giovedì 30 dicembre 2010

Tutto Vero!

Ho aspettato il gran giorno, tra uno starnuto e l'altro, con poca voce e quella poca roca per urlare su queste righe la mia gioiosa soddisfazione.
Perché oggi ho firmato il mio primo contratto a tempo indeterminato, vincitore di concorso (pure se formalmente si chiama "call") da ricercatore a Trento - Istituto Storico Italo Germanico. E chi se l'aspettava? Io proprio no, ma proprio così è andata. E abbondiamo con i proprio. Questo "callcorso" mi ha succhiato ogni energia, usciti i risultati sono crollato fisicamente e fatico a riprendermi. Ma sapete che vi scrivo: evviva che sia così!
E sempre così incomincia una nuova stagione, questa volta non di corsa. Dieci anni fa (cacchio, quanti) ho rinunciato alla carriera da avvocato, dicendo no dopo un anno di pratica. Mi ero già re-iscritto all'università, con l'idea di dare cibo alla mia passione per la storia. Poi ho deciso di provarci, spalleggiato dalla morosa conosciuta da poco. Scelta razionalmente folle, ma visceralmente appassionata. 
Ora la morosa è mogliettina, c'è Mateja, la follia è diventata realtà.
Che anno, il 2010.
... perché alla fine scrivere un blog è pur sempre raccontare qualcosa di sé.

venerdì 24 dicembre 2010

Eurolega

Tra influenze e pioggia incessante, la mia corsa riposa. Tempo di prime svolte nella stagione di basket, e per fortuna che c'è Sportitalia... da due anni posso seguire l'Eurolega senza dovermi abbonare a SKY, cosa che del resto non ho mai fatto. Sono rimaste 16 le squadre a giocarsi la "Champions League" della pallacanestro. Un mio commento.
Girone A
Quello senza italiane, dunque il meno trasmesso e per me il meno visto, conosciuto più sulla carta che in video. Dominato dal Maccabi (9 vinte - 1 persa), squadra forte e allenata benissimo, favorita per arrivare in fondo. Dentro Vitoria, Zalgiris e Partizan (tutte 5-5), dai baschi ci si aspettava di più, ma restano forti. Benissimo lituani e serbi, mine vaganti per il seguito. Fuori a sorpresa i ricchi russi del Khimki (e dimissioni del coach italiano Scariolo), per loro una debacle, fuori i polacchi del Prokom dopo i fasti dello scorso anno, ma c'era da aspettarselo.
Girone B
Il gruppo con la classifica più logica. Prima la corrazzata Olympiacos (7-3)  finalisti lo scorso anno e ora forse ancora più forti. Qualche caduta da calo di tensione, ma davvero solidi. Poi le spagnole Real Madrid (6-4) e Malaga (5-5). Mai brillanti, ma presenti a finire il compitino. Lo stesso può dirsi per Roma (5-5), malissimo in campionato ma sopravvissuta in Eurolega, alla fin fine grazie ad un canestro davvero mostruoso di Charles Smith, giocatore in chiara parabola discendente, ma uno dei pochi ad essere dotato di classe pura Classe che per Rino Tommasi, è la capacità di giocare al meglio i punti decisivi. Appunto, Charles Smith. Fuori Bamberg (4-6) e Chaleroi (3-7): tedeschi e belgi hanno onorato la partecipazione con vittorie di prestigio, ma per passare il turno serviva qualcosa in più.
Girone C
Grande Siena (8-2), oltre ogni attesa: squadra non troppo italiana ma campione d'Italia che ha giocato benissimo, assieme al Maccabi la migliore di Eurolega fino qui. Girone squiibrato con le prime tre nettamente più forti: Fenerbache (7-3) e i campioni del Barcellona (7-3) avanti tranquilli. Da Barcellona ci si aspettava di più: credo che non tanto gli infortuni, quanto la crisi di Rubio li abbia messi in difficoltà. Difficile però non continuare a crederli favoriti, con le Final Four in casa. Rimonta finale e passaggio del turno da una delle squadre più belle da vedere, i lituani del Lietuvos (4-6), ricchi di talenti giovani e vecchi, capaci di sorprendere in futuro. Fuori Cholet (4-6) e, tristemente, il Cibona: perse tutte, rischio fallimento e prestazioni non all'altezza per una delle squadre che hanno fatto la storia del basket. In bocca al lupo!
Girone D
Qui le sorprese, positive e negative. Di normale c'è solo il primo posto del Panathinaikos (7-3), per successi la prima squadra di Atene, alla quale non manca niente, come al solito, per ambire alla vittoria finale. Clamoroso e felice il secondo posto dell'Olimpija Lubiana (6-4), capace di dare più del massimo delle proprie possibilità, di vincere partite difficili in volata e in rimonta (segnale della presenza in panchina di un coach con i contro... fiocchi). A loro va il mio tifo: sono nato e cresciuto troppo vicino al basket sloveno per non restarne affascinato. Poi Efes Pilsen (5-5), senza infamia e senza lode, per andare avanti ancora serve di più. Stesso commento per Valencia (5-5), brava ad aprofittare delle orribili debolezze psicologiche di Milano (4-6), squadra caduta come un frutto maturo al momento della resa dei conti. E aveva tutte le carte buone in mano. Quasi con vergogna, dal basso della mia esperienza di panchina, ma con la voglia di dire apertamente la mia affermo: l'allenatore di Milano, Bucchi, non è all'altezza di questa competizione. I giocatori, almeno buona parte di loro, sì, e sarebbe bastata una guida meno nevrotica e più decisa nel scegliere a chi "affidare le chiavi della macchina" per passare almeno questo turno. La super-sorpresa è l'ultimo posto del CSKA Mosca (3-7), partiti per vincere l'Eurolega, i russi si trovano già fuori prima ancora della fine del girone. Perché? Difficile dire, a loro non mancava niente: grande allenatore (esonerato a sconfitta avvenuta) e ottima squadra, ecco, magari un po' vecchia e stanca, ma non abbastanza da crollare così.
Adesso aspettiamo il sorteggio delle Top 16. Dipenderà dai gironi e dagli incroci, ma provo sei nomi per le Final Four: Olympiacos, Panathinaikos, Siena, Maccabi, Barcellona e, naturalmente, Lubiana.


domenica 19 dicembre 2010

La corsa dei "Babbi Natale"

Domenica mattina... dopo tanto tempo, finalmente una bella non competitiva. Organizzata dal gruppo di "Verona Marathon", la Christmas Run parte da piazza Bra (quella dell'Arena, per intenderci), vicinissima a casa nostra. Il prezzo dell'iscrizione - beneficenza - comprende un bel costume da Babbo Natale. Chiara ed io ci svegliamo di buon'ora, ritiriamo i costumi, appiccichiamo un cappello in tema sul passeggino e rientriamo a casa (potenza della comodità logistica) per aspettare l'ora giusta senza prendere troppo freddo.
Freddo che non è poi così pungente, quindi casa vicina = cambio abiti. Siamo comunque conciati per camminare: scarponcini da montagna anti-ghiaccio-sui-marciapiede, pile bello pesante e costumone. Alle 9.30 siamo pronti sotto lo striscione di partenza: due mattacchioni ed una inconsapevole in mezzo ad una turba di Babbi Natale. 

Chiara inizia a scherzare: "Non voglio arrivare dietro ad altri passeggini, eh!". Partiamo al passo intruppati come sempre capita nelle domenicali, poi già che la strada si allarga... "Facciamo qualche passo di corsa?", ma sì, dai. Comincio a spingere e a corricchiare. Divertente, però... passo chiama passo

Passi per il passeggino piuttosto pesante, passi per la tracolla termica con biberon "per ogni evenienza", passi per gli scarponi, passi per i calzettoni di lana, passi per il costume, passi per la maglietta di cotone che sento bella fradicia... quello che proprio è difficile da sopportare è la barba in ovatta: il sudore cola, l'ovatta si appiccica, ma siamo alla Corsa dei Babbi Natale e la barba non si può staccare. 
Bivio 5/10 km, svoltiamo per i 5: il percorso è assai familiare - siamo pericolosamente consci che fino all'arrivo il marciapiede è piuttosto largo, anche se talvolta ghiacciato: c'è poco da fare, si corre, attento a non scivolare
I rari passeggini sono nettamente indietro (chi infatti, oltre a noi, sarebbe così demente da correre?), mi fermo per rimboccare la coperta a Mateja e Chiara, mamma assennata e prudente si avvicina per dirle: "Mateja, questo è tempo perso per niente!". Mah. Penso che forse la mia bella, come si dice a Trieste "no xe a bolla", poi basta la salitella di Castelvecchio a far sussultare il trailer che c'è in me: la strada sale ed io non posso fare a meno di scattare... Dio li fa e poi li accoppia, e quelli, non contenti, si riproducono pure!
Arriviamo così: Mateja tra il sonno e la perplessità, Chiara tra la soddisfazione e la grassa risata, io tra la barba grondante e l'orgoglio di padre/marito.
Vittoria netta tra i passeggini (tre? quattro?). Temo però che siamo stati sopra i 6' al km. Male, molto male...
Al di là di questo racconto scemi-serio: molto bello vedere quanta gente ci salutasse sorridente, noi e il nostro passeggino occupato; molto bello essere fotografati e salutati, molto bello non essere rimproverati di snaturata genitorialità da nessuno dei Babbi Natale.
Quanto ci siamo divertiti! 

