Prima di ricominciare a parlare di corsa, concludo la (prima?) trilogia sul nuovo papa proponendo un articolo che ho scritto per ricordare il vescovo di Salvador Oscar Romero. Non so perché non sia stato pubblicato, ma per fortuna ho questo spazio libero per raccontare i miei pensieri. Ringrazio tutti quelli che partecipano al blog usando altri mezzi di dialogo, come facebook, twitter, email e parole.
Il 24 marzo 1980 fu assassinato
il vescovo di San Salvador, Oscar Romero. Mentre celebrava la messa, un
cecchino gli sparò un solo colpo, mortale. Da quel giorno il sentimento di
molti cristiani ha contribuito ad avverare le parole profetiche che il vescovo
aveva pronunciato qualche tempo prima: “Un vescovo morirà, ma la Chiesa di Dio,
che è il popolo, non perirà mai”. Di Oscar Romero si è parlato in questi giorni
di inizio pontificato, forzando un improbabile paragone con Jorge Mario
Bergoglio. In particolare, una bella intervista con uno dei più illustri
esponenti della teologia della liberazione, Jon Sobrino, è stata malamente
intitolata: “Bergoglio non fu un Romero, si allontanò dai poveri ai tempi del
genocidio argentino”. Al contrario di quel che ci si aspetterebbe da
un’intitolazione simile, Sobrino ha parole di fiducia e speranza per il nuovo
pontificato. Lo stesso si può dire per uno dei padri della teologia della
liberazione, Leonardo Boff, che commenta con soddisfazione l’elezione di
Francesco e lo accomuna con Romero, sottolineando come non sia tanto
un’etichetta (in questo caso, appunto, “teologia della liberazione”) quanto
piuttosto l’atteggiamento di fronte ai poveri,
agli oppressi, agli abitanti delle favelas a definire l’impronta di un
episcopato e di un pontificato.
Chi era Oscar Romero e perché il
suo ricordo è così importante nella cristianità? Alle origini della sua vita
episcopale Romero rappresentava la parte conservatrice della chiesa di El
Salvador, simpatico ai politici e malvisto dai più progressisti tra i
confratelli. Il continuo contatto con i poveri e la successione di violenze
provocate dalla sanguinosa alleanza tra governo oligarchico e forze armate
fecero maturare una profonda conversione in lui, già compiuta al momento della nomina
ad arcivescovo di San Salvador nel febbraio 1977. L’assassinio dell’amico
Rutilio Grande, sacerdote gesuita, indusse Romero ad alzare la voce,
denunciando le violenze e prendendo con estrema decisione la parte degli
oppressi. Le sue omelie trasmesse alla radio acquisirono sempre più importanza
e resero la sua opinione rilevante nella riflessione politica e pastorale di
tutta l’America Latina, con profonda eco nel resto del mondo. Non riuscì a
conquistare la fiducia di Paolo VI, né quella di Giovanni Paolo II, sospettato
di un’adesione a ideologie di stampo marxista rivelatasi infondata sia allo
sguardo dei contemporanei, sia all’esame degli studi successivi alla sua morte.
Romero denunciava la violenza, chiedeva il rispetto degli operai, dei
contadini, dei suoi sacerdoti mentre El Salvador tremava sotto i colpi della
guerra civile. Non aveva paura di alzare la voce. Il 23 marzo 1980 inviò un
messaggio ai connazionali militari nel quale risuonavano forti queste parole:
“In nome di Dio e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono
fino al cielo sempre più rumorosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di
Dio: basta con la repressione”. Il giorno dopo giaceva senza vita sul pavimento
di una chiesa.
Romero è stato immediatamente
proclamato santo dal suo popolo, molti sacerdoti americani lo riconoscono come
“San Romero de América”. La Chiesa di Roma ne ha promosso la causa di
beatificazione nel 1997, la spinta perché venga canonizzato è forte; le altre
Chiese (anglicani, luterani, veterocattolici) lo commemorano come martire.
Nell’intervista ricordata in apertura, Jon Sobrino sostiene come non sia tanto
importante che Bergoglio canonizzi Romero, anche se evidenzia la portata
simbolica di un’eventuale scelta in questo senso, ma gli chiede piuttosto di
riconoscere che i martiri dell’America Latina sono la testimonianza della
resurrezione in un continente tormentato, sono “il meglio che abbiamo nella
Chiesa latinoamericana”. Da nessuno è possibile esigere quella che per il
cattolico è la vocazione al martirio. Non è stata richiesta ai primi missionari
gesuiti inviati in America, che anzi ricevettero dai superiori l’invito a
fuggire comportamenti troppo rischiosi per le loro stesse vite. Non era certo pretesa da chi, come Romero e
Bergoglio, ha vissuto parte del suo ministero in terribili contesti politici.
Si possono però chiedere, come fa Sobrino, altre cose e molti sono in attesa di
sapere cosa dirà o non dirà Francesco in occasione dell’anniversario della
morte del vescovo di San Salvador.
Claudio Ferlan - Fondazione
Bruno Kessler – Istituto Storico Italo-Germanico
L'articolo è stato scritto per essere pubblicato sabato 23 o domenica 24 marzo. Ora sappiamo che Francesco non ha detto. Peccato.
un articulo impecable, limpio y bello. felicidades claudio. parece escrito por alguien que estuvo aquí o lo conoció. me alegra ver a través de ti que romero sigue vivo.
RispondiEliminahoy tambien a mi me han publicado un articulo sobre una fantastica iglesia de aqui que ademas pudo ser fundamental en la conversion y muerte de romero, la iglesia de el rosario:
http://www.elfaro.net/es/201303/el_agora/11485/
un fuerte abrazo
Gracias Antonio, leeré tu artículo con mucho gusto. Bueno el blog, que nos permite estar en contacto, aunque lejos. Un fuerte abrazo.
Eliminami sa che Papa Francesco si stia concentrando su presente e futuro lasciando il passato nella memoria dei singoli. Pro e contro...
RispondiEliminaLettura condivisibile, Ciccò. Io però non ci riesco a tenere il passato staccato da presente e futuro: deformazione professionale che diventa punto di vista :-)
RispondiEliminaIn realtà è stato pubblicato dopo l'anniversario, con un paio di interventi redazionali per adeguare la cronologia (tolta la frase finale)
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