martedì 8 febbraio 2011

Oltre la montagna (Steve House)

Gran libro. Certo, deve piacere il genere, ché qui si parla di alpinismo estremo. Quello che mi ha incuriosito nel mio abituale vagabondaggio in biblioteca è la motivazione di Steve House: scrive di aver pensato al libro per rispondere a se stesso - "Perché si scala?". La domanda più ovvia. Da qui House parte per raccontare di sé e del suo amore per la montagna.
Il punto di partenza è davvero particolare: il giovane House dagli Stati Uniti si sposta in Slovenia per un anno di studio all'estero - già da qui comprendiamo la sete di scoperta che lo contraddistingue; di solito il percorso è quello inverso. E correva l'anno 1988. La difficoltà con la lingua e con la cultura slovena viene superata, come d'incanto, grazie alla frequentazione di un club alpino. Lì Steve troverà i suoi primi maestri, partirà per una spedizione sul Nanga Parbat: a diciannove anni assisterà i compagni salire, ma arriverà, alla fine del libro, il suo turno per scalare la parete più imponente della Terra inaugurando una via nuova.
House sa raccontare sia le montagne, sia se stesso.
Gli amanti dell'alpinismo troveranno in questo libro molti dettagli, descrizioni tecniche di passaggi vertiginosi.
Gli amanti dell'indagine sull'uomo (mi metto in questa categoria) troveranno la lucida disamina di tutto quello che esalta e tormenta l'alpinista: gioia e dolore, vita e morte, inesorabile compagna di questo sport. Senza contare le difficoltà di puntellare relazioni personali che sappiano valicare senza ferite tutte le montagne che uno scalatore "top" trova sulla strada.
C'è un valore aggiunto, quello che House condivide con Messner, Moro ed altri grandi: il rigore di salire la montagna in stile alpino, ovvero senza corde fisse, senza spedizioni di supporto, portando in spalla quello che serve alla sopravvivenza. Una scelta dal sapore quasi mistico, religioso, come credo sia giusto e sacrosanto per chi della montagna ha fatto la propria compagna di vita. Forse più che da qualsiasi altro alpinista-scrittore, da House ho capito a fondo il senso della scelta. E questo capire mi ha suggerito un pensiero: a me, nel mio frequentare la corsa in natura, e pure in montagna (bassa).
Perché abbiamo bisogno, per correre, di grandi organizzazioni? In fondo quando si decide un'escursione si scelgono i compagni, si caricano gli zaini, si aspetta il tempo giusto e si va. Cosa c'è di diverso nella corsa? Certo, ci sono occasioni che consentono di vedere posti che senza una gara organizzata non sarebbe facile visitare, penso ai miei progetti di Bretagna, per dirne una. Sono domande vere, non retoriche, che trovano forse una mia risposta nella scelta per il 2011: solo Trail Autogestiti e gare all'estero. 

3 commenti:

  1. L'esame che fai dei due mondi è abbastanza verosimile; ricorda, però, che fra loro due c'è tanta diversità, più che differenza.
    Una diversità lunga molte migliaia di metri nella quale si sviluppa il mondo dell'alpinismo (che ha come suo diretto fratello quello della speleologia, chiamata "alpinismo inverso") e che aumenta (lievita) con legge parabolica all'aumentare della quota (o della profondità) esplorata.
    Certe cose bisogna viverle per conoscerle e capirle.

    P.S.: il codice capcha che il sistema mi propone per postare è "terant"....caso o monito ??

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  2. Copiando da "Dante/Ruperzio", ti ho eletto mio personale spacciatore di Titoli.
    Quel che ho letto su tua segnalazione mi è piaciuto, così procedo all'ordine anche di questo.
    Sto finalmente uscendo da un buio periodo di non lettura.

    Danke, DharmaRun

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  3. Grazie, Orzo: considerazioni molto interessanti. Sul fatto di dover vivere per capire, non mi trovi completamente d'accordo: sarà perché sono antropologicamente incline all'astrazione :-)
    Onorato della fiducia, Fausto. Io però non acquisto molto: frequento biblioteche (ma certi libri mi sa che li trovo solo a Trento)

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