Treno in ritardo? Oggi ho il computer.
Un libro magnifico che ha dei difetti.
Il titolo (assoluzione piena per l'autrice). Il costume italico di travisare in traduzione persiste : A long trek home, poco c'azzecca (perdonate il dipietrismo) con la fine del mondo. Il racconto è la narrazione di una strada alla fine della quale si trova casa propria, e allora?
La lunghezza. È troppo corto (poco più di 200 pagine), lascia curiosità e appetito, quasi fame: cercherò di spiegare perché.
L'invidia. Ovvio che sia un problema mio, ma allo sfogliare l'ultima pagina viene da scrivere “Anch'io voglio! Anch'io voglio!” come un bambino, salvo rendersi immediatamente conto che volere è potere, ma fino ad un certo punto.
Introduzione troppo lunga? Ma qui non siamo su di un giornale dove se l'articolo non acchiappa si passa avanti: posso presumere che il lettore abbia la pazienza di superare le prime righe per addentrarsi nel post.
E allora. Il libro racconta dell'idea/realizzazione del progetto di Erin (autrice) e Hig (marito suo): un viaggio che parta da Seattle e arrivi all'estremo nord delle Isole Aleutine, lembo d'Alaska. Il mezzo di trasporto sono: piedi, sci, canotto. E qui già posso scrivere del “volere e potere fino a un certo punto”. I nostri viaggiatori sono esperti di nord e ghiacci, geologo e biologa, lui alaskano, canoisti espertissimi, sanno come ci si comporta con gli orsi e le altre bestiole che si fanno loro incontro lungo la via, dominano le maree, conoscono alla perfezione le esigenze del materiale da portare in groppa (perché la casa è lo zaino). La conoscenza si può sempre raggiungere ma serve, quantomeno, tempo.
Il viaggio varrebbe già la lettura, ma ancor meglio se chi scrive abbia il talento per farlo bene: Erin ne ha, le pagine scorrono appassionanti e veloci. Troppo breve, annotavo sopra. Perché mi sarebbe piaciuto leggere maggiori notizie su dettagli tecnici (bagagli, alimentazione, scelta dei percorsi). Non che manchino cose simili, ma io avevo e ho bisogno di saziarmi, per capire che si può fare. Insomma, un libro talmente bello che la sua fine porta quasi rabbia, oltre che delusione. Ancora!
E la casa cui il vero titolo rimanda: dopo più di un anno di viaggio (tempo preso per sé a fine dottorato: altro lembo d'invidia), decidere di allargare la famiglia, portandosi talmente avanti che gli ultimi parecchi (400 circa) km Erin li fa incinta. Complimenti per il fisico! La casa è un villaggio in Alaska, dove la terra dei genitori di Hig viene addobbata da una yurta per giovane coppia e piccolo uomo.
La mia insaziabile curiosità, per fortuna, trova briciole di appagamento sul blog di Erin.
Leggete e moltiplicatevi, lettori: assumente questo libro come si fa con il cibo preferito, nutritevi di lui con le dosi più adatte alla vostra esigenza.
Scrivendo di me, posso serenamente dire a me stesso che provare a vivere così sarebbe quanto di più vicino alla realizzazione di un sogno mi venga al momento alla mente. Stiamo anche noi percorrendo, Chiara ed io oggi assieme a Mateja, “a long trek home”. Senza fretta, un passo dopo l'altro e con giudizio, troveremo casa.
Autocommento per ringraziare e salutare chi mi ha parlato di questo post su FB e via mail. Felice di avervi ispirato!
RispondiEliminaHai letto "Una vita da lettore" di Nick Hornby"? Il tuo blog ci assomiglia.
RispondiEliminaSe non mi avevo stuzzicato con la Nothomb, con Erin ce l'hai fatta!
Dai un'occhiata alla mia risposta al tuo commento sul mio ultimo post, potrebbe interessarti.
Ciao
Coincidenze, Turco. Stavo proprio bighellonando sul tuo blog quando ho visto il commento! Sono convinto che Erin non deluderà. Chissà che con i prossimi libri non ci si stuzzichi ancora!
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