E' andata. Per la seconda volta ho percoso da cima a fondo il bellissimo sentiero "3", l'Altavia del Carso. Se nell'edizione 2010 avevo scritto con profonda convinzione che la Cavalcata Carsica è la più bella di tutte, quest'anno di certo la bellezza rimane, ma con uno strano senso di smarrimento e l'ennesima prova che per conoscere se stessi serve molto più tempo di quello che abbiamo.
Sabato sera dormo dagli amici Sara e Pier Luigi, anche lui cavallo del Carso. Trascorriamo una piacevolissima vigilia, c'è un po' di incertezza sull'abbigliamento, vista la variabilità delle previsioni. Domenica sveglia all'alba, non piove, il vento è leggero e naturalmente fa un po' freddo. Partiamo assieme in tre: io, Pier Lugi e Stefano.
Si comincia puntuali alle 7.30, teniamo un passo tranquillo e andiamo piacevolmente in tre. Ci aspettano 53km circa di corsa/camminata su terreno insidioso, roccioso e ondulato come solo il Carso sa essere. Stefano conosce benissimo il sentiero, che per quanto ci stai attento è davvero insidioso: i segnali sono aumentati, ma certe deviazioni sono così poco logiche e visibili che se molli un po' di concentrazione rischi la frittata.
I primi 25 km (sono i dati del mio Garmin, che tradizionalmente non corrispondono a quelli della guida della corsa) li corriamo assieme. Io sto davvero molto bene, come al solito sono molto più efficace in salita che in discesa, ma il mio trottare tranquillo funziona a meraviglia. Dicevo. Dopo 25 km ci stacchiamo un po', c'è Chiara che mi aspetta a San Pelagio per fare assieme gli ultimi circa 15km: e sì, questa volta ho il pacer personale! Proseguo da solo e senza la sapiente guida di Stefano manco un bivio insidioso, proseguendo per la strada maestra che però non è più il "3". Fortuna che me ne accorgo quasi subito, torno sui miei passi e recupero la retta via perdendo qualcosa meno di una decina di minuti.
La Cavalcata si corre in autosufficienza, il mio Olmo 5 è ben fornito, ma il fatto che Chiara e l'amico Cristiano mi aspettino a San Pelagio è un'ottima notizia. Mi sorprendo ad arrivare da loro con parecchio anticipo rispetto a quel che mi dice il Garmin. Sono cinque ore e mancano una quindicina di km. Mi rifocillo velocemente e riparto assieme a Chiara. Abbiamo così poco tempo per chiacchierare correndo assieme, che blablabla saltiamo di brutto un bivio e ce ne accorgiamo solo quando il sentiero sbagliato ci porta in un paesino sconosciuto. Niente. Tocca tornare indietro e pazientemente guardare ogni deviazione alla ricerca del bivio perduto. Piove parecchio e comincio ad avere freddo. Stupidamente (perché?) non metto il k-way e di sicuro butto nel cesso un sacco di energie. Ritroviamo il "3" e aumentiamo l'attenzione. Cerco di non pensare ai km fatti in più e al tempo perso, che non è proprio pochissimo. Ma non sempre ci riesco. Dopo poche centinaia di metri ci ricongiungiamo con Pier Luigi, Stefano è andato avanti. Stavo benissimo, davvero benissimo fino a poco tempo prima, ma ora comincio ad avere qualcosa che non va: alzo poco i piedi, i passi sono inefficaci, le rocce carsiche bagnate mi fanno scivolare di continuo. Purtroppo ho anche una cattiva memorizzazione del tratto che stiamo percorrendo: lo ricordavo corribile (e probabilmente se asciutto lo è), ma nelle condizioni in cui siamo, il sentiero ed io, posso solo procedere di discreto passo e accennare alla corsa in pochi tratti sempre troppo brevi. Fortuna che sono in compagnia!
A pochi km dall'arrivo c'è la temuta discesa dell'Hermada. Prima di affrontarla uno sprazzo di lucidità mi dice: "Il K-Way, demente!". Provo un gran sollievo nel coprirmi, ma il primo passo della discesa mi costa un bel bloccaggio al ginocchio destro. Amen. Scendo appoggiando il peso sui bastoni, lentissimo, lentissimo, lentissimo. Fortuna che la discesa è breve. Ho avuto immediatamente la sensazione che il ginocchio bloccato si sarebbe sbloccato, non so perché ma così è. Gli ultimi km li corricchiamo, fermandoci quasi ad ogni bivio con il terrore di sbagliare ancora.
Arriviamo finalmente dopo 7h54' Pier Luigi, Chiarapacer ed io. Purtroppo il freddo ha consigliato chi prende il nome dei finisher di andarsene prima delle abituali otto ore. Purtroppo Stefano che era andato avanti pensava di raggiungermi, senza poter immaginare che io più che avanti ero altrove. Così si è preso un bel freddo ad aspettarci, visto che la macchina a Jamiano era la nostra.
Tutto è bene quel che finisce bene, e finire la Cavalcata la trovo comunque un'impresa, sia pure facendo un bel casino, mettendoci tempo e km più del necessario e dovendo anche superare alla bell'e meglio una "crisi di testa".
Concludo con qualche considerazione che mi sia utile per la prossima volta (che ci sarà, ovviamente). Quando hai freddo vestiti, babbeo! Tu che ti porti in spalla dei vestiti di ricambio, li puoi anche usare: mica li carichi perché hai bisogno di zavorra! Se ti viene in mente di non usare i bastoncini, scaccia quel pensiero e tieniti stretti i tuoi maginifici Camp. Cerca di provare qualche tratto del "3" assieme ai tuoi amici cavalli carsici e ricordati che a seconda delle condizioni del tempo il sentiero può cambiare in maniera sorprendente, quindi... non soprenderti! Dopo San Pelagio col cacchio che è corribile, specie se piove e se hai alle spalle già quasi 40 km di Carso. Dopo San Pelagio il sentiero largo non dura molto, c'è quella svolta a destra che sembra fatta apposta per fregarti. Prima di scendere l'Hermada, controlla attentamente un eventuale bisogno di stretching. Intanto questo, se a qualcuno dovesse venire in mente altro, me lo scriva!
La sera rientriamo in macchina a Rovereto, ho le gambe malconce e sono alla frutta, il mio turno di guida lo riesco comunque a fare con l'aiutino della Red Bull. Stamattina mi sveglio, faccio una colazione che assomiglia a un pranzo e mi sento davvero molto meglio. Persino le gambe si sono sciolte a tal punto che scendo quattro piani di scale con Mateja in braccio. Mi rimane il dubbio di avere davvero gestito male le forze. Tutta scienza per le corse future!