venerdì 17 dicembre 2010

Giugno 2011 - Raid Golfe du Morbihan

Il dado è tratto. Grazie all'aiuto del mio francioso amico Marco, e del suo telefonino, sono finalmente riuscito a completare l'iscrizione al Raid. 
Di cosa si tratta? Di un trail lungo (86/88 km, a seconda delle letture) che si corre in buona parte di notte.
Perché così presto? Numero chiuso.
Perché l'ho scelto? Non ho mai visto la Bretagna, e mi pare una splendida occasione. Ma c'è molto altro.
Si corre per lo più di notte, una delle notti più lunghe dell'anno (25/26 giugno) e molto a nord: sarà bellissimo, mi godrò il tramonto e l'alba, - partenza alle 15 e venti ore di tempo per concludere il tutto. Uno spettacolo di luci, mi immagino.
Si corre in riva al mare, in massima parte su sterrato. Dalle foto e dai video che ho consultato online vedo sentierini, canneti, sabbia, passaggi praticamente in acqua, un paesaggio da sogno. Un filmato su Youtube si intitola "Correre il mare". Ecco, dopo la Maratona sulla sabbia dello scorso febbraio, mi sono intrippato con mare e sabbia: bello, divertente, emozionante.
Da tempo volevo provare un trail lungo, pensavo sui 100km: questo mi ha conquistato. Una sfida che voglio fare immerso nella natura, cercando di fidarmi delle mie possibilità, della mia preparazione e del mio equipaggiamento (zaino in spalla per la semi-autosufficienza: ovvero ristori sì, ma molto pochi).
I miei prossimi mesi di trail, tappa dopo tappa, saranno molto concentrati su questo obiettivo. Non vi pare che questo foto dimostri che ne vale la pena?
Su consiglio e richiesta di Antonio, ecco qualche link
Sito ufficiale

mercoledì 15 dicembre 2010

Giorni intensi

Uso abitualmente questi tempi di corsa ridotta per aggiornare il blog scrivendo di libri. Oggi nulla di tutto questo: le due ultime acquisizioni in biblioteca sono state deludenti e ho esercitato il sacrosanto diritto all'interruzione propria di ogni lettore. Ho letto un paio di libri di studio e di quelli, magari, parlo in altra sede.
Stamattina in edicola non ho avuto il coraggio di comprare il giornale, con la "g" minuscola, rigorosamente. O meglio: ho ripiegato sulla Gazzetta. Non ce la faccio a leggere né notizie, né commenti su quanto succede in Italia: un governo che sopravvive in maniera impudica mi rattrista e preoccupa. Così come mi infastidisce l'infiltrazione violenta che rende indifendibile una sacrosanta protesta.
Al contempo mi si aprono inattese prospettive professionali delle quali temo quasi a raccontare, lo farò con la calma necessaria, quando anch'io avrò capito quello che mi sta succedendo. 
Riprendo a correre piano piano come posso: affaticato e poco concentrato. Il concorso cui ho partecipato mi ha assorbito un sacco di energie fisiche, sotto forma di adrenaliniche notti insonni.
La pagina web per iscriversi al Raid Golfe du Morbihan continua a non funzionare: non accettano un numero di cellulare italiano. Fortuna che ho amici francesi o in Francia, chiederò soccorso e formalizzerò al più presto.
Non so ancora quando inizieranno le mie vacanze, ma sarà il momento di godermi con grande serenità una bella porzione di Carso. 

domenica 12 dicembre 2010

Settimana senza corsa

Per scelta e per necessità, la settimana conclusa con questa bella domenica di dicembre non mi ha visto mai indossare i panni del trailer e neppure quelli del runner. 
Dopo la Cavalcata Carsica di aurea memoria, io e le mie gambe abbiamo deciso per uno stop di qualche giorno. Poi rientro a Verona e due giorni trentina di intensissimo impegno. Notte insonne da adrenalina (lavoro e non corsa), sabato con graditissime visite da amici di vecchia data e una domenica a Venezia con le mie donne e l'ottima compagnia di Rosa&Massimo. Che bella Venezia, la prima volta per Mateja: lei non se la ricorderà, ma noi gliela racconteremo. E speriamo che i trailer veneziani ripropongano il TA di gennaio in mezzo alle calli.
Domani si ricorre... e si rispettano le scadenze presentando lo scritto promesso.

lunedì 6 dicembre 2010

Cavalcata Carsica. La più bella di tutte.



