martedì 28 settembre 2010

Né di Eva né di Adamo

Nuovo pensiero di libri, nuova Amélie Nothomb. Mi sono reso conto, perché mi è stato detto, che pensando di libri sono solito non raccontarne la trama. Parto, per una volta da lì. La vera Amélie, non una letteraria ma lei che racconta di sé, a ventun anni sceglie di tornare nel Giappone dove aveva vissuto la propria infanzia: paese d'elezione dove proseguire la propria vita. Deve però riprendere familiarità con la lingua, prima di cominciare la vita d'Oriente. E per guadagnare decide di dare lezioni di francese. Il primo candidato studente è il quasi coetaneo Rinri. Si piacciono, si incontrano, si fidanzano. Amélie narra la sua e la loro storia: due anni. E racconta l'incontro con la famiglia e gli amici di lui, i viaggi e i momenti significativi dello stare assieme. Il desiderio di solitudine che può impreziosire una vita di coppia. E racconta di propri ed altrui sentimenti, caratterizzati da - probabilmente - inevitabili cortocircuiti culturali. Troppo poco per un trama? Di più mi sembrerebbe inutile leggere il libro
È un prequel, ovvero la descrizione di quanto successo prima di "Stupore e Tremori", libro-racconto autobiografico di esilarante rilievo. Questo meno riuscito dell'altro, se un paragone del genere ha un senso che probabilmente non ha. Lo stile è di certo meno poetico, immaginifico di quanto lei non ci abbia abituato. Non so se sia un problema di traduzione. Né ho la motivazione per verificarlo: il mio interesse è letterario, non filologico.
Poi, a confronto di molto altro in Amélie, qui è tutto dannatamente normale, quasi banale, a rilevare forse che anche un'artista eccentrica ha diritto di vivere cose che vivono tutti. Certo, poi lei le sa raccontare e questo la pone comunque sopra a decine di altre vicende autobiografiche che noi abbiamo avuto modo di leggere in abbondanza in libri abbondanti. E qui vengo ad una considerazione che accompagnava il mio scorrere fra le pagine. Molti, issimi (?), scrittori partono dal raccontare di sé e cercano poi una strada che non sempre trovano. Ecco, questo "Né di Eva né di Adamo" non è dei suoi migliori, pur essendo un bel leggere, segno che lei la sua strada l'ha trovata e non ha bisogno di tagli o scorciatoie.

giovedì 23 settembre 2010

Proprietà privata

Sono in trasferta, precisamente ad Arezzo: motivi di lavoro mi hanno portato in Toscana. Ma alla corsa non rinuncio, e grazie al consiglio di Denise domani mattina so dove andare: Parco Pertini, che fortunatamente mi dicono anche essere vicino al mio albergo.
Non so quanto sia lungo il parco, ma so che il tempo a disposizione non sarà molto: sveglia presto sì, ma senza esagerare. In fondo l'assenza di una neonata in camera ha l'unico vantaggio di consentire un sonno senza interruzioni. O almeno. Speriamo sia così e che la mancanza di mamma e bimba non mi disturbi il ronf ronf. Ahi se mi mancano, marito e papi inebetito che sono.
Ieri ho percorso la seconda tappa del disordinato avvicinamento (tutto personale e autogestito) alle gare in circuito. Volevo fare 15 km in un piccolo parco veronese ripetendo le volte necessarie un anello di 800m.
Ho imparato alcune cose e interrotto il gira gira a poco più di 11 km. Andiamo elencando:
l'interruzione è dovuta al fatto che ad un certo momento (quello degli 11 km e 200m) non ho più visto sulla panchina da deposito la mia borraccia ed il mio asciugamano (e nel portaborraccia c'erano le chiavi di casa). Miseria! Passo ogni pochi minuti e mi faccio sgraffignare la roba? Allora mi avvio lemme lemme alla ricerca di qualcuno a cui chiedere aiuto. E chi ti vedo? La vecchierella che vien dalla città che cova la mia roba e mi chiede “Ha perso qualcosa?”. “Non ho perso nulla, madame, è lei che si è presa ciò che secondo le convenzione di una società basata sulla proprietà privata è mio”. Ovvero. Non che le abbia detto proprio così. Ero solo stupito. E via ad ascoltare la predica al giovane imprudente che lascia in giro del suo. Ma perché uno dovrebbe rubare una borraccia, un asciugamano sporco e delle chiavi inservibili, prive di segni di riconoscimento e di qualsivoglia indirizzo? Ok, pazienza, Riprendo il mio ringraziando (!) la vecchierella che vien dalla città per la premura. Ma la corsa ormai è rotta, il tempo avanza e vado a casa.
E poi ho imparato: che sì, è dura girare in tondo e trovare giusto ritmo e concentrazione; che due piccole rampe ripetute “n” volte diventano una salita seria; che nei parchi i cessi sono sempre chiusi e gli alberi mai nascosti; che serve riprendere un'alimentazione sportiva – visto che il sonno al momento è quello che può – nonostante a volte dormire venga prima di mangiare e la precedenza ti induca a praticare il salto del pasto.
La prossima settimana spero in qualche giorno di visita parenti: aspettami Carso, che se vengo da te col piffero che faccio il criceto in circuiti urbani.

