Serve una presentazione. È una “gara non gara”: niente premi, niente ristori, niente segnalazioni del percorso. Si attraversa il Carso triestino sul percorso del Sentiero 3, da Pesek a Jamiano, lungo la frontiera italo-slovena. La misurazione ufficiale dice 53km, 99% su sentiero, 1200m D+, 1600m D-.
È arrivato il mio momento per partecipare, obiettivo arrivare. Pensieri della vigilia: prima di tutto un grazie agli amiconi Erica e Max che ci ospitano a Trieste e mi mostrano la strada per Pesek. C'è bora (ma il giorno della gara ci grazierà) e la temo, poi neve e ghiaccio. Il mio timore è perdermi: non conosco per niente il sentiero e so che molti bivi sono infingardi. In realtà, i segnali saranno molto più visibili del previsto e basterà prestare un po' di attenzione per non smarrirsi mai, anche se non tutti possono dire lo stesso: evidentemente ci vuole anche un po' di... culo?
Domenica mattina. L'appuntamento per la partenza è alle sette e mezza, sono fin troppo puntuale, parcheggio creativo e subito al via, praticamente in ultima posizione. Peccato non essere arrivato un po' prima: avrei avuto l'occasione di salutare amici e compagni di strada. Pronti, via: il freddo è pungente – il termometro della macchina è deciso sotto lo zero. C'è molta neve e altrettanto ghiaccio. I km iniziali sono prudenti, poi piano piano mi sciolgo e comincio a godermi il sentiero.
La prima salita non è affatto cattiva (sarà perché appunto, è la prima?), si arriva in cima al Monte Cocusso. Qualche difficoltà me la presenta invece la discesa verso Basovizza: il terreno è sconnesso, pietroso e ghiacciato. Neve dappertutto: pazienza per la mia insipienza discesistica, mi godo i dintorni. Di lì in poi dominano i saliscendi. La mia tattica è al passo spinto (aiutato dai bastoncini) in salita, corsa sciolta su piatti e falsopiani, prudente in discesa. La navigazione non crea troppi problemi. Chiacchiero con qualche compagno di strada, specie con Raffaella, ultra-ultratrailer conosciuta sulle Alpi: con lei ci ritroveremo varie volte fino ad arrivare assieme a Jamiano.
Quando si incrocia la strada asfaltata c'è sempre un buon numero di sostenitori: molti cavallerizzi del Carso preferiscono partire agili e farsi sostenere con ristori gestiti da amici e familiari. Io ho il mio zaino, ma che piacere ricevere l'offerta di un the caldo e di frutta secca da un accompagnatore altrui. La scena si ripeterà agli altri due incroci: grazie mille, amico benefattore, quanto mi dispiace non averti chiesto il nome.
Nella seconda metà del percorso la neve non c'è più; il ghiaccio, fortunatamente, nemmeno.
Ogni tanto una breve sosta per godermi il panorama, alle mie spalle il golfo, il mare, Trieste; basta girare la testa e i monti sloveni ti guardano maestosi e innevati.
Monte Lanaro. Si sale con alcuni strappi, ma tutto sommato nulla di eccessivo. Incontro Cristiano ed Elisa, amiconi escursionisti che hanno deciso di risalire in parte il “3” sperando di incontrarmi. Anche loro hanno il thermos del the caldo, ne prendo un bicchiere in più per offrire: i benefattori sono anche maestri di comportamento. Dopo il Lanaro, la parte più scorrevole del sentiero: strade piuttosto larghe, poca pendenza (eccezion fatta per la discesa iniziale, che non è poi così lunga). C'è tempo per corricchiare e parlare, anche se gli occhi aperti bisogna tenerli sempre: sassi, sassi, sassi; un piede in fallo e la caduta rischiano di arrivare un attimo dopo l'altro. Ecco, questa è una difficoltà vera della Cavalcata: fondo sconnesso che chiede molto alle caviglie e ai piedi.