Serve una presentazione. È una “gara non gara”: niente premi, niente ristori, niente segnalazioni del percorso. Si attraversa il Carso triestino sul percorso del Sentiero 3, da Pesek a Jamiano, lungo la frontiera italo-slovena. La misurazione ufficiale dice 53km, 99% su sentiero, 1200m D+, 1600m D-.
È arrivato il mio momento per partecipare, obiettivo arrivare. Pensieri della vigilia: prima di tutto un grazie agli amiconi Erica e Max che ci ospitano a Trieste e mi mostrano la strada per Pesek. C'è bora (ma il giorno della gara ci grazierà) e la temo, poi neve e ghiaccio. Il mio timore è perdermi: non conosco per niente il sentiero e so che molti bivi sono infingardi. In realtà, i segnali saranno molto più visibili del previsto e basterà prestare un po' di attenzione per non smarrirsi mai, anche se non tutti possono dire lo stesso: evidentemente ci vuole anche un po' di... culo?
Domenica mattina. L'appuntamento per la partenza è alle sette e mezza, sono fin troppo puntuale, parcheggio creativo e subito al via, praticamente in ultima posizione. Peccato non essere arrivato un po' prima: avrei avuto l'occasione di salutare amici e compagni di strada. Pronti, via: il freddo è pungente – il termometro della macchina è deciso sotto lo zero. C'è molta neve e altrettanto ghiaccio. I km iniziali sono prudenti, poi piano piano mi sciolgo e comincio a godermi il sentiero.
La prima salita non è affatto cattiva (sarà perché appunto, è la prima?), si arriva in cima al Monte Cocusso. Qualche difficoltà me la presenta invece la discesa verso Basovizza: il terreno è sconnesso, pietroso e ghiacciato. Neve dappertutto: pazienza per la mia insipienza discesistica, mi godo i dintorni. Di lì in poi dominano i saliscendi. La mia tattica è al passo spinto (aiutato dai bastoncini) in salita, corsa sciolta su piatti e falsopiani, prudente in discesa. La navigazione non crea troppi problemi. Chiacchiero con qualche compagno di strada, specie con Raffaella, ultra-ultratrailer conosciuta sulle Alpi: con lei ci ritroveremo varie volte fino ad arrivare assieme a Jamiano.
Quando si incrocia la strada asfaltata c'è sempre un buon numero di sostenitori: molti cavallerizzi del Carso preferiscono partire agili e farsi sostenere con ristori gestiti da amici e familiari. Io ho il mio zaino, ma che piacere ricevere l'offerta di un the caldo e di frutta secca da un accompagnatore altrui. La scena si ripeterà agli altri due incroci: grazie mille, amico benefattore, quanto mi dispiace non averti chiesto il nome.
Nella seconda metà del percorso la neve non c'è più; il ghiaccio, fortunatamente, nemmeno.
Ogni tanto una breve sosta per godermi il panorama, alle mie spalle il golfo, il mare, Trieste; basta girare la testa e i monti sloveni ti guardano maestosi e innevati.
Monte Lanaro. Si sale con alcuni strappi, ma tutto sommato nulla di eccessivo. Incontro Cristiano ed Elisa, amiconi escursionisti che hanno deciso di risalire in parte il “3” sperando di incontrarmi. Anche loro hanno il thermos del the caldo, ne prendo un bicchiere in più per offrire: i benefattori sono anche maestri di comportamento. Dopo il Lanaro, la parte più scorrevole del sentiero: strade piuttosto larghe, poca pendenza (eccezion fatta per la discesa iniziale, che non è poi così lunga). C'è tempo per corricchiare e parlare, anche se gli occhi aperti bisogna tenerli sempre: sassi, sassi, sassi; un piede in fallo e la caduta rischiano di arrivare un attimo dopo l'altro. Ecco, questa è una difficoltà vera della Cavalcata: fondo sconnesso che chiede molto alle caviglie e ai piedi.
Ultimo the caldo regalato dal benefattore, siamo a San Pelagio. Mancano l'ascesa/discesa dell'Hermada e una quindicina (abbondante) di km. Io sto davvero bene: dopo varie maratone, eco e strada, un'ultra e numerosi trail mi pare di aver iniziato a capire come gestirmi. Soffro un po' il freddo nei boschi più fitti, ma lo scaldacollo (o “buff”) è provvidenziale perché ti permette di respirare calore. Salire l'Hermada non è un grosso problema, scenderlo potrebbe esserlo: una picchiata breve ma ripidissima, decido di farla con calma fidandomi dei bastoncini, passi brevi, baricentro spostato in avanti... finisce pesante sulle cosce ma senza cadute e senza crampi. Di lì in poi è tutta dritta fino Jamiano: ultimo brivido all'ultimo bivio, ma un gruppo di ragazzi a cavallo (inevitabile, per la Cavalcata Carsica) ci indicano il sentiero giusto, che addirittura era quello che avevamo preso! Completare il tratto dritto assieme a Raffaella è un vantaggio: parlare e raccontarsi progetti e (lei a me) esperienze di ultra e deserti toglie il pensiero dalla fatica. Vedo un gruppo di persone ai piedi di una breve salitella: salita al passo e poi riprendo... ma no, la salita è l'arrivo e allora la corro. Sono passate sette ore e trentaquattro minuti da fischio di Pesek. Sono a Jamiano. Ho corso, tutta intera e senza perdermi, la Cavalcata Carsica.
Fin qui, il racconto della mia corsa, ma c'è molto altro da scrivere.
L'atmosfera. Grande convivialità e rispetto reciproco tra i partecipanti. I bikers (la Cavalcata è anche mountain bike) sono correttissimi: non uno che non mi abbia ringraziato per avergli lasciato strada! E poi le loro tracce possono aiutare. Rifiuti per terra ne ho visti davvero pochi.
La natura. Io amo soprattutto correre in bosco, e qui mi sono ubriacato di piacere. E poi la neve, sarà una difficoltà in più però, in questi contesti, è davvero bella da vedere.
Il panorama. Dai monti al mare, dai monti ai monti.
I colori. Una tavolozza magnifica: dal bianco al rosso, tra verde e marrone, l'azzurro.
Il rispetto. Per gli altri, per chi ti cede il passo e per chi te lo chiede, per chi corre e per chi pedala, per chi sostiene e per chi aiuta, per chi organizza e ha avuto l'idea, per chi corre per vincere o per arrivare. Ma soprattutto, il rispetto per il “3”, che ti chiede attenzione ad ogni svolta, ma ti ripaga con numerosi, rassicuranti, segnali biancorossi.
In una parola... il Carso.
Finisco con qualche nota “tecnica” che può interessare chi, come me, pensa di correre la Cavalcata per finirla senza ambizioni cronometriche.
Vestito come? Scarpe trail (Montrail Highlander), calze lunghe “a compressione” Kalenji, pantaloni lunghi tipo fuseaux, intimo lungo e pesante Craft, maglia lunga tessuto impermeabile Gore, scaldacollo e fascia copri-orecchie in pile, guanti leggeri da corsa, bastoncini componibili Camp (per me indispensabili, per altri un fastidio).
Nello zaino? Due litri di coca sgasata e annacquata (che fa schifo in qualsiasi momento della vita ma che in pieno trail rimane la bevanda, per me, migliore), ma avrei bevuto di più (nonostante i tre bicchieri di the caldo dei benefattori). Barrette dolci e salate, un gel (poi frutta secca del benefattore). Effettivamente mangiato: barretta di ovomaltina, barretta alle mandorle, gel all'arancia. Forse sarebbe stato meglio ingurgitare qualcosa in più, ma alla fine lo stomaco era un po' chiuso: ho sbagliato nel non portare un paio di cubetti di grana.
Ricambi per ogni evenienza non utilizzati: k-way, buff in cotone, guanti in pile, canottiera, coperta termica, calzamaglia Craft. Poi telefono e carta del percorso.
E all'arrivo, passate da pochissimo le setteoreetrentaquattro minuti, Chiara e Mateja mi vengono incontro assieme ad Erica e Max (grazie ancora, muli), con tempismo perfetto per non gelare la piccola. Eccoci qui, chi perplesso, chi stanco e felice.



venerdì 3 dicembre 2010

Attesa

Non parlo di avvento, intendiamoci. Siamo rientrati nella Venezia Giulia, potrei mentire scrivendo "per vari motivi": ho bisogno di tempo per studiare e l'aiuto di mamma/nonna è notevole, i parenti tutti anelano alla visione di Mateja, Chiara ha bisogno di farsi aiutare un po' et cetera, ma siamo seri... siamo rientrati perché io voglio correre la Cavalcata Carsica.
Oggi ho preso un assaggio di Carso, dopo un mese di assenza ho ri-calpestato amati sentieri. Come al solito, ho sbagliato l'orario e ho dovuto scovare una scorciatoia asfaltata per arrivare in tempo all'appuntamento pranzo in famiglia. Bello come al solito, e anche in una sola oretta sono riuscito a scoprire un paio di passaggi "nuovi". Domani trasferimento dagli amici Erica&Max, dormita a TS e domenica mattina a Pesek dove inizia l'avventura. Voglio godermi dal primo all'ultimo tutti i 50 e passa km che mi aspettano, spero che il terreno non sia troppo insidioso (il ghiaccio sarebbe un problema) e che il tempo permetta di guardare il mare dal Carso. 
Mi sa che rischio di divertirmi. 

domenica 28 novembre 2010

Acqua sulla dorsale

Ma da quante domeniche piove? Mi sento quasi un canoista...
Tutto nasce con un acquisto e un'inversione.
L'acquisto. Tempo fa, per cercare di prendere dimestichezza con Verona che da tempo mi ospita ma che ancora non mi è familiare, ho comprato la mappa dei sentieri delle colline veronesi e ho iniziato piano piano a studiarla.
L'inversione. Ieri mattina c'era il sole e l'idea era di andare a vedere dal vivo uno dei percorsi da mappa. Ma sai, al di là del bel tempo, c'è altro: cose da fare e soprattutto la voglia di passare la giornata con le due donne. E poi, può anche capitare di non avere tanta voglia di correre. E allora rimando ad oggi. Unico neo, sapere per previsioni unanimi che l'indomani sarà acqua. Lo diceva anche il mio dispensatore di affettati di fiducia.
Partenza rimandata, allora. Domenica mattina. Dieci e mezza, zaino in spalla con cibo bevande e indumenti di scorta, scarpe da trail, calze a compressione, bastoncini, maglia in Gore, cappello, guanti e scaldacollo. Piove e fa freddo, ma oggi ho voglia.
Parto da casa (Verona centro, zona Arena) e me ne vado verso Poiano. Riesco ad imboccare la strada studiata sulla carta: asfaltata, ma molto bella. La seguo con buona lena, alterno la corsa al passo svelto quando incontro le rampe. Sbaglio un paio di bivi, torno indietro e poi ci prendo: arrivo snello a Poiano. Vorrei andare verso Montorio, ma la strada non mi convince, altro passo indietro e salgo deciso fino Valdonega su bel sentiero. Poi giù verso Avesa in pattinaggio su foglie e sassi. Proseguo sul sentiero della dorsale veronese, verso Quinzano. L'idea è di andare avanti fin che la voglia sorregge e poi rientrare Lungadige. Ma poco prima di arrivare a Quinzano il sentiero è sbarrato da un cartello fatto in casa che indica semplicemente "Pericolo!". Sarà vero? Sono persona, prima che trailer, prudente. E faccio due conti. Sono da solo, piove davvero tanto, il sentiero va verso un torrente e gli alluvioni degli ultimi tempi invitano a non fare idiozie. Mi fido del cartello e faccio retromarcia. Ripercorro a ritroso salendo un paio di sentieri prima in discesa. Di nuovo a Valdonega, la pioggia aumenta di intensità e comincio ad aver freddo. Viva lo zaino e la scorta che ti permette di avere, mi copro e riprendo forza. Giù verso la città, poi di nuovo su verso le Torricelle, solito parco e a casa alle due meno dieci.
Lascio questa breve e convulsa descrizione perché questo "sentiero dorsale" lo voglio fare tutto un giorno: molto bello davvero. Se quindi qualche veronese fosse incuriosito... fatevi sotto!
Non so quanti km ho fatto, né ho idea del dislivello (GPS dimenticato in giro, lo recupererò prima o poi). Sono certo di aver preso acqua a secchiate, di essere stato in giro tre ore e venti, di aver corso piuttosto bene e di essermi divertito un mondo. Salite sentierose al passo e molte discese rallentate per il fondo che dire viscido è davvero poco. Da rifare.
Bagno caldo, pranzo abbondante e Menabrea. E mentre gustavo la birra del trailer con la mano sinistra, la mano destra reggeva in braccio Mateja che con un sorriso e tre sforzi mi ha cacato in mano.
La vita è bella, la cacca porta fortuna.

giovedì 25 novembre 2010

La strada alla fine del mondo (!)

