, dimenticato a casa! Guardo Caio, è una cara persona, grande stima per quello che fa. Secondo me ha ancora molta, molta birra nelle gambe ma ho l’impressione che non gli dispiaccia stare solo per un po’, senza la sensazione che qualcuno lo “tiri”. Uomo libero da costrizioni, Caio. Io e Marco andiamo avanti, Caio prosegue da solo, con l’idea di ritrovarci a Miramare , stazione dei treni. Cellulare acceso, abbiamo entrambi batteria. Alla fine Caio arriverà prima di noi, prima del previsto, si vede che la birra c’era.
Ora ritroviamo il sentiero della salvia, poco da dire, meraviglia, meraviglia, sole, mare, caldo, una favola. Sentiamo il profumo dei marittimi, non inteso come portuali, ma come i pini. Leggera discesa, terreno morbido, una meraviglia.
Arriviamo a Santa Croce, chiediamo informazioni, una direzione, un sentiero. I cartelli sono bilingui, le panetterie vendono burek, salto culturale, un altro mondo nel nostro mondo, che ricchezza. Ville disabitate con una vista da urlo. Riprendiamo il sentiero, terreno morbido. Marco fatica, ma stringe i denti, e va. Ha le articolazioni in fiamme, ma non molla, grande Marco. Andiamo a vista, non abbiamo cartine, non abbiamo riferimenti, ma Miramare  è li sotto per cui… Incrociamo degli escursionisti, ci danno delle indicazioni: dobbiamo andare fino a Prosecco, poi trovare un cartello blu con scritto parco di Miramare e scendere! Non possiamo sbagliare! Mai dire queste parole, Mai!
Arriviamo a Prosecco, un altro mondo ancora, troviamo una vecchietta, chiediamo ancora informazioni stradali, sentieristiche e questa ci risponde con un chiaro accento slavo:  “andate zo di quà!”, andiamo. Ci perdiamo, altro che “zo”. Solita storia. Continuiamo a naso su dei sentieri oramai abbandonati, ma la traccia c’è, questo ci basta. L’ultima volta che questo sentiero è stato calcato la vecchietta faceva ancora girare gli occhi agli uomini. Rovi, erbe e sassi, ma arriviamo, arriviamo. Miramare. Caio ci aspetta, è arrivato prima lui di noi, non so da dove è passato, forse nemmeno lui.
Alla fine del viaggio si sta meglio che all’inizio. 
Michele


martedì 15 ottobre 2013

Quattro chiacchiere tra amici

Tempo fa ho scritto un libro. Non propriamente un bestseller, piuttosto una spero dettagliata ricostruzione di una parentesi storica del 1600 austriaco. In sintesi, si parla di come i gesuiti si siano inseriti nel territorio tra Friuli, Carinzia e Slovenia. I gesuiti sono un ordine religioso molto singolare, oggi si cerca di conoscerli meglio perché il papa attuale è uno di loro. Io li studio da ormai dieci anni. È parte integrante del mio lavoro, mettere per iscritto quello che studio. Certo non posso sperare nel successo commerciale. Del libro ho fatto un paio di presentazioni, poi una terza. Di questa ho voglia di scrivere. Mi hanno chiesto dal mio comune di origine, Sagrado, di raccontare le mie ricerche in una serata da organizzare. Bella idea, e mi sono messo a pensare. Volevo tentare di fare qualcosa di piacevole, il più lontano possibile dal noioso. Allora ho provato a coinvolgere Marco, amico di vecchia data, oggi giornalista. Coinvolto. E abbiamo provato a concretizzare l'idea di una chiacchierata tra storia e attualità. Ci siamo detti che la cosa migliore era seguire un canovaccio condiviso e lasciare spazio all'improvvisazione e alle suggestioni del momento. 
Il titolo metteva insieme quello del libro (Dentro e fuori le aule) e di tutto un po' (I gesuiti a Gorizia e nel mondo, dal 1600 ai giorni nostri, o qualcosa di simile). 
Sabato scorso, dopo tanti incroci d'agenda, ci siamo trovati a Sagrado ed è stata una gran bella serata. La saletta piena di gente, persone in piedi, tanti amici che non vedevo da tempo, facce interessate, incuriosite, divertite. Marco e io sapevamo di avere una certa sintonia, il tempo non l'ha intaccata. Ci siamo divertiti facendo il nostro mestiere: un vero lusso. Credetemi: cercare di capire il passato non è tempo perso. Studiare non lo è mai. 
Dal mio attuale direttore ho imparato molte cose, una fondamentale - rubo le sue parole - è che uno storico che riesca ad avere anche una parte pubblica, comunicativa, nella sua professione aggiunge sale al piatto delle sue ricerche. Cerchiamo di uscire dagli archivi, altrimenti rischiamo di ammuffire!  
Eccoci, Marco e Caio in un brainstorming veloce prima della chiacchierata.