Ultimo the caldo regalato dal benefattore, siamo a San Pelagio. Mancano l'ascesa/discesa dell'Hermada e una quindicina (abbondante) di km. Io sto davvero bene: dopo varie maratone, eco e strada, un'ultra e numerosi trail mi pare di aver iniziato a capire come gestirmi. Soffro un po' il freddo nei boschi più fitti, ma lo scaldacollo (o “buff”) è provvidenziale perché ti permette di respirare calore. Salire l'Hermada non è un grosso problema, scenderlo potrebbe esserlo: una picchiata breve ma ripidissima, decido di farla con calma fidandomi dei bastoncini, passi brevi, baricentro spostato in avanti... finisce pesante sulle cosce ma senza cadute e senza crampi. Di lì in poi è tutta dritta fino Jamiano: ultimo brivido all'ultimo bivio, ma un gruppo di ragazzi a cavallo (inevitabile, per la Cavalcata Carsica) ci indicano il sentiero giusto, che addirittura era quello che avevamo preso! Completare il tratto dritto assieme a Raffaella è un vantaggio: parlare e raccontarsi progetti e (lei a me) esperienze di ultra e deserti toglie il pensiero dalla fatica. Vedo un gruppo di persone ai piedi di una breve salitella: salita al passo e poi riprendo... ma no, la salita è l'arrivo e allora la corro. Sono passate sette ore e trentaquattro minuti da fischio di Pesek. Sono a Jamiano. Ho corso, tutta intera e senza perdermi, la Cavalcata Carsica.
Fin qui, il racconto della mia corsa, ma c'è molto altro da scrivere.
L'atmosfera. Grande convivialità e rispetto reciproco tra i partecipanti. I bikers (la Cavalcata è anche mountain bike) sono correttissimi: non uno che non mi abbia ringraziato per avergli lasciato strada! E poi le loro tracce possono aiutare. Rifiuti per terra ne ho visti davvero pochi.
La natura. Io amo soprattutto correre in bosco, e qui mi sono ubriacato di piacere. E poi la neve, sarà una difficoltà in più però, in questi contesti, è davvero bella da vedere.
Il panorama. Dai monti al mare, dai monti ai monti.
I colori. Una tavolozza magnifica: dal bianco al rosso, tra verde e marrone, l'azzurro.
Il rispetto. Per gli altri, per chi ti cede il passo e per chi te lo chiede, per chi corre e per chi pedala, per chi sostiene e per chi aiuta, per chi organizza e ha avuto l'idea, per chi corre per vincere o per arrivare. Ma soprattutto, il rispetto per il “3”, che ti chiede attenzione ad ogni svolta, ma ti ripaga con numerosi, rassicuranti, segnali biancorossi.
In una parola... il Carso.
Finisco con qualche nota “tecnica” che può interessare chi, come me, pensa di correre la Cavalcata per finirla senza ambizioni cronometriche.
Vestito come? Scarpe trail (Montrail Highlander), calze lunghe “a compressione” Kalenji, pantaloni lunghi tipo fuseaux, intimo lungo e pesante Craft, maglia lunga tessuto impermeabile Gore, scaldacollo e fascia copri-orecchie in pile, guanti leggeri da corsa, bastoncini componibili Camp (per me indispensabili, per altri un fastidio).
Nello zaino? Due litri di coca sgasata e annacquata (che fa schifo in qualsiasi momento della vita ma che in pieno trail rimane la bevanda, per me, migliore), ma avrei bevuto di più (nonostante i tre bicchieri di the caldo dei benefattori). Barrette dolci e salate, un gel (poi frutta secca del benefattore). Effettivamente mangiato: barretta di ovomaltina, barretta alle mandorle, gel all'arancia. Forse sarebbe stato meglio ingurgitare qualcosa in più, ma alla fine lo stomaco era un po' chiuso: ho sbagliato nel non portare un paio di cubetti di grana.
Ricambi per ogni evenienza non utilizzati: k-way, buff in cotone, guanti in pile, canottiera, coperta termica, calzamaglia Craft. Poi telefono e carta del percorso.
E all'arrivo, passate da pochissimo le setteoreetrentaquattro minuti, Chiara e Mateja mi vengono incontro assieme ad Erica e Max (grazie ancora, muli), con tempismo perfetto per non gelare la piccola. Eccoci qui, chi perplesso, chi stanco e felice.