Treno in ritardo? Oggi ho il computer.
Un libro magnifico che ha dei difetti.
Il titolo (assoluzione piena per l'autrice). Il costume italico di travisare in traduzione persiste : A long trek home, poco c'azzecca (perdonate il dipietrismo) con la fine del mondo. Il racconto è la narrazione di una strada alla fine della quale si trova casa propria, e allora?
La lunghezza. È troppo corto (poco più di 200 pagine), lascia curiosità e appetito, quasi fame: cercherò di spiegare perché.
L'invidia. Ovvio che sia un problema mio, ma allo sfogliare l'ultima pagina viene da scrivere “Anch'io voglio! Anch'io voglio!” come un bambino, salvo rendersi immediatamente conto che volere è potere, ma fino ad un certo punto.
Introduzione troppo lunga? Ma qui non siamo su di un giornale dove se l'articolo non acchiappa si passa avanti: posso presumere che il lettore abbia la pazienza di superare le prime righe per addentrarsi nel post.
E allora. Il libro racconta dell'idea/realizzazione del progetto di Erin (autrice) e Hig (marito suo): un viaggio che parta da Seattle e arrivi all'estremo nord delle Isole Aleutine, lembo d'Alaska. Il mezzo di trasporto sono: piedi, sci, canotto. E qui già posso scrivere del “volere e potere fino a un certo punto”. I nostri viaggiatori sono esperti di nord e ghiacci, geologo e biologa, lui alaskano, canoisti espertissimi, sanno come ci si comporta con gli orsi e le altre bestiole che si fanno loro incontro lungo la via, dominano le maree, conoscono alla perfezione le esigenze del materiale da portare in groppa (perché la casa è lo zaino). La conoscenza si può sempre raggiungere ma serve, quantomeno, tempo.
Il viaggio varrebbe già la lettura, ma ancor meglio se chi scrive abbia il talento per farlo bene: Erin ne ha, le pagine scorrono appassionanti e veloci. Troppo breve, annotavo sopra. Perché mi sarebbe piaciuto leggere maggiori notizie su dettagli tecnici (bagagli, alimentazione, scelta dei percorsi). Non che manchino cose simili, ma io avevo e ho bisogno di saziarmi, per capire che si può fare. Insomma, un libro talmente bello che la sua fine porta quasi rabbia, oltre che delusione. Ancora!
E la casa cui il vero titolo rimanda: dopo più di un anno di viaggio (tempo preso per sé a fine dottorato: altro lembo d'invidia), decidere di allargare la famiglia, portandosi talmente avanti che gli ultimi parecchi (400 circa) km Erin li fa incinta. Complimenti per il fisico! La casa è un villaggio in Alaska, dove la terra dei genitori di Hig viene addobbata da una yurta per giovane coppia e piccolo uomo.
La mia insaziabile curiosità, per fortuna, trova briciole di appagamento sul blog di Erin.
Leggete e moltiplicatevi, lettori: assumente questo libro come si fa con il cibo preferito, nutritevi di lui con le dosi più adatte alla vostra esigenza.
Scrivendo di me, posso serenamente dire a me stesso che provare a vivere così sarebbe quanto di più vicino alla realizzazione di un sogno mi venga al momento alla mente. Stiamo anche noi percorrendo, Chiara ed io oggi assieme a Mateja, “a long trek home”. Senza fretta, un passo dopo l'altro e con giudizio, troveremo casa. 

lunedì 22 novembre 2010

Virtuale, in attesa del reale

È da luglio che non partecipo ad una gara, la mia corsa da qualche mese a questa parte è in netta maggioranza solitaria e purtroppo fin troppo urbana. Sarà anche questo il motivo che mi spinge a consultare con cura quasi maniacale i siti internet del mio possibile futuro fuori strada. “Fuori strada” perché, c'è poco da fare, non subisco mai il fascino di un web che mi rimandi all'asfalto. Certo, potrei mentire a me stesso dicendo che avrei voluto ma non ho potuto. Mi riprometto periodicamente di correre qualche mezza maratona, dato che andare “veloce” (tutto è relativo, diciamo andare al mio massimo su di una distanza non impegnativa) può essere divertente. L'ultima mezza, seconda in carriera corsa per andare – appunto - “veloce”, risale allo scorso marzo. Allora forse meglio non dirsi nulla e navigare un po' a casaccio.
I prossimi sentieri saranno quelli del Carso triestino per la Cavalcata di inizio dicembre. Una corsa non corsa, senza né pettorali né ristori né pacchi né balisaggio, per la quale la mia aspettativa è di perdermi e farmi venire a raccattare da già allertati amici. Certo potrei scaricare la traccia sul Garmin, ma non ce l'ho. Potrei scaricarla sul Keymaze, ma l'ho dimenticato in giro e poi sul Mac non funziona. Potrei attaccarmi a qualcuno che conosce il percorso, e forse lo farò. Ma posso anche perdermi e se capita, magari sarà pure divertente.
Solo questo c'è, per ora, di concreto. Virtualmente sto passando a setaccio varie idee e proposte: dovrei fare con Chiara la mezza di Verona, poi leggo di rimando da un amico Facebook che quello stesso giorno si corre una 50km nelle campagne londinesi. Slurp. La settimana prima mi piacerebbe rifare la maratona sulla sabbia a San Benedetto del Tronto, se con Alessio riusciamo ad organizzarci. Due lunghe a distanza di una settimana servirebbero anche a provare la gamba (e tutto il resto) per una novanta/cento. A inizio aprile ci sarebbe, anzi: dovrebbe esserci, quello che lo scorso anno abbiamo saltato perché troppo a ridosso dell'Ecotrail di Parigi, ovvero il Lyon Urban Trail. Un anno a testa. Per non incorrere in errori da eccesso di calendario, una bella pausa allenante senza eccessi di km. Intendiamoci: l'eccesso di km su sentiero va pure bene, ma non devo tirare la corda su spostamenti, trasferimenti, etc. etc (fatta eccezione per l'accompagnamento familiare nel caso il progetto maratona di Chiara riesca a datarsi tra questi spazi). Obiettivo: arrivare allenati e freschi a sufficienza per un trail bello lungo a fine giugno, ancora in Francia, destinazione Bretagna: Raid Golfe du Morbihan, 88km in 20h. Quando mi iscrivo, scrivo un post descrittivo.
E poi avevo guardato al Via Lattea Trail (dicembre), alla sei ore indoor di Piancavallo (gennaio), alla Sahara Marathon (febbraio), all'Ultrabericus (marzo), al Magraid (giugno) e di sicuro ad altro guarderò.

