È sempre un piacere scorrere sotto agli occhi le parole scritte da un grande scrittore. Negli ultimi giorni ho letto due libri di Uwe Timm.
L'amico e lo straniero.
Con fatica, Timm racconta un'amicizia. E per farlo, racconta di sé.
L'amico è Benno Ohnesorg giovane ucciso dalla polizia, colpito senza senso tra la gente che manifesta contro la visita dello Scià a Berlino.
Uwe Timm all'epoca è in Francia, sente la notizia, riconosce il nome, fatica a crederci. È tutto vero, anche l'assoluzione di chi ha sparato per una cosa rubricata come “legittima difesa putativa”, qualcosa di simile, lo è.
Lo scrittore e l'amico avevano passato degli anni assieme, in un collegio fatto per dare a chi non ha potuto farlo l'opportunità di studiare. Cose d'altri tempi, sembrano a noi.
Lo scrittore dice di aver faticato molto per riuscire a scrivere dell'amico, un senso di colpa per non aver saputo – scelta propria – dare continuità ad un rapporto ricco, fatto di condivisioni culturali.
Ma basta raccontare il libro, che va letto e basta.
Il linguaggio è ricco, le suggestioni molte, i rimandi letterari interessanti (“Lo straniero” del titolo rimanda al libro di Albert Camus), le immagini forti e significative. Timm toglie Ohnesorg dall'immaginifico mondo dei simboli – quello che lui sarà per il movimento studentesco – e ne racconta l'umanità. Applausi. Tristi applausi.
Come mio fratello.
Scritto prima dell'altro, letto da me dopo.
Tracce di trama. Uwe era piccolo al momento della guerra. Suo fratello grande, 19 anni e sei grande?, si arruola volontario nelle Waffen-SS. Karl-Heinz. Muore sul fronte russo, in Ucraina. Ferito, amputato, curato?, non ce la fa. La morte del figlio prediletto, una famiglia segnata in una nazione segnata. Di lui rimangono una scatola con pochi effetti personali e un diario lapidario.
Uwe riesce a scrivere del fratello solo dopo che di quella famiglia è rimasto lui solo. E si mette di fronte alle domande: che cosa avrebbe fatto mio fratello se fosse stato destinato in un campo, che cosa ha fatto mio fratello? Non lo sa, non riesce a saperlo. Non tutto.
Uwe racconta del padre, della madre, della sorella, di sé, di Karl-Heinz. E prova a spiegare a sé, probabilmente il modo migliore per spiegarlo a noi, come la guerra, la sconfitta, la colpa abbiano inciso sulla propria famiglia, esempio di ogni famiglia tedesca.
Quanto possa essere stato difficile scrivere è impossibile dire. “Tanto” è troppo poco per rispondere. Certo che Timm lo fa in maniera egregia, senza negare la propria partecipazione emotiva, cosa che avrebbe reso questo libro molto meno di quello che è.