venerdì 16 giugno 2017

Berkeley, California. Bastano due parole

Ci siamo, l'avventura californiana è partita. 
I preparativi sono stati lunghi ma precisi, tanto che al temuto momento dei controlli immigrazione tutto è passato così liscio che ho chiesto al poliziotto se fosse tutto lì o se si dovesse invece passare un altro step. 
Il volo è stato assai confortevole, complice la saggia decisione di prenotare due sedili lato corridoio. Così eravamo soli Mateja e io. Sono certo di essere stato un bravissimo cuscino. 
Berkeley non è una bella città, molto di più.
Berkeley non ha una bella università, molto di più. 
La casetta che abbiamo, nelle sue dimensioni assai ridotte, è un piccolo gioiello. E poi c'è il giardino, che si vive alla grande. E poi ci sono i vicini/proprietari, che sono proprio cool. Mateja ha già i suoi amichetti.
C'è della burocrazia qui, Si compilano gli stessi documenti in uffici diversi, ma lo scrivo senza lamentarmi e solo per informazione. Sono ospite qui, molto ben accolto e se il sistema è quello, una ragione ci sarà. Sempre grato al mio Istituto che mi consente di essere qui. Pensavo. Se ti trattano bene e ti mettono in condizione di lavorare al meglio, il tuo senso di responsabilità non può che crescere. Voglio proprio lavorare al meglio. Restituire.
Ho mosso i primi passi in biblioteca: esperienza quasi metafisica. Qualsiasi libro, qualsiasi articolo si cerchi, ebbene, lui c'è, e in buona percentuale c'è pure in ebook, dunque nel giro di pochi secondi te lo leggi. Sto sperimentando il piacere dell'interdisciplinarietà. Leggo tanto e leggerò tantissimo. Studiare gli ubriachi mi sta portando lontano. 
Il momento trascendente è arrivato quando Chiara (ammetto che c'era del suggerimento) ha concluso le pratiche per un regalo: sono abbonato alla stagione di football dei California Golden Bears. Già li amo. 
In tv ho seguito le finali del basket e dell'hockey. Le prime le hanno vinte i Golden State Warriors, che stanno di casa qui. Bandiere ovunque, gli autobus hanno la scritta "Go Warriors" e sui grattacieli di San Francisco sventolano le bandiere. 
L'hockey è stupendo,  quando torno in Italia dovrò approfondire. E molto. Comunque avrò anche i mesi autunnali californiani per studiarlo un po'. 
Ora è rimasto solo il baseball, conto di andare presto a Oakland per un live party. 
Mi dicevano che qui è il paradiso del trail running. Hai voglia! Pieno di parchi, io ne ho uno a soli 3 km da casa e penso che per esplorarlo tutto non basteranno i sette mesi che ho a disposizione. Ed è appena il primo. Il secondo lo esploro sabato, mi sono iscritto alla mia prima gara qui, una 50. Sarà bellissimo. E poi cercherò di comprarmi una bici per allargare il campo geografico del mio andare. Va aggiunto poi che il clima è il massimo per la corsa: mai troppo caldo, mai troppo freddo. E' la California che ti obbliga: esci e corri. 
Anche correre in città non è affatto male. A parte il  bello di salire e scendere continuamente, ti si aprono dei panorami mozzafiato. Ho pensato che se fossi un giocatore NBA e avessi qualche spicciolo da parte, potrei anche spendere un milione di dollari per comprarmi una casetta in Buena Vista Way. Ma faccio lo storico e va benissimo così. 
Mentre mi impegnavo in un selfie con i fiori una gentile viandante si è offerta di scattare. Meglio la seconda.
A presto.


2 commenti:

  1. Risposte
    1. In verità poi ho virato sulla classica maratona trail (dislivello intorno ai 1200), faceva molto caldo e ho avuto segnali di crampi in arrivo. Meglio non forzare, con il rischio poi di allertare il sistema medico USA :-)

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