giovedì 18 novembre 2010

Disordine settimanale

La settimana che trascorre poco ha corso, corre e correrà. Tra impegni di pendolarismo e spostamenti a tema familiare, il tempo fugge senza che io riesca ad inseguirlo a passo svelto. Così non mi rimangono che km sparsi e qualche pedalata indoor. Un intervallo che sapevo sarebbe arrivato e che conto non consumi troppo la costruzione del mio allenamento per la Cavalcata Carsica di inizio dicembre.
Rimangono tra le briciole dei presenti sette giorni solo due uscite, tra loro molto diverse.
Domenica ho corso zaino in spalla su sterrato liscio 28 km circa (dico circa perché il GPS l'ho dimenticato a casa dei miei, a far da guardia al Carso). Mi ero imposto un ritmo cardiaco da rispettare: meno160. Fatto. Sensazioni molto tranquille nella loro bontà, mi rimane la conferma di un insegnamento: no sali con aromi nel Camel, molto meglio coca annacquata e alla prossima provo lo sciroppo di guaranà diluito tanto tanto.
Mercoledì ho cercato di andare per me veloce, su di un circuito parco-tipo-cross lungo 800m, sterrato, fangoso, pieno di foglie cadute d'autunno, con rampe e rampette. Obiettivo 8km in meno di 40', raggiunto ma con distribuzione dello sforzo demenziale: primi due giri decisamente troppo veloci, sopravvivenza dal terzo al settimo, rallentamento all'ottavo, ripresa dignitosa negli ultimi due. Alla fine 39'40'' e puff puff, oltre che gambe dure. Ho sbagliato.
In mezzo la visita medica agonistica, abilità conquistata, il che significa superamento della scaramantica sospensione della definizione dell'obiettivo principe 2011. Siccome comporta una certa difficoltà logistica, mi prendo ancora un po' di tempo per formalizzare un'iscrizione che dentro di me ho già fatto.
Questo tipo di allenamenti non segue nessuna tabella, non ne sono (ancora?) capace, ma semplicemente tiene conto prima del tempo che ho e poi, se posso, di cosa quel giorno preferisco fare. Ad esempio, domenica pensavo ad una non competitiva di 16km, poi Mateja ha organizzato diversamente dalle mie intenzioni la notte e l'alba, gli orari sono cambiati ed io ho guadagnato una dozzina di km.
Ora tre giorni di stop (ma il riposo è parte dell'allenamento, dico spesso agli altri e ora a me stesso) e domenica pomeriggio si ricomincia, ancora non so come, anche se immagino di dovermi accontentare di qualcosa di asfaltato.

martedì 16 novembre 2010

Una storia in prestito

A fare da contraltare all'amarezza che emerge dal mio ultimo post, oggi copio e incollo con piacere una storia che non ho scritto io. Coincidenza. Romano, mio fratello, mi ha chiesto ospitalità per far conoscere a chi non lo conosce di persona questo suo racconto di sport. Ne ha discusso con varie persone, a voce e in lettera (quella che leggerete) in varie sedi e ricordo qui, ancora una volta, uno dei suoi interlocutori più recenti: l'enorme giornalista di basket Sergio Tavcar. Ora è il momento di farsi da parte...


Mi chiamo Romano Ferlan, ho allenato la Castelvecchio Gradisca (squadra di basket in carrozzina) per nove anni e per tre ne sono stato il direttore tecnico. Mi sono ritirato definitivamente alla fine della stagione 2007/2008 e a distanza di due anni sento l'esigenza di raccontare la mia piccola storia.
1996/2008
La società è partita da zero (per intendersi: questa è una palla quelli sono canestri). Si è iscritta ad un campionato. Per otto mesi ha sempre perso o straperso. La stampa locale si toglieva dagli impicci con un atteggiamento accomodante: “bravi lo stesso”, “comunque vada avete già vinto” e via di questo passo.
Capitò un giorno che un giornalista finalmente si mettesse a fare il suo lavoro scrivendo un articolo intitolato: “Ennesima sconfitta della Castelvecchio”. *
Andai in palestra, radunai i ragazzi, feci vedere il giornale e dissi: “la nostra attività comincia oggi. Per la prima volta ci hanno trattato da atleti e siccome, a ragione, ci hanno definiti atleti scarsi, cerchiamo di dimostrare che scarsi non siamo e per farlo l’unico modo che conosco è quello di lavorare bene** (ovviamente il discorso valeva anche per me; appena possibile feci il corso allenatori a Roma, sostenni un esame, ottenni il patentino e continuai ad aggiornarmi con costanza).
A questo proposito ho sempre ritenuto che l'atleta in carrozzina ha gli stessi doveri di tutti gli altri atleti; ovvero deve tenersi in forma, allenarsi con costanza, mettersi e disposizione del gruppo. Inoltre, l'atleta in carrozzina è un esempio per tutti i portatori di handicap che vanno a vedere le partite. Vedere all'opera Andrea Pellegrini o Matteo Cavagnini (due statue di carne che si muovono con eleganza) è un'esperienza che definire formativa è riduttivo.
Dato che la società aveva deciso di "fare agonismo" in senso stretto, dissi anche, a scanso di equivoci, che lo sport AGONISTICO non ha niente a che fare con l’equità e se, ad esempio, un atleta è più bravo di un altro pur non allenandosi,  io devo prenderne atto e mettere in campo sempre la squadra migliore possibile (è una semplificazione-ci sono 
partite e partite) perchè il ruolo dell'allenatore è questo PER DEFINIZIONE). ***
Ora che la mia esperienza è da ritenersi esaurita, quando mi capita di vedere vecchi filmati e di paragonarli con le partite che vengono trasmesse in diretta televisiva ho la sensazione di vedere eventi agonistici appassionanti in cui le carrozzine sono solo strumenti.

* Anni dopo la Castelvecchio è stata per un periodo di cinque anni fra le prime sei squadre in Italia ed un nostro atleta (Fabio Bernardis) ha alzato la Coppa Europa come capitano della Nazionale.
** a mio modo di vedere apprendimento e divertimento vanno a braccetto
*** Ovviamente c’era anche chi veniva in palestra per stare in compagnia e pertanto si decise di organizzare tornei e amichevoli destinati a loro ed io feci del mio meglio, non sempre riuscendoci,  per ottenere che tutti si sentissero coinvolti durante le sedute di allenamento. 

Roberto Toso (il nostro Capitano per eccellenza) è in carrozzina da vent’anni ma quando entra in una stanza buia la illumina con il suo sorriso.

domenica 14 novembre 2010

Sull'incultura. Ovvero: metti un sabato allo stadio...

Non ho mai trovato un buon motivo per cercare di curare la già denunciata - su queste righe - malattia da sport che realmente da sempre mi accompagna. Piuttosto, la alimento con applicazioni di visione frequenti su schermo e periodiche dal vivo. Un tempo erano applicazioni maniacali su entrambi i campi, ma basta introdurre ed entriamo tutti assieme in medias res.
L'evento sportivo che mi muove da casa è Italia-Argentina di rugby. Lo stadio di Verona è a 2,5km da casa ed io ne approfitto per una passeggiata. Arrivo un'ora prima della partita, convinto di farmi un giro ad annusare l'atmosfera. Però, cavolo, già la fila agli ingressi è lunga e caotica: mi ci metto. Perché ciò? Ma perché bisogna pagare il proprio tributo al calcio: tornelli e un portoncino solo per entrare, anche se il rugby non prevede perquisizioni, risse e motorini dagli spalti, ormai gli stadi sono complicati da frequentare. Paziente, mi incolonno ed entro.
Attorno a me si siedono persone. Ora, io non voglio condannare ma esprimere un'opinione: non capisco chi si accosta ad uno sport senza saperne minimamente le regole. Quando è capitato a me, di esordire da spettatore, ho sempre studiato quel che serve a comprendere molto di quel che succede. Allora. Esultare per un calcio da tre punti gridando 'gol' (non c'è ironia), non capire se l'ovale passa o meno in mezzo ai pali, non conoscere i punteggi... tutto lecito, ma se non sai nulla di tutto questo, forse l'insulto all'arbitro può essere fuori luogo. E qui sì, che condanno: tu non sai cosa significa quel fischio, però insulti. E non ditemi che chi paga ha diritto et cetera, perché non è vero.
Al di là delle regole, poi, il rugby ha un suo spirito di vigore cavalleresco che non accetta, perché proprio non lo comprende, l'invito a "spezzare le gambe" all'avversario. E la protesta contro l'elezione ufficiale del migliore in campo ritmata con uno stonato "Ci ha fatto tutti quei punti, ed anche lo premi" più turpiloquio, denota una struttura mentale di calcistica ristrettezza.
Ma andiamo nell'antropologia. Cantare sguaiati il nostro simpatico inno brandendo la mano destra con saluto romano, ululare alle "ragazze pon pon" frasi di maschia inettitudine, ubriacarsi allo stadio perché il rugby è birra... protagonista uno solo. Che dire? Me ne dispiaccio un poco e mi fa male, vedere un uomo come un animale - per citare.
E scoprire origliando commenti che sì, il rugby è uno sport molto bello, ma solo se guardi un tempo, perché seguire anche il secondo è impossibile. Non ho chiesto il perché, ero troppo stanco, come se avessi giocato.
Schiacciato da una mischia per me troppo pesante, me ne torno a casa sconfitto. 

