mercoledì 8 settembre 2010

Amélie Nothomb

Il libro collocato sulla bacheca dei "da leggere" è rimasto lì a lungo, segno non di mancanza di tempo - ché quello a volerlo sempre si trova - ma di un mancato attaccamento alle pagine, insufficiente a proseguirle, sufficiente a non abbandonarle. Avete presente? Forse alla fine "L'anno della lepre" lo finirò anche, ma senza entusiasmo. L'ho sostituito con l'ultimo libro di Amélie Nothomb, finito in due fiati non solo perché corto. Si intitola "Il viaggio d'inverno", ma vorrei scrivere qui di Amélie, non solo del "Viaggio". Di lei ho letto moltissimo, quasi tutto, partendo ormai più di dieci anni fa da "Attentato". Proprio "Attentato" è la sua cosa che più mi è rimasta in mente, non tanto perché ne ricordi precisamente la trama, quanto piuttosto per l'impressione di poetica genialità che mi ha suscitato e conservato. Era il primo, non è un caso sia quello che ha lasciato il segno. Ma potevano essere altri, perché di pagine eccellenti lei ne ha scritte molte. Qualcosa anche di non riuscito, io credo per quella parte del personaggio che richiede un'uscita editoriale all'anno, se non sbaglio a metà settembre.  Puntuale un'opera esce, ma non è che ogni anno in quel giorno puoi produrre qualcosa di unico. E quando il talento è cristallino come quello di Amélie, ti aspetti sempre il meglio. Magistrale nel raccontare di sé, nell'inventare storie astruse ma ineccepibili nello spiegare le stranezze, cattiverie, aberrazioni, abitudini, bontà, generosità... insomma tutto quanto si cela nell'animo umano - con un gusto certo più nero che rosa o bianco. Ma con un gran gusto.
E veniamo infine al "Viaggio", che in poco meno di cento pagine (cifra abituale da qualche anno a questa parte) racconta un percorso interiore di rara intensità e di turbato realismo. Ci sono, come nei migliori di Amélie, immagini lunghe una frase che, come fossero una poesia di Ungaretti, sanno descrivere cose, persone e pensieri.
Questa è letteratura.

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