Krakauer è uno dei miei autori preferiti, come ho scritto anche nelle note di profilo. Da un suo libro mi aspetto molto ma questa volta, ahimè, ho ricevuto poco e provo a spiegare perché.
La storia è quella di Pat Tillmann, professionista del football americano – non un panchinaro qualsiasi, ma un giovane che ha gettato solide basi per un ottimo futuro – che rinuncia ad un contratto milionario per arruolarsi nei rangers USA: si impegna per tre anni, con l'idea di offrire il suo contributo all'America e poi ricominciare la carriera. È motivato dall'undici settembre. Muore in Afghanistan, sua seconda missione di guerra, la prima in Irak. Ucciso da raffiche di mitraglia sparate dai suoi commilitoni in panico, appena usciti da un'imboscata che tra loro non ha fatto vittime. Pat ed un suo compagno afghano stavano arrivando in aiuto, ma gli aiutati non hanno aspettato di vedere chi stava arrivando.
Krakauer, incuriosito dagli spiriti complessi, ci propone la sua indagine, a denunciare anche politica ed esercito USA, che hanno cercato di utilizzare Tillmann a fini propagandistici, negando le circostanze della morte anche ai familiari. Poi i nodi sono venuti al pettine.
Nessun giudizio di valore sulla scelta del soldato Pat, ci mancherebbe: mi limito alla letteratura e alle mie perplessità.
Krakauer ha lavorato molto per ricostruire la vicenda, il suo errore, io credo, è quello di volerlo ricordare ad ogni riga. Troppe cose, troppe parole, troppi dettagli poco utili. Krakauer cerca un lavoro da storico, ma dimentica che lo storico raccoglie materiale per disegnare in maniera coerente e verosimile avvenimenti, processi e dinamiche. Non per mettere a disposizione per accumulo tutto quello che sa.
Krakauer ricostruisce la vita di Tillmann alla luce della sua morte: sembra che ogni suo comportamento vada ricondotto alla scelta di arruolarsi, come si trattasse di un copione già scritto. Potrebbe anche essere, ma non convince: la lettura delle cose non si può fare alla luce di quel che succede dopo, altrimenti, ragionando di “Storia dei se” (esiste, credetemi sulla parola), se non ci fosse stato un undici settembre Pat si sarebbe arruolato lo stesso?
Krakauer ha lavorato molto per ricostruire la vicenda, il suo errore, io credo, è quello di volerlo ricordare ad ogni riga. Troppe cose, troppe parole, troppi dettagli poco utili. Krakauer cerca un lavoro da storico, ma dimentica che lo storico raccoglie materiale per disegnare in maniera coerente e verosimile avvenimenti, processi e dinamiche. Non per mettere a disposizione per accumulo tutto quello che sa.
Krakauer ricostruisce la vita di Tillmann alla luce della sua morte: sembra che ogni suo comportamento vada ricondotto alla scelta di arruolarsi, come si trattasse di un copione già scritto. Potrebbe anche essere, ma non convince: la lettura delle cose non si può fare alla luce di quel che succede dopo, altrimenti, ragionando di “Storia dei se” (esiste, credetemi sulla parola), se non ci fosse stato un undici settembre Pat si sarebbe arruolato lo stesso?
L'eroismo della vittima lo trovo solo nel titolo: difficile ricondurre perfino una detenzione giovanile per aggressione – opportunamente ridotta da un giudice compiacente per non mettere a rischio la carriera sportiva di un giovane grandissimo talento – al desiderio di essere migliori.
L'uso dei diari di Pat quale fonte primaria nella sua storia da soldato non convince. Pare proprio che ne siano scelti i brani utili a sostenere la tesi eroicizzante. Non sentiamo voci diverse, che a leggere attentamente tra le righe si percepiscono soltanto, quasi fossero sfuggite appositamente alla ricostruzione.
Krakauer semplifica la guerra americana con uno schema troppo Tex Willer: comandanti inetti, soldati eroici costretti al sacrificio da ordini demenziali, oscuramento di ogni responsabilità reale. Di certo ci sono stati e ci saranno episodi che seguono lo schema, ma se i comandanti delle giacche blu fossero tutti come quelli abitualmente descritti da Tex Willer, saremmo in un mondo dominato dai sioux.
Gli incisi sulla storia afghana sono verbosi e troppo lunghi per essere chiari. Il problema non è certo il numero di pagine: sarei un idiota, a dire che L'idiota è troppo lungo, ad esempio. Il problema sono tutte le pagine che non dicono nulla.
Pregi. Lo stile, certo. E la voglia di comunicare una storia che è opportuno conoscere. Troppo poco, questa volta. Ehi, Jon, facciamo finta che tu mi legga: ti aspetto alla prossima. Senza rancore, ti prego, ché qui in Italia, da qualche tempo, una critica come la mia può giustificare un linciaggio.
L'uso dei diari di Pat quale fonte primaria nella sua storia da soldato non convince. Pare proprio che ne siano scelti i brani utili a sostenere la tesi eroicizzante. Non sentiamo voci diverse, che a leggere attentamente tra le righe si percepiscono soltanto, quasi fossero sfuggite appositamente alla ricostruzione.
Krakauer semplifica la guerra americana con uno schema troppo Tex Willer: comandanti inetti, soldati eroici costretti al sacrificio da ordini demenziali, oscuramento di ogni responsabilità reale. Di certo ci sono stati e ci saranno episodi che seguono lo schema, ma se i comandanti delle giacche blu fossero tutti come quelli abitualmente descritti da Tex Willer, saremmo in un mondo dominato dai sioux.
Gli incisi sulla storia afghana sono verbosi e troppo lunghi per essere chiari. Il problema non è certo il numero di pagine: sarei un idiota, a dire che L'idiota è troppo lungo, ad esempio. Il problema sono tutte le pagine che non dicono nulla.
Pregi. Lo stile, certo. E la voglia di comunicare una storia che è opportuno conoscere. Troppo poco, questa volta. Ehi, Jon, facciamo finta che tu mi legga: ti aspetto alla prossima. Senza rancore, ti prego, ché qui in Italia, da qualche tempo, una critica come la mia può giustificare un linciaggio.
non ho mai letto nulla di Krakauer,ma la tua critica mi fa venire voglia di farlo;spero che gli altri libri da lui scritti abbiano un buon bilanciamento tra Indiani e Cow-boy,ma penso di si dato che risulta essere uno dei tuoi autori preferiti,mi consigli un titolo?
RispondiEliminaBentrovato su queste pagine, Emilio. Ti consiglio senza dubbio "Aria Sottile", uno dei migliori (forse "il" migliore) libri di alpinismo che io abbia mai letto. Se non ti piace il genere, c'è Nelle Terre Estreme, dal quale hanno tratto il film Into The Wild.
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