giovedì 11 novembre 2010

La lunga marcia

A differenza di Chiara, che in questo senso già ha mosso i propri passi, io non mi sono mai sentito attratto dai viaggi a piedi. Non mi andava neppure di correre e mi rendo ben conto di come sia andata, o meglio stia andando. Quindi. Ancora non provo grande interesse per il genere, ma mai dire mai non è certo solo il titolo di uno storico film. Piuttosto, sognavo un lungo – anche lunghissimo – tragitto in bicicletta, che rimane lì nel cassetto (sia il percorso, sia il velocipede).
Lunghi tragitti con i libri li ho sempre amati percorrere e spesso mi dirigo nella sezione “Narrativa di Viaggio” delle biblioteche e delle librerie che frequento, assiduo.
Mi imbatto in questo libro del giornalista francese Bernard Ollivier, che giunto all'età della pensione, vedovo e con i figli grandi, decide di consumare con i propri passi la via della seta, da Istanbul a Xiang in Cina (10.000 km). Una passeggiata a tappe destinata a durare anni.
Questo primo libro racconta della Turchia, fino al mancato superamento della frontiera con l'Iran. Di sicuro leggerlo è interessante, Ollivier scrive e descrive bene fuggendo il rischio che ha sopraffatto molti scrittori di viaggio, perdutisi sulla strada dell'auto-celebrazione con il trascorrere dei km. Complimenti per la franchezza e l'obiettività. Ollivier è un signore anziano dalla invidiabile forma fisica e dalla non troppo nascosta antipatia. Ed è bello che sia lui stesso a rivelarla, la propria antipatia, talvolta auto-ironico, talaltra auto-critico, probabilmente consapevole che ad avere il tempo e le risorse una marcia come la sua non è poi una grande impresa atletica. A costituire l'impresa sono l'idea, la capacità di affrontare la solitudine, il dolore e la fatica, la paura. Interessante è il racconto perché tale è la via: abbandonare le strade statali per addentrarsi in sentieri e villaggi, con e senza il timore di affrontare delicati imprevisti. Ollivier è colto e preparato: conosce la storia del suo cammino, ha studiato anche l'ostica lingua turca. È curioso: cerca il contatto con le persone e lo fa con grande rispetto della cultura cui si accosta. Bel libro, leggerò anche le altre parti.

lunedì 8 novembre 2010

Carso, o Carso

Finito il fine settimana lungo di chiaro stampo carsolino, sono appena rientrato nella altrui Verona ed ho ripreso contatto con una linea internet veloce. 
Cominciamo dalle parole. Già due delle colonne di questa corsa in compagnia hanno detto e mostrato la loro: Agnese e Valentina, mentre Nicola "Orzowei" ha condiviso le sue immagini. Vi rimando alle loro parole, alle loro foto, perché le mie sono poche: prima la macchina si è bagnata e non scattava, poi ho fatto qualche danno e molte immagini sono andate perse.
Vi rimando ai compagni di strada perché mi piace qui raccontare progetto e realizzazione di questo Trail Autogestito, mentre loro scrivono di più della corsa.
L'idea. Nata dalla mia passione per la corsa sul Carso e rafforzata dall'entusiasmo seguito alla partecipazione al mio primo TA magistralmente organizzato da Cristiano "Kapobecero" & c, condivisa e alimentata da Chiara. Ho subito deciso: fine ottobre / inizio novembre per far vedere i colori speciali del Carso di questi tempi. Tutte le volte poi che sono tornato a Sagrado in visita parenti ho provato e riprovato il percorso, esplorando, tagliando, accorciando, fino a disegnare un circuito di - secondo il mio GPS - 22 km. E qui mi scuso: abitudine a far partire lo start all'inizio del sentiero e non della corsa, alla fine i km erano quasi 24: c'era anche il trasferimento fino allo sterrato.
Poi ho proposto il progetto sul sito di spiritotrail, senza ricevere entusiastiche adesioni: da lì solo in due, ma che due! Marco/Farco di corsa con noi e Gianmarco/Ronin, che ammalatosi poco prima del via è venuto comunque a salutarci.
Dal blog e da Facebook (che tanto bistrattavo e sul quale mi sono ricreduto, basta usarlo come conviene) molto meglio: già detto di Agnese, Vale e Nicola, da qui è arrivato anche Davide, che ha coinvolto gli amici Sabrina, Marco ed Enrico. 
Le giornate precedenti al TA sono state bislacche: meteo infelice e defezioni da influenza, sembrava fosse tutto a rischio. Poi il giorno prima arrivano adesioni nuove da Trieste, conferme e nuvole senza pioggia. Si va, ed è stato un gran bell'andare. Chiara poi ha insistito per l'organizzazione di un ristoro a sorpresa, che io credevo non realizzabile sottovalutando le insigni capacità di adattamento della duemesenne Mateja, giovane virgulto dal nome che più carsolino non si può.
Ho scelto il percorso secondo questi criteri: non troppo lungo (accidenti a quei due km in più) e senza dislivelli impegnativi, quasi nulla asfaltato, panoramico e significativo, colorato: insomma, accessibile a tanti e bello da percorrere. Panoramico lo era, credetemi, ma abbiamo avuto solo nuvole. Significativo: luoghi della grande guerra, che caratterizzano queste terre e che rimandano a memorie di umana follia. Colorato lo è stato, e pure sorprendente per chi non conosceva il Carso: mi ha fatto piacere.
Fondamentale poi per me era il Terzo Tempo, momento di condivisione di chiacchiere e passioni. Qui grazie all'aiuto degli amici e della famiglia che già ho elogiato c'è stato davvero da divertirsi, da bere e da mangiare. E che bello essere raggiunti da chi non ha potuto correre per la cattiva salute ma ha contribuito alla spensieratezza dello stare assieme, aspettando nuove corse.
Io ce l'ho messa davvero tutta, e mi pare sia andata bene.
Grazie a tutti: è ovvio che il prossimo autunno si ripete (e corre anche Chiara, ci mancherebbe).

sabato 6 novembre 2010

Elogio di chi non ha corso

Eccomi a casa genitori in relax dopo aver corso in compagnia il TA del Carso Isontino, prima edizione ideata da me e organizzata con l'aiuto fenomenale di amici.
Per raccontare la corsa mi serve una connessione internet seria (foto da scaricare) e aspetto di rientrare a Verona.
Prima di raccontare la corsa, mi piace dare svolgimento al titolo del post.
Cristiano, anima organizzativa del TA, lui che si è occupato di prenotare la sala e di molte altre cose. Senza l'amicone di tutti i tempi non avrei fatto proprio un tubo.
Elisa che lo ha affiancato in tutto questo (preparando tra l'altro un superbo manicaretto).
Stefano che ha passeggiato tagliando il salame al ristoro a sorpresa.
Gianmarco, che è venuto a salutarci alla partenza triste di non poter correre causa influenza.
Raffaella, anche lei appiedata dall'influenza ma presentissima al Terzo Tempo piena di idee per corse future.
Stefano 'Turcochecorre', che non ho incontrato di persona ma che ha lasciato cibo per noi.
Ezio, Chiara e la sua pancia e il piccolo Marco, disponibili ad ogni aiuto e divertiti in un sabato un po' strano. E poi, caro Ezio, è giunta l'ora di abbandonare il calcio per darsi al trail, lo sappiamo bene io e te!
Sarò di parte, ma alla fine mi illumino nello scrivere della mia famiglia: Chiara e Mateja, che non solo oggi hanno guardato con partecipe affetto al mio entusiasmo di organizzatore. E Chiara ha avuto l'idea del ristoro a sorpresa. E Mateja ha dormito lasciandoglielo fare.
Grazie a tutti.

mercoledì 3 novembre 2010

Tra Carso e futuro

Domani si viaggia verso la Venezia Giuliia, dove sabato proverò a mettere su sentiero il primo TA di mia ideazione. Ma di questo ho già scritto e scriverò ancora, aggiornando partecipanti e programma. Lunedì festivo abbiamo avuto visita, quella degli amici Livia, Alessio & famiglia. Sarebbero fatti non da blog, non fosse che con Alessio abbiamo trascorso importante parte del pomeriggio a guardare siti e carte geografiche per buttare giù un'idea di fine 2010 / inizio 2011.
La fine 2010 vedrà un unico obiettivo grosso: Cavalcata Carsica, prima domenica di dicembre. Per questa il mio allenamento ha preso il via e cerca di svilupparsi così: quattro sedute a settimana, tre di corsa e una di cyclette. Le tre di corsa: una corta e veloce oppure corta e tecnica con prove di discesa su sterrato, una sui 15km con saliscendi o variazioni di ritmo, una oltre i 20km (cercherò di aumentare in progressione) pianeggiante sul ritmo o meglio con dislivello. Se poi si riesce a sostituire la cyclette con un'uscita a piacere, meglio, ma non sempre è possibile.
Quanto al 2011, l'idea di fondo è di esplorare nuovi sentieri, con l'eccezione della auspicabile ripetizione della maratona sulla sabbia. Per il resto, tutto nuovo. Forse ci starà una maratona su strada, nella quale il mio obiettivo fondamentale sarà accompagnare Chiara al traguardo (Stoccolma?). I nuovi sentieri, e scrivo qui solo di quelli lunghi, spero ci porteranno in Francia (più di una volta, si spera: Lyon, Morbihan, Cote d'Opale),  e forse persino al di là dell'oceano, verso ovest. (qui non scrivo nulla: un minimo di scaramanzia). Visti i numeri degli amici francesi, sarà per me opportuno decidere presto se giugno potrà essere il momento del primo trail davvero lungo (88km Morbihan).
Per il deserto è ancora dura, specie per le difficoltà di incrociare come si deve le ferie di due famiglie.

domenica 31 ottobre 2010

Mentre loro corrono sotto la pioggia...