Un grosso grazie a chi c'era e a chi ci sarebbe stato volentieri ma non ci è riuscito. 
Grazie a Barbara che ha avuto l'idea. Il comune di Sagrado è l'unico posto che non mi ha mai messo in difficoltà per le elezioni. 
Grazie a Marco che, come sempre, è stato super.


E siccome ero a Sagrado, il giorno dopo ho realizzato un progetto di corsa che bolliva in pentola da un po'. Chi mi conosce su Facebook già sa cosa intendo, per gli altri... C'è il prossimo post! 

venerdì 4 ottobre 2013

Le opinioni di un "vaticanista" che corre


Il nuovo corso di Papa Francesco
Discernimento e apertura, carismi gesuiti

L’intervista che papa Francesco ha concesso al direttore di “Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro è stata guardata con molto interesse dalla stampa internazionale, non solo da quella cattolica. L’attenzione è meritata per una serie di ragioni: il carisma e il ruolo di chi risponde, la competenza e la raffinatezza intellettuale di chi domanda, la profondità e la ricchezza degli argomenti trattati, alcuni riconoscibili come un leitmotiv dei rapporti tra la Chiesa, i credenti e i non credenti. Si pensi al ruolo della donna nella Chiesa o alle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Di questo molto si è detto, rischiando forse di sottovalutare il fondamento del pensiero espresso in merito da papa Bergoglio, un pensiero che trova le sue radici nella spiritualità della Compagnia di Gesù e del suo fondatore, Ignazio di Loyola. 
Due sono le chiavi di lettura necessarie: il discernimento e l’apertura. Francesco legge la sua appartenenza all’ordine dei gesuiti anche attraverso la categoria del discernimento, una virtù che sta alla base dell’insegnamento ignaziano e che porta con sé la giusta attenzione al tempo: i cambiamenti e le riforme non si possono fare improvvisamente, seguendo un’agenda dettata dalla fretta e dalla voglia di avere tutto e subito; al contrario, hanno bisogno di essere pensati. Dalle parole del papa si evince chiaramente che questo non significa certo differire, ma progettare. L’esempio di Ignazio in tal senso è davvero unico: dopo la sua conversione si lanciò con entusiasmo nella predicazione, salvo accorgersi molto presto della necessità di acquisire i fondamenti teologici, anche per difendersi dalle accuse di simpatia per i protestanti. Si era nella prima metà del Cinquecento, e lo strappo confessionale segnava profondamente le coscienze. Ignazio allora scelse di tornare tra i banchi, con persone molto più giovani di lui. Si prese il suo tempo, e così comportandosi riuscì a organizzare le fondamenta di un ordine religioso che ha caratterizzato la storia del cristianesimo degli ultimi cinque secoli.
Il pensiero del gesuita, aggiunge Bergoglio, deve essere aperto, pronto al dialogo, creativo. Sono tutte indicazioni che ci rimandano a un tratto fondamentale dell’identità della Compagnia di Gesù: l’essenzialità della missione. “Una pastorale missionaria – spiega il pontefice – non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio missionario si concentra sul necessario”. Per capire cosa sia necessario, però, serve conoscere e Bergoglio significativamente invita la sua Chiesa ad andare incontro all’altro nelle zone di frontiera. Spesso il gesuita si è mosso, nella storia, davvero al confine; non solo quello geografico, ma anche quello tra ortodossia ed eterodossia. Penso ai numerosi casi, spesso anonimi, di uomini che si comportavano contro le regole, interpretandole, violandole, ridefinendole: la storia dell’evangelizzazione delle Americhe, per esempio, è piena di casi simili. Ed è da questo atteggiamento, profondamente ignaziano, che nasce un’opinione di Francesco che ci pare davvero innovativa e foriera di speranza: la visione dalla dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata, dice, e aggiunge che le scienze aiutano la Chiesa a crescere nella comprensione. A volte dimentichiamo che anche la storia è una scienza e che anch’essa, come le sue sorelle più riconosciute, può aiutare a crescere nella comprensione.

Claudio Ferlan 
Fondazione Bruno Kessler – Istituto Storico Italo-Germanico
Copyright - L'Adige, pubblicato il 3 ottobre 2013