domenica 19 settembre 2010

Una soluzione si trova

Ci pensavo da tempo, alla cosa che abbiamo fatto oggi Chiara, Mateja ed io. Ci pensavo da tempo ma non credevo potesse succedere all'età di diciannove giorni della minuscola. Inesperto che sono!
Sempre in puro stile non ditelo a mia suocera, la mia mogliettina ha fatto la sua prima corsa nove giorni dopo la nascita di Matj. Io naturalmente ero lo sponsor dell'iniziativa e avevo portato a passeggio la figliolina, incontro alla mamma. Ma questa prima corsa, lodevolissima, aveva in sé un difetto intrinseco: Chiara correva da sola. Poi la seconda, Chiara sotto la pioggia ed io a casa ad educare musicalmente la principessa. Pensa che prepensa e ti ripensa, una soluzione non geniale ma organizzata c'è. Dopo attenta ricognizione dei percorsi corribili, assennata valutazione dello stato di salute di grande e formichina, prova sul campo, intensa osservazione del tempo atmosferico (e assoluto silenzio con i prossimi congiunti, ci mancherebbe) eccoci al momento di prova.
Si parte, due in tenuta da corsa una passegginata in ovetto.
 
Interludio: tu, donna o uomo con il SUV che parcheggi sui marciapiede, possa un'ondata di maleodorante liquame (presente la cacca santa dei neonati?) inondare te (cosa che considererai meno grave della prossima) e il tuo inutile veicolo (qui soffri, vero?) corrodendone la vernice sconsideratamente costosa.
 
Si raggiunge il circuito da corsa prescelto e ci si divide: una corre, uno passeggia, una dorme; uno corre, una dà da mangiare, una mangia. E così via, per qualche tempo e qualche km, senza calcoli e misure. Ad ogni mezzo giro ci si incrocia, sguardo e gesti a far capire che - sempre ed immancabilmente - "tutto va bene".
Ripetute fatte in casa?
Ma no, è il piacere della corsa a casaccio fatta in compagnia!

sabato 18 settembre 2010

Criceto ritardatario

Prendo in mano il portatile prima di addormentarmi e mi accorgo che sono silenzioso da una settimana: record negativo, che spero di non battere mai.
In realtà, non è che in questa settimana non abbia letto o corso, semplicemente non ho scritto (o meglio: ho scritto anche troppo, ma di altre cose in altri luoghi).
Da qualche tempo mi trovo incuriosito dalle gare in circuito: fino a pochi mesi fa non avevo idea di come si svolgesse una 24 ore, poi ho letto che si corre generalmente su di un circuito breve da ripetere quasi all'infinito. Niente di più lontano dalle mie passioni, sembrerebbe a me, invece mi tenta. Alt. Non una 24 ore, non ne sarei certo in grado, ma girovagando qua e là sul web mi sono imbattuto in diverse 6 ore. A dire il vero, una l'avrei corsa volentieri vicino Udine, ma non era fine settimana da potersi muovere. Ho fatto una prova qualche giorno fa, molto piccola ma indicativa: un'ora secca percorrendo un circuito dei runners veronesi lungo 1km circa. Non mi sono annoiato per un motivo principalmente: c'era un sacco di gente che correva con me, e questo mi mette di buonumore.
In un blog amico, nel raccontare di una gara su pista 24x1h si scriveva della sensazione del criceto sulla ruota. Anch'io la vedevo così, ma chissà, forse un criceto in compagnia...
La prossima settimana ci riprovo sul circuito, magari allungando un po' i tempi. 

venerdì 10 settembre 2010

Io mi butto a casaccio/ta bum... ovvero il senso delle cose

Titolo lungo, quello di oggi.
Ricordate la sigla di Mai dire Gol 1994/95? Se prima di continuare a leggere volete rinfrescare la memoria, ecco qui il link youtube. Era il dopo mondiali persi ai rigori e si cantava - con bella autoironia da parte del portiere di allora Pagliuca disposto a scherzarci in prima persona - "io mi butto a casaccio Ta/bum": proprio quello che lui fece in quei rigori, ma come fargliene una colpa?
Come spesso accade con i tormentoni di Elio e le Storie Tese, quel refrain mi torna in mente in varie occasioni. L'ultima, ieri sera. Dopo un annetto da quando me ne avevano parlato per la prima volta, sono andato a correre al Parco delle Mura / Porta Palio (VR). Non vicinissimo a casa mia, non lontano neppure. Per raggiungerlo ho anche scelto un giro un po' lungo: non sapevo quanto tempo avrei corso, per quanti km, con quale ritmo. E sono uscito così, senza prevedere prima a che ora sarebbe successo; insomma sono uscito "a casaccio Ta/bum".  In tasca il telefonino, chissà mai se a Chiara o a Mateja servisse qualcosa, e niente altro. Parto e subito assaporo la gioia di correre, da dieci giorni il tempo è più difficile da trovare, ma proprio questa incertezza comincia a piacermi: se ho un attimo, o anche qualcosa più di un attimo, indosso le scarpette e vado. Non avevo mai fatto un giro in quel parco lì, ma che bello: decine e decine di persone che corrono, senza curarsi (almeno non tutti) di apparire belli e tirati. Siamo semplicemente accomunati dalla stessa passione. E per questo che corro: andare e sentirsi bene; è questo il senso, non un trail in meno o uno in più. Al momento non ho obiettivi cronometrici, gare fissate, quel che arriva arriva. E quando ci riesco, corro. E quando ci sarà una bella gara, la correrò. La nuova vita in famiglia mi sta facendo tornare indietro ai tempi delle prime uscite: si va e si cerca di stare meglio quando si rientra di quando si è partiti. Non andrà sempre bene, ma ora è bello così: "a casaccio Ta/bum".