... e in attesa del TA del Carso: 
l'occasione che diede origine a questo blog fu la partecipazione al Trail del Monte Casto, alla fine di quel post in cui descrivevo il mio trail breve di 21 km, concludevo con fondato ottimismo “il prossimo anno saranno 46”. Ero convinto di organizzarmi in modo da mettere in fila Ecomaratona del Chianti e Monte Casto lungo, appuntamento doppio da valutare – così nella mia previsione – come buona prova di trail da 100 km, che rimane il primo grande obiettivo di carriera. Così non è stato, ed anzi non ho corso né l'una, né l'altro. 
Il perché è facile dire. È nata Mateja e non ho voglia di andarmene da casa un fine settimana per trascorrerlo senza lei e senza Chiara, sia pure impreziosito da percorsi di rara bellezza. Già il lavoro a volte allontana, il piacere deve rimanere piacere senza forzature. E se i percorsi è presumibile che non si cancellino, Chiara riprenderà la forma necessaria e li percorreremo insieme. Nel verso senso della parola: pazienza, allora! Chianti e Casto, voi continuate a risplendere di propria bellezza, noi arriviamo. Magari a casaccio, magari lentamente e con giudizio, ma arriviamo. Noi due insieme, ché la terza è ancora piccola ma lo sarà sempre meno e presto imparerà a passare tre giorni con i nonni e senza tette.

sabato 30 ottobre 2010

TA del Carso Isontino - programma e conta

Aggiornamenti tecnici 
Sala parrocchiale prenotata, il prezzo è talmente modico da essere zero (al massimo si può raccogliere un'offerta).
Niente pasta, vista l'indeterminatezza dei partecipanti facciamo da noi!
Lode e gloria all'insostituibile amico Cristiano, che, ok, non è scagnozzo.
Meteo
Ultime previsioni consultate: nuvoloso senza pioggia, speriamo sia vero.


AGGIORNAMENTO - ISCRIZIONI
(gli indecisi con cui ho parlato hanno il giusto tempo, non siamo mica ad una gara organizzata!)
Pregovi inserire in commento cibarie portate!
Vale (blog) - 3°T rotolo e crostata
Agnese (blog) - 3°T - qualcosa
Farco (ST) - solo trail
Ronin (ST) - guarsici!
Amica Ronin (ST)
Davide (FB)
Enrico (FB)
Caio - birra, bevande

Passeggiata: 
Vari amici di Sagrado e dintorni sono, giustamente visto che ci sono anche dei bimbi piccoli piccoli, vincolati al Meteo.

Manca qualche giorno al TA e credo sia giunto il momento di dare qualche dettaglio e iniziare la conta dei presenti (senza fretta, ma con giudizio).
Ritrovo comune per trailer autogestiti e diportisti
Ore 9.30 stazione di Sagrado (GO)
Per chi preferisse il treno alla macchina: 
Trieste 8.56/Sagrado 9.28
Treviso 7.35 (Udine 8.56, stesso treno) / Sagrado 9.30
Predisposto il giro per amici e parenti che non corrono: dalla stazione  in macchina fino San Martino del Carso (ci sono posti in abbondanza per il breve trasferimento a beneficio di chi viene in treno) guidati da due o tre indigeni di fiducia. Parcheggio e passeggiata breve per raggiungere il Monte San Michele. Qui varie possibilità di visita a luoghi e memorie della Grande Guerra. Incrocio con i trailer (quanto lungo, dipende dal tempo atmosferico) e terzo tempo comune. 
Per chi corre: confermato il percorso già segnalato in precedenza nella guida fotografica. Ribadisco che il ritmo da tenere sarà quello del più lento, in caso di scollamenti, ad ogni bivio ci si conta. Non ci sono difficoltà tecniche, la strada è quasi interamente sterrata e caratterizzata da numerosi saliscendi. 22km circa. Giovedì o venerdì spero di riuscire a fare un ultimo giro di ricognizione.
Modesti consigli: lungo il percorso c'è una sola fontanella, quindi potrebbe essere utile una borraccia o bottiglietta. Scarpe non troppo leggere, ci sono sassi. Visto che ci fermeremo per foto e visioni panoramiche, abbigliamento non troppo estivo (io mi metto un mini k-way nel portaborraccia, ad esempio).
Terzo tempo: fondamentale. Rimango fedele all'idea dell'autogestione, pure se il mio scagnozzo di fiducia si sta attivando per concretizzare la fattibilità di una pasta comune. Nell'attesa di sapere quanti siamo la cosa più probabile è l'affitto (a prezzo assai modico) di una sala e il consumo del cibo portato dai trailer e dai camminatori. A questo proposito: è gradita l'indicazione di cosa si porta.
Non credo sia tutto, ma è qualcosa.

martedì 26 ottobre 2010

Telesport

Io non sono certo tra quelli che hanno deciso di vivere senza televisione, anche se ne capisco le ragioni. Non sono tra loro per un motivo soltanto: lo sport. Sono malato di sport, fin da bambino, tanto che il mio amico d'infanzia, adolescenza e maturità Gilbo sostiene – probabilmente a buon diritto – che io mi sia impegnato a far nascere una figlia femmina per poterla vestire del colore della Gazzetta. 
Di questa mia malattia si leggono frequenti tracce sull'amato blog. Non che io sia un semplice guardone, lo sapete: amo lo sport praticato prima ancora che osservato. E sono stato giocatore di calcio e soprattutto di basket, in microscopica parte persino di pallanuoto. Ho praticato per diporto ciclismo (su strada e in mountain bike), nuoto e un po' di tennis. E non parliamo di corsa e trail. Ho fatto e vorrei ancora fare l'allenatore di basket, trovando qui le maggiori soddisfazioni agonistiche della mia vita sportiva. Ho studiato a tavolino le regole di svariati sport e tra quelli che ho visto dal vivo ai massimi livelli, oltre a tutti quelli già citati (eccetto mountain bike) posso elencare con probabili dimenticanze: atletica leggera (olimpiadi e altro), pallavolo (quello che mi è piaciuto meno, nonostante fossero olimpiadi), hockey su ghiaccio (campionato tedesco), scherma (olimpiadi, bellissimo e molto più comprensibile dal vivo che in tv), canoa (olimpiadi), baseball (italiano e MLB), football (NFL), rugby (Nazionale), pallamano (finale scudetto), pugilato (olimpiadi). Per completezza: basket (di tutto, ma mi manca l'NBA ed è un'assenza che soffro), calcio (di tutto), pallanuoto (italiano e olimpiadi), nuoto (mondiali), tennis (Roma e Parigi in primis), ciclismo (Giro e Tour, anche italiani pista). 
Ma torniamo alla tv: è evidente credo, il motivo, del mio interesse per quello che un tempo era il tubo catodico. Sky però, secondo me, costa troppo e da qualche tempo sta svoltando verso il monotema calcio; ciò non toglie che all'epoca in cui vivevo con i miei l'allora Telepiù era un'ottima compagnia. Per noi malati c'è Sportitalia, che tra l'altro sta dedicando sempre più spazio al mio sport preferito, che rimane il basket. Poi da qualche tempo ho deciso per l'abbonamento a Dahlia: le partite dell'Udinese mi avevano tentato, ma non abbastanza; la Celtic League di basket idem; la svolta decisiva è stata l'NFL (football americano, lo chiamiamo noi) che non vedevo da anni. È stata la visione di qualche partita di questo splendido sport a suggerirmi il post: cosa mi ero perso, negli anni scorsi – visto che anche quando lo trasmettevano su Raisport io non la ricevevo, come a tutt'oggi non ricevo, nonostante io sia tra quelli che pagano perfino puntualmente il canone. Ultima nota su Dahlia: disorganizzati, direi pessimi nel servizio (segnale debole, ritardi mostruosi nell'attivazione), ma con un'offerta secondo me molto buona, anche per gli amanti del pugilato.
Per quanto sia bello lo sport alla tele però, l'emozione di uno stadio, un'arena, un palasport è davvero inimitabile: Chiara dice che in qualsiasi posto noi andiamo io trovo sempre qualche manifestazione da andare a sbirciare. Confermo.

