Ore 9 e 40, siamo davanti alla
stazione di Sagrado. Che sia domenica lo si capisce dalle poche macchine
parcheggiate, durante la settimana il piazzale è pieno. Stranamente il bar è
aperto, peccato che oggi non voglio far colazione. Ho sempre amato le stazioni
dei treni e i bar connessi, sono pieni di gente interessante, gente che viaggia
per dovere, pendolari studenti, impiegatini e nel caso di Sagrado anche qualche
“foresto” del CPT… Poi, gli odori delle stazioni sono interessanti, a me
piacciono gli odori, anche quelli sgradevoli, ragiono come i cani, che
annusando un luogo capiscono a modo loro le cose.
Comunque, parcheggiamo l’auto e
troviamo Caio ad aspettarci, due convenevoli e si parte. Occhi puntati sull’asfalto
per qualche centinaio di metri, poi si entra nel bosco. Subito una salita,
chiacchieriamo ed il fiato si fa più corto. Compagnia mal assortita, compagnia
ben assortita. Siamo 4, il più estraneo è Leo, mio nipote alla sua prima corsa
vera e propria, 10 km fino a Monfalcone, un battesimo tranquillo per i suoi
polmoni allenati da un soggiorno di un anno a Quito, 2800 metri sul mare. Corre
con le mani in tasca, inforca gli occhiali da sole e sembra a suo agio. Parla
poco, come un uomo, ma lo sento, lo vedo tranquillo, non si lamenta, buon inizio
Leo.
Arriviamo nei pressi delle alture
di Polazzo, qualche recinto con la scritta proprietà privata, beati gli
indiani, che non avevano queste pretese di possesso… A destra i 100.000 morti
di Redipuglia, giusto là dietro, quei cipressi parlano chiaro a chi alza gli
occhi. Continuiamo, siamo già sul Monte Sei Busi, ancora morti e la terra è
veramente rossa in questo passaggio. Sarà rossa per il ferro, ma ho sempre una
sensazione strana nel pestare questi luoghi, vorrei essere più magro, più
leggero. Scolliniamo e a breve arriviamo nei pressi di un cippo della prima
guerra mondiale, foto di rito. Penso non sia passato molto tempo, forse 4/5
anni, che il carso deve aver preso fuoco. Si vede dalle piante pioniere che qui
ripopolano la landa carsica. Ailanto, dei pioppi sul versante più riparato a sud.
Il timo è in fiore, non ricordavo fiorisse in autunno, va beh, mettiamo anche
questo nella memoria della mente.
Arriviamo sotto il monte Cosici.
Saliamo? No, no, coro unanime. Tutti stanno bene, il fiato non manca, ma meglio
risparmiare, il viaggio è ancora lungo. Quota 65, si scollina. Quota 65. Ai
tempi della prima guerra i monti non avevano nome (o li avevano in slavo,
figurati) per cui erano chiamati con l’altitudine segnalata dalle cartine.
Monti? ... Sono collinette, ma non si poteva morire per delle “colline”, per
cui venivano catalogati come monti, ma
colline sono e colline rimangono.
Andiamo avanti, Leo ci saluta, ha
fatto il suo, bravo Leonardo, benvenuto!
Pietrarossa, un lago incantato
ferito dall’autostrada.
Ora tocca salire sull’ Arupa
Cupa… quota? Non ricordo. Pochi mesi fa un escursionista ha trovato un intero
arsenale nei pressi di dove corriamo adesso, con conseguente polemica su chi
dovesse accollarsi il costo dell’operazione di brillamento e bonifica. Sui
morti nessuna polemica, oramai quelli…
Jamiano, intravediamo il 3 e
l’arrivo del 3 col suo bel trattore rosso, chi ha fatto la cavalcata carsica sa
di cosa parlo. Stiamo in silenzio, secondo me tutti e 3 pensiamo al 3 e alla
fatica di finire quel magnifico viaggio che si intraprende la prima domenica di
ogni dicembre…
Monte Flondar, poi arriviamo a Medeazza dove ci fermiamo a
guardare la cartina. Nemmeno un’occhiata al percorso fatto, gli occhi sono
puntati sul percorso ancora da compiere. Il 3, no, scendiamo per l’8, no,
guarda l’oleodotto come taglia il carso, ottimo andiamo di là! Ripartiamo,
salita, si conversa piacevolmente, “ma quanto costano le case in trentino”, “ma
che giornata stupenda”, “dobbiamo guadagnarci il mare”! Si viaggia, si viaggia,
con le gambe, con la mente. Ceroglie, stupenda, sembra di essere in Galizia,
muretti a secco, odore animale, si viaggia…C’è un cartello che propone la
vendita di un formaggio pecorino, oddio, devo tornare qua, ho fame, e hai
capito, fanno il pecorino, non sapevo, dev’essere un urlo!