mercoledì 8 settembre 2010

Amélie Nothomb

Il libro collocato sulla bacheca dei "da leggere" è rimasto lì a lungo, segno non di mancanza di tempo - ché quello a volerlo sempre si trova - ma di un mancato attaccamento alle pagine, insufficiente a proseguirle, sufficiente a non abbandonarle. Avete presente? Forse alla fine "L'anno della lepre" lo finirò anche, ma senza entusiasmo. L'ho sostituito con l'ultimo libro di Amélie Nothomb, finito in due fiati non solo perché corto. Si intitola "Il viaggio d'inverno", ma vorrei scrivere qui di Amélie, non solo del "Viaggio". Di lei ho letto moltissimo, quasi tutto, partendo ormai più di dieci anni fa da "Attentato". Proprio "Attentato" è la sua cosa che più mi è rimasta in mente, non tanto perché ne ricordi precisamente la trama, quanto piuttosto per l'impressione di poetica genialità che mi ha suscitato e conservato. Era il primo, non è un caso sia quello che ha lasciato il segno. Ma potevano essere altri, perché di pagine eccellenti lei ne ha scritte molte. Qualcosa anche di non riuscito, io credo per quella parte del personaggio che richiede un'uscita editoriale all'anno, se non sbaglio a metà settembre.  Puntuale un'opera esce, ma non è che ogni anno in quel giorno puoi produrre qualcosa di unico. E quando il talento è cristallino come quello di Amélie, ti aspetti sempre il meglio. Magistrale nel raccontare di sé, nell'inventare storie astruse ma ineccepibili nello spiegare le stranezze, cattiverie, aberrazioni, abitudini, bontà, generosità... insomma tutto quanto si cela nell'animo umano - con un gusto certo più nero che rosa o bianco. Ma con un gran gusto.
E veniamo infine al "Viaggio", che in poco meno di cento pagine (cifra abituale da qualche anno a questa parte) racconta un percorso interiore di rara intensità e di turbato realismo. Ci sono, come nei migliori di Amélie, immagini lunghe una frase che, come fossero una poesia di Ungaretti, sanno descrivere cose, persone e pensieri.
Questa è letteratura.

sabato 4 settembre 2010

Ricorrere

Ancora grazie a tutti, dopo averlo fatto in coda ai vostri commenti, mi ripeto in testa al primo post del dopo.
Senza che sia minimamente passata la sbornia di entusiasmo per la nascita di Mateja.
Senza che la vita possa essere quella di prima - e chi lo vuole? -, oggi (sabato) ho ricominciato a correre dopo una settimana di felice stop.
Sono uscito da casa così, non avevo orologio, GPS, idea di quanto andare avanti. Con me il telefonino, se una delle mie due bimbe avesse voluto chiamarmi, io sarei tornato - naturalmente di corsa. Così mi sono lasciato andare, assaporando il gusto di mettere un piede avanti all'altro solo per il gusto di farlo. Bellissimo.
E nei prossimi giorni, settimane e mesi dovrò capire come modulare il correre della mia vita nuova. E dopo qualche mese di stop, avrà anche Chiara tutto intero il suo diritto di riassaporare le gioie di ogni passo dopo l'altro.
Per questo autunno non ho programmato nulla. Pensavo alla Verona-Bosco, gara asfaltata in salita di una trentina di km. Vista com'è andata bene l'estate, credo proprio che se mi iscrivessi potrei finirla con soddisfazione. Ma ho deciso di no. Mi pare troppo cara: iscrizioni oggi a 40 euro: un'esagerazione. Più non so quanto da aggiungere per la navetta Bosco-Verona. E poi mi sono definitivamente deciso a lasciare perdere dopo aver letto sul regolamento che "la strada non sarà chiusa al traffico", puntualizzazione che mi ha ricordato l'insoddisfazione di un amico che mi raccontava la sua esperienza tra gli scarichi delle automobili. Non fa per me.
Mi piaceva l'idea della 6 ore di Buttrio (UD), così da avvicinarmi al mondo delle ultra in circuito. Ma non è quello un fine settimana di possibile rientro friulano.
Qualche mezza maratona, magari qualche trail breve, di certo qualche uscita solitaria sul Carso in occasione di rientri in visita parenti. E perché no, la Cavalcata Carsica di inizio dicembre. Ecco, questa potrebbe essere un'idea. Navighiamo a vista, una bellissima vista.