domenica 24 ottobre 2010

Tutto casa e corsa, quel ragazzo

Sabato mattina sveglia clamorosamente tarda (la miglior notte da quando sono papà, non per merito di Mateja ma di Chiara) e giro in centro con incontro incorporato: l'amica di blog e ultramaratoneta Agnese è a Verona e l'occasione per conoscerci live è subito presa.
Gli amici in visita, Chiara&Samu, ci aiutano alla grande con la bimba, così sabato pomeriggio un bel giretto di corsa di mogliettina e me.
Domenica invece parto per un personalissimo "Verona Urban Trail", ovvero corsa a più dimensioni tra la città e le sue colline, cercando di alternare fondi diversi, salire e scendere, anche usando i gradini. Parto con l'idea di fare 20km e di farli ad un ritmo sostenuto, tenendo conto del dislivello e del tipo di percorso: 6' al km è l'obiettivo. Piove davvero tanto e sono costretto ad una deviazione davanti ad una discesa troppo scivolosa. Asfalto, terra, erba, sassi, ciottoli, gradini: la varietà è assicurata. Il dislivello, che volevo fosse intorno ai 1.000 diminuisce a causa della deviazione obbligata, ma così almeno aumento i gradini - ho iniziato a contarli, ma al numero duecento ho smesso. Scrivevo del dislivello: 650.
I dati di corsa: 20km300m in 2h01'07''. 5'58''/km. Tenendo conto di una discesa talmente bagnata da farmi andare a 7/8 km/h, di una salita con più di 100 gradini "corsa" a 2/3 km/h, sono davvero soddisfatto, per una volta che ho dato un occhio alle cifre: se avessi fatti tutti i 1000m in condizioni normali di certo non sarei andato più piano, anzi. Peccato per il polpaccio sx (sempre tu, infingardo!) un po' tirato.
Rientro a casa pulcino bagnato felice e dedico l'intero pomeriggio alla bambina, che resta tranquilla poco, ma sceglie bene il tempo, consentendomi di seguire dignitosamente la vittoria dell'Udinese. 
E adesso lei si è addormentata ed io mi godo un po' di football NFL su Dahlia TV: che sport fantastico!

giovedì 21 ottobre 2010

Dove gli uomini diventano eroi, Jon Krakauer

Krakauer è uno dei miei autori preferiti, come ho scritto anche nelle note di profilo. Da un suo libro mi aspetto molto ma questa volta, ahimè, ho ricevuto poco e provo a spiegare perché. 
La storia è quella di Pat Tillmann, professionista del football americano – non un panchinaro qualsiasi, ma un giovane che ha gettato solide basi per un ottimo futuro – che rinuncia ad un contratto milionario per arruolarsi nei rangers USA: si impegna per tre anni, con l'idea di offrire il suo contributo all'America e poi ricominciare la carriera. È motivato dall'undici settembre. Muore in Afghanistan, sua seconda missione di guerra, la prima in Irak. Ucciso da raffiche di mitraglia sparate dai suoi commilitoni in panico, appena usciti da un'imboscata che tra loro non ha fatto vittime. Pat ed un suo compagno afghano stavano arrivando in aiuto, ma gli aiutati non hanno aspettato di vedere chi stava arrivando. 
Krakauer, incuriosito dagli spiriti complessi, ci propone la sua indagine, a denunciare anche politica ed esercito USA, che hanno cercato di utilizzare Tillmann a fini propagandistici, negando le circostanze della morte anche ai familiari. Poi i nodi sono venuti al pettine.
Nessun giudizio di valore sulla scelta del soldato Pat, ci mancherebbe: mi limito alla letteratura e alle mie perplessità.
Krakauer ha lavorato molto per ricostruire la vicenda, il suo errore, io credo, è quello di volerlo ricordare ad ogni riga. Troppe cose, troppe parole, troppi dettagli poco utili. Krakauer cerca un lavoro da storico, ma dimentica che lo storico raccoglie materiale per disegnare in maniera coerente e verosimile avvenimenti, processi e dinamiche. Non per mettere a disposizione per accumulo tutto quello che sa. 
Krakauer ricostruisce la vita di Tillmann alla luce della sua morte: sembra che ogni suo comportamento vada ricondotto alla scelta di arruolarsi, come si trattasse di un copione già scritto. Potrebbe anche essere, ma non convince: la lettura delle cose non si può fare alla luce di quel che succede dopo, altrimenti, ragionando di “Storia dei se” (esiste, credetemi sulla parola), se non ci fosse stato un undici settembre Pat si sarebbe arruolato lo stesso?
L'eroismo della vittima lo trovo solo nel titolo: difficile ricondurre perfino una detenzione giovanile per aggressione – opportunamente ridotta da un giudice compiacente per non mettere a rischio la carriera sportiva di un giovane grandissimo talento – al desiderio di essere migliori.
L'uso dei diari di Pat quale fonte primaria nella sua storia da soldato non convince. Pare proprio che ne siano scelti i brani utili a sostenere la tesi eroicizzante. Non sentiamo voci diverse, che a leggere attentamente tra le righe si percepiscono soltanto, quasi fossero sfuggite appositamente alla ricostruzione.
Krakauer semplifica la guerra americana con uno schema troppo Tex Willer: comandanti inetti, soldati eroici costretti al sacrificio da ordini demenziali, oscuramento di ogni responsabilità reale. Di certo ci sono stati e ci saranno episodi che seguono lo schema, ma se i comandanti delle giacche blu fossero tutti come quelli abitualmente descritti da Tex Willer, saremmo in un mondo dominato dai sioux.
Gli incisi sulla storia afghana sono verbosi e troppo lunghi per essere chiari. Il problema non è certo il numero di pagine: sarei un idiota, a dire che L'idiota è troppo lungo, ad esempio. Il problema sono tutte le pagine che non dicono nulla.
Pregi. Lo stile, certo. E la voglia di comunicare una storia che è opportuno conoscere. Troppo poco, questa volta. Ehi, Jon, facciamo finta che tu mi legga: ti aspetto alla prossima. Senza rancore, ti prego, ché qui in Italia, da qualche tempo, una critica come la mia può giustificare un linciaggio.

mercoledì 20 ottobre 2010

Asfaltatelo...

Sono passati due anni circa da quando sono andato in un negozio specializzato a valutare e concludere l'acquisto di un paio di scarpe da corsa/da strada: ieri ho rifatto il passo. 
Tra i miei buoni propositi 2010 avevo segnato la partecipazione a qualche mezza maratona, dicendomi che questa gara – prima del 2010 ne avevo corsa una – mi era molto piaciuta. Non sono stato molto attento al proposito: fino ad oggi, nell'anno, due mezze maratone onroad. Una corsa al massimo delle mie possibilità, a Gorizia. Una corsa assieme a Chiara incinta. Poi più nulla, solo trail e simili. Qualche non competitiva, che di solito propone percorsi misti tra terra e strada, un paio di gare più brevi in compagnia, mesi fa. Forse però ho sottovalutato il piacere di correre anche su asfalto. Specie negli ultimi tempi, l'allenamento mio non segue alcun ordine: quando ho modo e tempo, vado. Ed è un andare necessariamente stradaiolo: se si può correre un'ora, difficile trovare un sentiero che magari ti chiede mezza di quell'ora per essere raggiunto, o che con il buio che avanza e sempre più avanzerà ti costringe a mettere la frontale in parchi semichiusi. E non mi dispiace neppure, questo andare. Ieri sera, ad esempio, per provare il nuovo acquisto (nome roboante di Saucony Pro Grid Phoenix 4) ho fatto un ripetuto saliscendi sulle vie che portano alle Torricelle, sopra Verona: divertente. Ma il punto è che, scoprendo l'acqua calda e perfino la fredda, posso affermare che 
«Scarpa da strada su strada è meglio di scarpa da fuoristrada su strada. Ho detto!» 
E forse qualche mezza la farò anche, recuperando magari il cronometro per l'occasione.