Passiamo davanti a Sistiana,
Marco si emoziona, si ricorda di quando abitava qua e finito di lavorare
affrontava l’Ermada correndo. Bei tempi andati? Ma dai… Marco è il picio del
gruppo, mal assortito, ben assortito. Non si allena ma va, lo controllo, porta il
fiato un po’ corto ma ce la fa, qualche piccolo acciacco, d’altronde non siamo
qua a pettinare bambole. Lo vedo combattivo, non ha paura di soffrire, mi
piace.
Caio ha una piccola crisi, ma
passerà, abbiamo aumentato il ritmo, il sale del mare ci riempie già i polmoni
affaticati e le gambe hanno cominciato a girare senza chiedere permesso alla
testa. Corriamo incontro al blu, voglia di costiera!
Ci fermiamo al bar della costa
dei barbari, un caffè, che piacere. Tutte quei zuccheri in vista… ma ho già detto,
niente colazione, niente zuccheri. L’idea è di abbinare un viaggio con gli
amici ad un allenamento. Quale allenamento? Migliorare le capacità del corpo di
utilizzare i grassi durante l’attività fisica. Bisogna prima terminare le
scorte di glicogeno, quindi un bel lungo, magari senza colazione, poi il corpo
deve, se non si mangia nulla, attingere ai grassi. Il ritmo da tenere non è
così importante, anzi, un lungo lento è l’ideale. Usciamo dal bar, si riparte,
direzione costiera, che sole, che giornata. Arriviamo all’imboccatura del
sentiero 1, ci si inerpica e in un attimo siamo sopra la strada costiera. Via
il rumore delle automobili, siamo nuovamente nel bosco. Sembra di stare in
montagna. Osservatorio Tiziana Weiss, avevo letto qualcosa di questa alpinista,
poi, mi ricorda un sentiero, magnifico anche quello, in Carnia. Ci sono delle
ginestre in fiore, fuori stagione, of course, solitamente una seconda fioritura
è indice di stress per le piante, chissà, ci rimugino un po’.
Ora Caio è stanco, rimane un po’
indietro. I km si fanno sentire, siamo al 30° credo, mi manca il garmin,
dimenticato a casa! Guardo Caio, è una cara persona, grande stima per quello
che fa. Secondo me ha ancora molta, molta birra nelle gambe ma ho l’impressione
che non gli dispiaccia stare solo per un po’, senza la sensazione che qualcuno
lo “tiri”. Uomo libero da costrizioni, Caio. Io e Marco andiamo avanti, Caio
prosegue da solo, con l’idea di ritrovarci a Miramare , stazione dei treni.
Cellulare acceso, abbiamo entrambi batteria. Alla fine Caio arriverà prima di
noi, prima del previsto, si vede che la birra c’era.
Ora ritroviamo il sentiero della
salvia, poco da dire, meraviglia, meraviglia, sole, mare, caldo, una favola.
Sentiamo il profumo dei marittimi, non inteso come portuali, ma come i pini. Leggera
discesa, terreno morbido, una meraviglia.
Arriviamo a Santa Croce,
chiediamo informazioni, una direzione, un sentiero. I cartelli sono bilingui,
le panetterie vendono burek, salto culturale, un altro mondo nel nostro mondo,
che ricchezza. Ville disabitate con una vista da urlo. Riprendiamo il sentiero,
terreno morbido. Marco fatica, ma stringe i denti, e va. Ha le articolazioni in
fiamme, ma non molla, grande Marco. Andiamo a vista, non abbiamo cartine, non
abbiamo riferimenti, ma Miramare è li
sotto per cui… Incrociamo degli escursionisti, ci danno delle indicazioni:
dobbiamo andare fino a Prosecco, poi trovare un cartello blu con scritto parco
di Miramare e scendere! Non possiamo sbagliare! Mai dire queste parole, Mai!
Arriviamo a Prosecco, un altro
mondo ancora, troviamo una vecchietta, chiediamo ancora informazioni stradali,
sentieristiche e questa ci risponde con un chiaro accento slavo: “andate zo di quà!”, andiamo. Ci perdiamo,
altro che “zo”. Solita storia. Continuiamo a naso su dei sentieri oramai
abbandonati, ma la traccia c’è, questo ci basta. L’ultima volta che questo
sentiero è stato calcato la vecchietta faceva ancora girare gli occhi agli
uomini. Rovi, erbe e sassi, ma arriviamo, arriviamo. Miramare. Caio ci aspetta,
è arrivato prima lui di noi, non so da dove è passato, forse nemmeno lui.
Alla fine del viaggio si sta
meglio che all’inizio.
Michele